La Slovacchia ha approvato un accordo sulla difesa con gli Stati Uniti, i Paesi baltici dicono di volere più truppe Nato sui loro territori, i democratici americani hanno svelato la proposta di legge sulle sanzioni alla Russia in caso di attacco all’Ucraina
I colloqui tra gli Stati Uniti e la Russia sulla crisi al confine ucraino, e poi quelli immediatamente successivi tra la Nato e la Russia, non hanno prodotto risultati concreti. C’era da aspettarselo: al di là del valore del dialogo in quanto tale, le parti sono infatti su posizioni apparentemente inconciliabili.
Cosa vuole la Russia e cosa la Nato, in breve
Il Governo di Mosca vuole che l’alleanza rinunci a reclutare nuovi membri vicino alle sue frontiere: ne va della sicurezza nazionale, dice, mentre tace sul piano di espansione dell’influenza nello spazio ex-sovietico. Washington e la Nato, di contro, sostengono che ogni paese debba essere libero di decidere se aderire al Patto atlantico, e che i russi non abbiano autorità di veto. Il Segretario Generale dell’organizzazione, Jens Stoltenberg, si è comunque mostrato disponibile all’apertura di un dialogo sul controllo delle armi e lo schieramento di missili, pur riconoscendo la difficoltà di “colmare” il divario di vedute con il Cremlino.
La risoluzione della crisi, dunque, appare lontana, e probabilmente dal proseguimento delle trattative a Vienna – mentre scriviamo, l’evento non si è ancora concluso – non verrà fuori nulla di rilevante. Per provare a capire la traiettoria delle cose, allora, più che ai vertici formali è forse più utile guardare a ciò che avviene in contemporanea. Innanzitutto in Europa orientale.
L’accordo tra Slovacchia e Stati Uniti
Mercoledì la Slovacchia, confinante a est con l’Ucraina, ha approvato – manca però la ratifica del Parlamento – un accordo sulla difesa con gli Stati Uniti che garantirà a questi ultimi l’utilizzo delle basi aeree di Sliac e di Malacky. In cambio, Bratislava potrebbe accedere a fondi americani da 100 milioni di dollari. Il Governo slovacco ha tenuto a precisare che l’accordo è simile a quelli già stretti con altri ventitré membri della Nato, di cui fa parte.
Le parole dell’Estonia
La Prima Ministra estone, Kaja Kallas, in un’intervista a Reuters ha detto invece che i Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) stanno discutendo con gli alleati nella Nato per aumentare la loro presenza militare sui propri territori. La Russia è ovviamente contraria.
Dopo che Mosca ha annesso la Crimea nel 2014, sottraendola all’Ucraina, la Nato ha schierato delle forze in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Ma si tratta di contingenti ridotti, poco più di un migliaio di truppe ciascuno. Per avere un metro di paragone, al momento la Russia ha ammassato circa centomila unità lungo il confine ucraino.
Kallas ha detto chiaramente che un incremento della presenza alleata nell’area baltica fungerebbe da deterrente verso Mosca, per disincentivarla dal compiere nuove azioni aggressive.
Nelle ultime settimane si è notato come le tensioni russo-ucraine abbiano riacceso il dibattito sull’adesione alla Nato in Finlandia: l’opzione, particolarmente gradita all’Estonia, è stata menzionata sia dal presidente Sauli Niinisto che dalla Prima Ministra Sanna Marin.
Le sanzioni americane
Fuori dall’Europa, gli Stati Uniti hanno fatto trapelare alla stampa le loro opzioni anti-russe in caso di attacco all’Ucraina: ovvero sanzioni verso istituti bancari e funzionari politici e militari di alto livello (fino al presidente Vladimir Putin), restrizioni alle esportazioni, esclusione dalla rete SWIFT per i pagamenti internazionali.
Tra le contromisure americane viene tirato in ballo anche il Nord Stream 2, il gasdotto che collega direttamente Russia e Germania: la sua costruzione è terminata ma non è ancora entrato in funzione per alcune controversie burocratiche; Washington, che da anni si oppone alla condotta, potrebbe premere su Berlino per non far partire affatto i flussi. A maggio dell’anno scorso l’amministrazione di Joe Biden ha deciso di rimuovere le sanzioni sul Nord Stream 2 per favorire le distensioni con i tedeschi dopo gli anni burrascosi di Donald Trump. Come scrivevamo su eastwest, quella decisione non rappresentava un cambio strategico ma puramente tattico: e infatti il contrasto all’infrastruttura e al suo promotore, il Cremlino, sono proseguiti.
La minaccia di bloccare il Nord Stream 2 è una leva importante nelle mani dell’America nei confronti della Russia. Quest’ultima dovrà prenderne in considerazione l’impatto economico prima di procedere – eventualmente – con un’invasione dell’Ucraina.