Una fonte anonima dell’Internal Revenue Service americano ha passato i file che riguardano i vari Bezos, Musk e Buffett a ProPublica, il media di inchiesta e non-profit. Cosa è uscito fuori?
Una fonte anonima dell’Internal Revenue Service americano ha passato i file che riguardano i vari Bezos, Musk e Buffett a ProPublica, il media di inchiesta e non-profit. Cosa è uscito fuori?
Se si parla di fisco, grandi corporation e miliardari, il primo semestre del 2020 potrebbe segnare una storica inversione di tendenza. L’accordo in sede di G7 su una tassa minima del 15%, che pure è un accordo al ribasso perché prevede un’aliquota piuttosto bassa, è un passaggio importante. Ma a essere cambiato è tutto il senso del discorso: l’idea che i grandi gruppi multinazionali utilizzino scatole cinesi, espedienti contabili e collocazione delle proprie sedi in paradisi fiscali europei e non, è divenuta inaccettabile alle opinioni pubbliche del pianeta e anche ai Governi nazionali alla disperata ricerca di entrate.
Allo stesso modo, l’idea che le persone più ricche del pianeta non paghino un centesimo di tasse è pure divenuta inaccettabile. Talmente inaccettabile che qualche dipendente dell’Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia del fisco degli Stati Uniti, ha deciso di passare in forma anonima i file che riguardano i vari Bezos, Musk, Buffett a ProPublica, il media di inchiesta e non-profit, che li ha analizzati a fondo. Il risultato “demolisce il mito cardine del sistema fiscale americano secondo cui tutti pagano il giusto e i più ricchi pagano di più. I registri dell’IRS mostrano che i più ricchi possono – in modo perfettamente legale – pagare tasse sul reddito che sono una piccola frazione delle centinaia di milioni, se non miliardi, che hanno accumulato”. Non solo le Corporation pagano zero tasse, dunque, ma anche i loro manager e proprietari.
ProPublica ha analizzato i dati relativi alle 25 persone più ricche degli Stati Uniti comparando il dato su quanto hanno versato al fisco con la ricchezza calcolata da Forbesnella sua classifica annuale sulla ricchezza. Risultato? Negli ultimi dieci anni è capitato che diversi tra i ricchissimi non abbiano versato un centesimo in tasse, è successo a Bezos nel 2007 e nel 2011, a Elon Musk nel 2018 e diverse volte a Michael Bloomberg, che non a caso ha potuto buttare milioni in una disastrosa campagna per le primarie democratiche nel 2020. Tra il 2014 e il 2018 il reddito dei primi quattro miliardari è aumentato di cifre che oscillano tra i 13 e i 99 miliardi; su questa nuova ricchezza Warren Buffett ha pagato lo 0,10% di tasse sulla crescita, Jeff Bezos lo 0,98% ed Elon Musk il 3,27%. Non esattamente un salasso.
Quante scappatoie?
Ma come è possibile tutto questo? Le ragioni sono diverse. I salari dei miliardari sono spesso relativamente bassi (Bezos 80mila dollari l’anno) e la crescita dei loro patrimoni dipende dall’andamento dei pacchetti azionari in loro possesso, nonché delle loro proprietà. Questo aumento di valore non viene tassato se non quando le azioni o le proprietà vengono vendute. Non solo, ProPublica racconta il meccanismo secondo il quale queste persone la cui ricchezza è cresciuta di 401 miliardi tra il 2014 e il 2018 tendano a chiedere prestiti che devono poi ripagare. I tassi di interesse sono talmente bassi che prendere miliardi in prestito non costa quasi nulla, si usano quei soldi per le “spese correnti” e poi i dividendi per restituire quando dovuto. E così la nuova ricchezza diviene in parte soldi restituiti. Bezos, in un anno in cui ha perso soldi in Borsa, ha addirittura ottenuto un credito fiscale di 4mila dollari per le spese sostenute per il figlio.
Di scappatoie così ne esistono molte altre e le architetture sono spesso così complesse che l’IRS non ha le risorse necessarie per verificare se sia tutto e del tutto lecito. Nei casi presi in considerazione, comunque, stiamo parlando di modi di evitare di pagare le tasse che sono del tutto legali. Il dato interessante è che capita che le ispezioni sulla elusione fiscale avvengano in maniera molto più frequente nelle aree povere del Paese: se sei ricco puoi permetterti dei super-commercialisti, se sei povero sbaglierai ad archiviare le fatture e rischi la multa. Un tema di cui si parla da tempo e che Biden ha promesso di affrontare è tra l’altro il sotto dimensionamento e sotto finanziamento dell’IRS.
Perché sia tutto chiaro occorre aggiungere altri particolari: le imprese di cui queste persone sono proprietarie, manager o di cui detengono titoli azionari spesso non pagano tasse – e questi sono dati che conoscevamo già e che già suscitano scandalo nell’opinione pubblica. Le ricchezze individuali dei miliardari non vengono colpite neppure alla fonte. Aggiungiamo che i dati ottenuti da ProPublica riguardano i 25 più ricchi, ma che strumenti simili sono a disposizione di altre migliaia di miliardari e milionari d’America che in questi anni e durante la pandemia hanno visto crescere la propria ricchezza.
Altra vicenda in qualche modo legata a questa riguarda l’accordo del G7 sulla tassa globale al 15%. Perché? Non tanto e non solo perché si tratta di un’aliquota troppo bassa che in alcuni Paesi significherebbe un’imposizione più bassa di quella in vigore. La questione riguarda le trattative e il “prodotto” finale. È di ieri, infatti, la notizia secondo cui la Gran Bretagna sta premendo per escludere le imprese finanziarie da quella tassa. Una posizione che gli Stati Uniti non accetteranno perché il loro intento è non far pagare la nuova tassa solo a grandi gruppi americani. A partire dal 2008 e in maniera crescente con la pandemia il tema delle disuguaglianze è divenuto centrale e le ricchezze accumulate da imprese e individui intollerabili alla vista di vasti segmenti dell’opinione pubblica globale. I dati sul fisco Usa, la difficoltà a trovare un accordo buono in sede Ocse, le eccezioni richieste dal Regno Unito segnalano come il problema di far pagare il giusto a tutti e ciascuno, pur divenuto centrale, sia ancora lontano dall’essere risolto.
Una fonte anonima dell’Internal Revenue Service americano ha passato i file che riguardano i vari Bezos, Musk e Buffett a ProPublica, il media di inchiesta e non-profit. Cosa è uscito fuori?
Se si parla di fisco, grandi corporation e miliardari, il primo semestre del 2020 potrebbe segnare una storica inversione di tendenza. L’accordo in sede di G7 su una tassa minima del 15%, che pure è un accordo al ribasso perché prevede un’aliquota piuttosto bassa, è un passaggio importante. Ma a essere cambiato è tutto il senso del discorso: l’idea che i grandi gruppi multinazionali utilizzino scatole cinesi, espedienti contabili e collocazione delle proprie sedi in paradisi fiscali europei e non, è divenuta inaccettabile alle opinioni pubbliche del pianeta e anche ai Governi nazionali alla disperata ricerca di entrate.
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