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Nomine Ue: tre posti in ultima fila per l’Italia


Dopo Draghi, Tajani e Mogherini per l'Italia è finita la pacchia

Pedoni camminano verso il Parlamento Europeo a Bruxelles, Belgio, 30 aprile 2019. REUTERS/Francois Lenoir

Dopo Draghi, Tajani e Mogherini per l’Italia è finita la pacchia

Ovviamente per ora sono solo speculazioni. Che andranno riviste e corrette alla luce dei risultati delle elezioni europee del 26 maggio. Ma una cosa è certa: l’Italia non avrà più (forse per molti anni ancora) un numero così alto di poltrone europee di altissimo profilo. Entro l’autunno andranno a scadenza la presidenza della Bce a Mario Draghi, quella del Parlamento Europeo ad Antonio Tajani e quella di Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Europea a Federica Mogherini.

Una felice combinazione di impegno, curricula e casualità ha prodotto una tale sovraesposizione del nostro Paese per i posti chiave dell’Unione Europea. L’efficienza del Sistema Italia c’entra poco o nulla. Draghi fu designato alla Bce nell’ultimo periodo del Governo Berlusconi e quasi di malavoglia, con la sorda opposizione dell’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. È stato solo il suo prestigio personale e il generale apprezzamento di cui godeva all’interno del club dei governatori europei (e non solo) a trasformarlo nel migliore candidato per il dopo Trichet. Tutta in salita, per colpa del nostro Governo (ma siamo già nell’era Renzi), fu anche la strada per Federica Mogherini, già Ministro degli Esteri. Renzi chiese per lei la poltrona di Alto Rappresentante. All’obiezione (fondata) del neo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker secondo il quale i portafogli li avrebbe decisi il Presidente e non i Governi degli Stati membri, Renzi, forte del suo 40% raccolto alle elezioni del 2014, minacciò Juncker di non farlo votare dai parlamentari italiani della famiglia socialista. E la Mogherini passò. Ma fu relegata ai piani bassi del Palazzo della Commissione mentre la sua ex Ashton continuava a negoziare il nucleare iraniano. Diverso il caso di Tajani che si è distinto nei suoi oltre venti anni a Bruxelles come un assiduo lavoratore, già commissario all’Industria e molto attivo nel Ppe tanto che sul suo nome per il dopo-Schultz nessuno ha avuto nulla da obiettare.

Ora la situazione è tutta diversa. Ma poi non così tanto. L’Italia continua a non fare sistema ma forse non potrà più contare sui colpi di fortuna del passato. Nessun italiano è ovviamente tra gli Spitzenkandidaten, ossia i candidati scelti dalle grandi famiglie politiche come presidente della Commissione per il dopo Juncker. E fin qui nulla di male. Le incognite restano fortissime perché nessuno dei candidati ha la qualità sempre premiata nel passato ossia quella di essere stati già premier nel proprio Paese. La spartizione tra le poltrone prevede che i tre posti chiave ossia Presidente della Commissione, Presidente del Consiglio e Alto Rappresentante vengano divisi tra Ppe, socialisti e liberali. Ma i curricula degli Spitzen sono un po’ deboli, soprattutto quello del popolare Weber che, nel caso in cui la Cancelliera Merkel decidesse di sbarcare a Bruxelles come Presidente dl Consiglio al posto del polacco Tusk, vedrebbe infranta ogni sua eventuale aspirazione. La terza forza del Parlamento dovrebbero essere i liberali di Alde che non hanno scelto uno Spitzenkandidat (ne hanno sette tra cui la Bonino). A loro potrebbe andare la presidenza del Parlamento Ue o la poltrona di Alto Rappresentante per la politica estera. Per quest’ultimo incarico il nome già c’è ed è quello dell’ex premier belga, Guy Verhofstadt.

E l’Italia?  Il premier Giuseppe Conte ha fatto solo qualche timida avance dicendo nell’ultimo vertice Ue di Sibiu alla Cancelliera Merkel che l’Italia potrebbe essere interessata ai portafogli dell’Industria o degli Affari sociali. Due portafogli che hanno una visibilità e forza politica vicina alla zero e che vanno ad aggiungersi a un altro portafoglio di cui aveva parlato Salvini, ossia l’agricoltura. I nomi per questi posti restano sempre gli stessi: Zaia, Giorgetti, Fontana e lo stesso Ministro degli Esteri Moavero. A Sibiu qualcuno ha chiesto a Conte se anche lui è candidato a commissario italiano? “Mi vuole proprio fare una iettatura” – ha risposto Conte – “vorrebbe dire che il Governo cade”. Una cosa però è certa: da tre posti chiave che abbiamo l’Italia si candida a uno solo di tre che sono però tutti in ultima fila…   

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