Dopo l’accordo firmato con il Fronte popolare del Tigray, il governo di Abiy Ahmed – premio Nobel per la pace nel 2019 – inizia a trattare con il più numeroso gruppo etnico etiope, gli Oromo, da decenni esclusi dai ruoli di potere.
Il governo etiope e l’Esercito di liberazione Oromo, un gruppo ribelle meglio conosciuto con la sigla OLA, hanno iniziato dei colloqui di pace sull’isola di Zanzibar, in Tanzania. La notizia è stata annunciata da un portavoce della milizia ed è stata in seguito riportata da numerosi media internazionali, tra cui Reuters, Africanews e France24.
Il dialogo è mediato da Kenya e Norvegia e arriva in un momento favorevole per il governo di Addis Abeba, con il conflitto nella regione settentrionale del Tigray che sembra essere temporaneamente risolto, dopo due anni di scontri. I colloqui puntano perciò a risolvere un altro annoso problema per le istituzioni centrali, quello dell’insurrezione Oromo, e hanno lo scopo di trovare un compromesso tra i ribelli e l’esecutivo guidato da Abiy Ahmed Ali, così da far terminare le violenze.
Gli Oromo costituiscono il maggiore tra i numerosi gruppi etnici che compongono l’Etiopia: questo conta infatti circa 45 milioni di persone, oltre un terzo del totale. Da decenni però, nonostante la sua rilevanza in termini numerici, questa popolazione è discriminata e in gran parte esclusa dai ruoli di potere.
Si tratta di una tendenza che si è affermata in particolare in seguito al rovesciamento del regime di Mengistu e alla presa del potere da parte di una coalizione di forze ribelli, l’EPRDF. Si trattava infatti di un’alleanza in cui era molto forte il ruolo dei Tigrini, un gruppo etnico del Nord del Paese, mentre altri gruppi, tra cui gli Oromo, erano di fatto esclusi dai giochi politici.
La marginalizzazione di questa etnia si era mostrata con l’inclusione tra i gruppi terroristici dell’OLF, la milizia Oromo che aveva contribuito alla deposizione di Mengistu. Di conseguenza, nei vent’anni in cui l’Etiopia era stata guidata dal tigrino Meles Zenawi, l’OLF non aveva mai cessato di impegnarsi in una ribellione a bassa intensità e in una serie di atti di violenza.
Una svolta era sembrata arrivare con la nomina a primo ministro di Abiy Ahmed, nel 2018. Il nuovo leader si era presentato come riformatore e intenzionato a segnare uno stacco con il passato: nei suoi primi mesi di governo, le mosse di apertura e l’accordo di pace con l’Eritrea gli erano valsi addirittura l’assegnazione del premio Nobel per la pace.
Abiy Ahmed aveva suscitato grandi aspettative anche nella popolazione Oromo, per il fatto di fare parte del gruppo etnico e anche perché, appena giunto al potere, aveva rimosso l’OLF dalla lista delle milizie terroristiche e aveva dato il via a nuovi colloqui di pace. Questi si erano di fatto conclusi con un accordo nel 2018, che era stato però rifiutato da alcune fazioni più radicali: dall’OLF si era così staccato l’OLA, deciso a portare avanti la guerriglia.
Per un primo periodo, le azioni dell’Esercito di liberazione Oromo erano state circoscritte a poche aree, a causa della forza limitata del gruppo. In seguito, però, l’abbandono della spinta riformista da parte del primo ministro e il controverso omicidio del cantante pop Oromo Hachalu Hundessa, critico verso il governo, avevano portato a una nuova crescita del malcontento all’interno del gruppo etnico e quindi a un nuovo spazio di azione per l’OLA. A questo si era aggiunto un contesto favorevole: il conflitto in Tigray, sorto nel 2020, aveva portato a un vuoto di potere e aveva aiutato la milizia a godere di maggiore libertà di azione.
Ora, però, il contesto politico etiope è profondamente cambiato. Lo scorso novembre, il governo di Addis Abeba e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) hanno firmato un accordo di cessazione permanente delle ostilità, che sembra aver posto fine alla guerra che per due anni ha devastato il Paese. Da quel momento, sono infatti cessate le azioni di violenza ed è iniziata una normalizzazione dei rapporti tra la capitale e la regione settentrionale: nei giorni scorsi è stato ripristinato il collegamento stradale, mentre da alcuni mesi la compagnia aerea etiope ha ripreso a volare tra Addis Abeba e il Tigray.
L’Etiopia sembra perciò avviata verso una nuova fase di stabilità, per quanto questa sia precaria. E, risolta la questione tigrina, il governo ha ora forza a sufficienza per dedicarsi alle altre problematiche, tra cui appunto la violenza portata avanti dall’OLA. In questa situazione, era perciò soltanto questione di tempo prima che l’esecutivo avviasse nuovi colloqui di pace con la milizia: il loro successo, o il contrario, determinerà la stabilità del Paese nel prossimo futuro e il ruolo che l’Etiopia e Abiy Ahmed potranno ricoprire sullo scacchiere internazionale.
Il governo etiope e l’Esercito di liberazione Oromo, un gruppo ribelle meglio conosciuto con la sigla OLA, hanno iniziato dei colloqui di pace sull’isola di Zanzibar, in Tanzania. La notizia è stata annunciata da un portavoce della milizia ed è stata in seguito riportata da numerosi media internazionali, tra cui Reuters, Africanews e France24.