Con la missione Hope Probe su Marte, gli Emirati Arabi Uniti hanno deciso di investire sul loro futuro
Con il successo della missione Hope Probe, gli Emirati Arabi Uniti sono il primo Paese arabo e il quinto al mondo a inviare un satellite nell’orbita di Marte. La sonda era partita lo scorso 20 luglio dallo spazioporto situato sull’isola di Tanegashima, in Giappone, ed è stata catturata dall’orbita di Marte il 9 febbraio alle 19:42 – ora di Abu Dhabi (le 16:42 in Italia) – dopo aver percorso un totale di 493 milioni di chilometri.
Il traguardo raggiunto dagli Emirati in campo spaziale rappresenta le aspirazioni della giovane confederazione emiratina – che, tra l’altro, il prossimo 2 dicembre festeggerà i 50 anni della sua fondazione – di divenire un attore di prim’ordine a livello regionale e internazionale, con importanti implicazioni anche per partner stranieri come l’Italia.
“La dirigenza emiratina ha investito tutto sul futuro per tenere insieme un popolo e una federazione di Stati. La sonda nell’orbita di Marte rappresenta una spettacolare declinazione di questo loro investimento sul futuro”, dichiara ad Agenzia Nova, Giuseppe Scognamiglio, Presidente di Eastwest European Institute e Direttore della rivista di geopolitica eastwest, il quale ricorda che, a differenza di Paesi come l’Italia, con 2000 anni di tradizioni e storia, gli Emirati sono un Paese giovane sorto di fatto in mezzo al deserto, e questa loro particolare situazione ha spinto la leadership a trarre la propria ispirazione per sé e per la popolazione dal futuro. “In Italia, possiamo dire che il collante della nostra civiltà è il passato, la nostra storia. Noi abbiamo una manifattura di prim’ordine perché ci rifacciamo a Leonardo da Vinci, alle nostre tradizioni artigianali che risalgono a 2000 anni fa. Il collante per gli Emirati Arabi invece è il futuro”.
“Questa visione del futuro ha una matrice politica che risiede nel fondatore degli Emirati Sheikh Zayed bin Sultan Al Nahyan, che può essere definito il Jean Monnet del Golfo”, osserva Scognamiglio. Sheikh Zayed, già emiro di Abu Dhabi, ebbe la lungimiranza di guardare oltre e lanciare una visione in un’area del mondo “dove non vi era nulla”, proponendo una federazione di nove emirati, senza guardare direttamente al suo interesse. Infatti, alla fine degli anni ’60, Abu Dhabi era la zona più ricca di petrolio e una confederazione con Paesi meno ricchi non aveva senso apparente. Ma la visione andava oltre il breve periodo…
Con un interscambio che nel 2019 si è attestato a quasi 5 miliardi e mezzo di euro, l’Italia è uno dei principali partner degli Emirati all’interno dell’Unione europea, con una bilancia a suo favore di ben 4,577 miliardi sempre nel 2019. Come osserva Scognamiglio, “l’interscambio commerciale è una spia nei rapporti non solo di carattere economico ma anche culturale e politico. Le nostre imprese hanno rappresentato alcune grandi realizzazioni simboliche: la Grande moschea di Abu Dhabi realizzata negli anni ’90 dall’allora Impregilo (oggi Webuild); il primo parco a tema (Ferrari World) di Abu Dhabi; i desalinizzatori, da cui deriva il 90% dell’acqua potabile di Dubai, realizzati da un’azienda italiana. Questo rende evidente la solidità di un rapporto fin dalla nascita”.
“Se vogliamo tradurre rapporto commerciale in politica, occorre dire che vi è stato un vuoto all’inizio dei primi anni 2000”, sottolinea: si è assistito a uno stop di 20 anni dalla visita negli Emirati organizzata nel 1992 dall’allora premier Giulio Andreotti a quella del premier Mario Monti del 2011. Come osserva Scognamiglio, dal 2011 in poi, tutti i premier che si sono succeduti a Palazzo Chigi hanno compiuto almeno una visita negli Emirati, manifestando “un’esplosione di rapporti politici significativi che fanno da sfondo a questi investimenti e a un interscambio importante”.
In merito alla fine delle tensioni tra il Qatar e gli Emirati – sancito dall’accordo firmato al Consiglio di cooperazione del Golfo di Al Ula dello scorso 5 gennaio – il Direttore di eastwest commenta che è “una buona notizia per l’Italia”, perché consente a Roma di “spendere in modo più utile certi rapporti politici senza scegliere l’uno o l’altro fronte”. Per Scognamiglio, l’Italia deve considerare che non può investire in un’evoluzione dei rapporti politici con gli Emirati a scapito dell’asse Turchia-Qatar.
“La Turchia è un membro della Nato e candidata a entrare nell’Unione europea. È un alleato tradizionale dell’Italia. In politica estera la storia ha un peso diverso, significativo. È evidente che abbiamo il problema di provare a ravvicinare questi assi paralleli che si sono creati, soprattutto in questi ultimi anni, attorno al ruolo anche della Fratellanza musulmana, della sua dimensione democratica o meno, che preoccupa molto gli amici emiratini e su cui invece hanno investito i turchi. Queste due dimensioni complesse, “noi italiani cerchiamo di gestirle bilanciando interessi e rapporti tradizionali”, precisa Scognamiglio. “La riapertura dei rapporti diplomatici, e non solo, tra Emirati e Qatar, avvenuta non casualmente con l’avvento della nuova amministrazione Usa, è per noi italiani una buona notizia, e ci consente di spendere in modo più utile i nostri rapporti politici”, sottolinea Scognamiglio.
“Certamente, noi, come Italia, investiamo e scommettiamo su un Paese come gli Emirati che hanno investito sul futuro. Noi siamo in prima linea. Per l’Expo di Dubai l’Italia non a caso è stata front runner’a scapito anche della Russia, che aveva candidato Ekaterinburg per l’esposizione universale del 2020. Una partnership tradizionale come quella con Mosca è stata sacrificata per un investimento a favore degli Emirati e della loro scommessa sul futuro”, conclude Scognamiglio.
Con la missione Hope Probe su Marte, gli Emirati Arabi Uniti hanno deciso di investire sul loro futuro
Con il successo della missione Hope Probe, gli Emirati Arabi Uniti sono il primo Paese arabo e il quinto al mondo a inviare un satellite nell’orbita di Marte. La sonda era partita lo scorso 20 luglio dallo spazioporto situato sull’isola di Tanegashima, in Giappone, ed è stata catturata dall’orbita di Marte il 9 febbraio alle 19:42 – ora di Abu Dhabi (le 16:42 in Italia) – dopo aver percorso un totale di 493 milioni di chilometri.
Il traguardo raggiunto dagli Emirati in campo spaziale rappresenta le aspirazioni della giovane confederazione emiratina – che, tra l’altro, il prossimo 2 dicembre festeggerà i 50 anni della sua fondazione – di divenire un attore di prim’ordine a livello regionale e internazionale, con importanti implicazioni anche per partner stranieri come l’Italia.
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