Dalle dichiarazioni di Kerry emerge il dissenso degli Stati Uniti per la proposta europea di una tassa alla frontiera sul carbonio: per l'amministrazione Biden, dovrebbe essere l'ultima risorsa...
Dalle dichiarazioni di Kerry emerge il dissenso degli Stati Uniti per la proposta europea di una tassa alla frontiera sul carbonio: per l’amministrazione Biden, dovrebbe essere l’ultima risorsa…
Tra gli Stati Uniti e l’Unione europeac’è allineamento sugli obiettivi climatici: sia gli uni che l’altra hanno infatti imboccato la strada della transizione energetica – che prevede, semplificando, un distacco dai combustibili fossili in favore di un aumento della capacità da fonti rinnovabili e “pulite” – e vogliono azzerare le proprie emissioni nette di gas serra entro il 2050. Se è vero che la meta finale è la stessa, non lo sono però le misure da adottare per il suo raggiungimento.
La questione climatica è una questione economica
Gli entusiasmi a volte troppo facili sulla collaborazione – che è importante, necessaria e che ci sarà – per la neutralità carbonica tra Washington e Bruxelles tendono a eludere un punto invece fondamentale. La questione climatica è una questione energetica, e quindi inevitabilmente economica, industriale e geopolitica. Gli sforzi per la riduzione delle emissioni inquinanti, cioè, non soltanto obbligheranno i Paesi a riformulare i propri mix energetici, ma avranno anche delle ripercussioni importanti sulle economie e sulla società più in generale. Ci saranno settori – con i relativi lavoratori – che subiranno l’impatto più di altri; ci saranno processi produttivi da adeguare al nuovo contesto; ci saranno tecnologie da sviluppare e da immettere sul mercato, e chi riuscirà a farlo per primo otterrà un vantaggio su tutti gli altri.
Se si tiene conto di tutto questo, non stupisce allora l’intervista che l’inviato americano per il clima John Kerry ha rilasciato qualche giorno fa al Financial Times, dopo un viaggio di lavoro in Europa.
Cosa ha detto Kerry
Dalle dichiarazioni di Kerry emerge il dissenso degli Stati Uniti per la proposta europea di un meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera. Anche nota come carbon border tax, si tratta di una misura che consiste nell’introduzione di dazi sulle importazioni provenienti da quei Paesi esterni all’Unione che non si sono dotati degli stessi obiettivi di riduzione delle emissioni. Le tariffe all’ingresso permetterebbero dunque di “pareggiare” il costo dei beni importati da quelli prodotti internamente, sia per sfavorire la delocalizzazione all’estero, sia per proteggere le aziende in territorio europeo dalla concorrenza di quelle imprese straniere che non devono rispettare standard emissivi altrettanto rigorosi. Le industrie europee temono ad esempio di soffrire la competizione del cemento di provenienza marocchina e turco, più economico.
Inoltre, anche Kerry ha detto di essere “preoccupato”, ma per il meccanismo proposto da Bruxelles. Per lui una carbon border tax dovrebbe infatti essere “l’ultima risorsa”, perché ha “serie implicazioni per le economie, e per le relazioni e il commercio”. Ha invitato l’Unione europea a sospendere l’entrata in vigore della misura fino alla COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow il prossimo novembre.
Due punti di vista diversi
Il viaggio di Kerry in Europa lo ha portato a riunirsi con i rappresentanti del Governo britannico, di quello francese e della Commissione europea, con lo scopo di rafforzare la cooperazione sul taglio delle emissioni e riportare l’America alla guida della diplomazia climatica, dopo che la precedente amministrazione di Donald Trump si era ritirata dagli accordi di Parigi.
Il Presidente Joe Biden punta molto sul recupero delle alleanze storiche degli Stati Uniti, inclusa ovviamente quella transatlantica. Ma il valore geopolitico della transizione energetica – l’ennesimo terreno di confronto con la Cina – non consente a Washington di aderire pienamente alle proposte europee, perché potrebbero rivelarsi sconvenienti per la propria economia.
Il coordinamento con gli alleati per la definizione di standard verdi sarà senza dubbio molto importante per l’amministrazione Biden. Il Ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, ha proposto lo sviluppo di normative climatiche comuni tra America e Europa, in modo da creare omogeneità ed evitare tensioni commerciali. Ma Kerry sa bene che l’approccio europeo e quello americano sono diversi: il primo ricerca la regolamentazione rigida, il secondo la rifugge per principio. E lo ha detto, al Financial Times: “Agli Stati Uniti sta a cuore non avere regolamentazioni eccessive. Penso che tuteleremo questa cosa”.
Come sulla tecnologia, l’amministrazione Biden cercherà di promuovere standard condivisi a livello più esteso possibile, ma anche il più possibile filoamericani. Sembrerebbe esserci un piano per l’istituzione di meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera, ma finora i dettagli sono scarsi.
Dalle dichiarazioni di Kerry emerge il dissenso degli Stati Uniti per la proposta europea di una tassa alla frontiera sul carbonio: per l’amministrazione Biden, dovrebbe essere l’ultima risorsa…
Tra gli Stati Uniti e l’Unione europeac’è allineamento sugli obiettivi climatici: sia gli uni che l’altra hanno infatti imboccato la strada della transizione energetica – che prevede, semplificando, un distacco dai combustibili fossili in favore di un aumento della capacità da fonti rinnovabili e “pulite” – e vogliono azzerare le proprie emissioni nette di gas serra entro il 2050. Se è vero che la meta finale è la stessa, non lo sono però le misure da adottare per il suo raggiungimento.
La questione climatica è una questione economica
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