L’ex dipendente è intervenuta al Senato muovendo gravi accuse contro il colosso di Zuckerberg. Il Congresso sembra intenzionato a ottenere il consenso bipartisan per regolamentare il social network e le altre Big Tech
Le migliaia di pagine di documenti interni, l’intervista Tv e poi l’audizione davanti al Senato. Frances Haugen, la whistleblower ed ex dipendente Facebook, è divenuta l’ennesimo caso di ex dipendente della società di Menlo Park a suonare l’allarme sulle pratiche per catturare più traffico e i mancati controlli sui contenuti falsi o incitanti all’odio. Con la differenza che Haugen ha appunto migliaia di pagine di materiale a conferma delle sue parole e che il Congresso sembra intenzionato a muoversi.
Durante la sua testimonianza, infatti, si è assistito al raro caso in cui i due fronti della Camera alta statunitense, invece che tirarsi bordate, concordavano sulla necessità di agire per regolare il social network.
La denuncia di Frances Haugen
Ricapitoliamo le denunce di Haugen: una struttura di controllo che non si appoggia sulla valutazione umana ma sull’algoritmo, che è spesso incapace di discernere il vero dal falso; la tolleranza verso i contenuti che per loro natura generano più reazioni da parte degli utenti (contenuti violenti, incitamento all’odio e così via); la consapevolezza e l’indifferenza di fronte al fatto che il flusso di immagini di persone belle, ricche e famose che fanno cose in luoghi esclusivi alimenti le insicurezze, i disturbi alimentari e la depressione delle teenager. Non è finita, Haugen segnala come le ricerche Facebook mostrino che le vedove e le persone che si trasferiscono in nuove città – persone potenzialmente più isolate dal contesto in cui vivono – sono quelle che sono più esposte alla disinformazione. E poi c’è la disinformazione sul coronavirus e sui vaccini.
Si tratta di accuse gravi che hanno fatto scattare il parallelo con la vicenda che negli anni ’80 hanno portato a regole molto rigide per il fumo e costretto negli anni successivi Big Tobacco a pagare miliardi in compensazioni per aver nascosto i propri dati sui pericoli del fumo, sulla dipendenza, per aver sostenuto che le sigarette leggere fossero meno dannose e così via. Anche Facebook avrebbe nascosto quel che sapeva, il che fa una grossa differenza con la posizione tenuta generalmente da Mark Zuckerberg – e dal resto del management della società – quando viene sollecitato in materia: noi facciamo del nostro meglio, ma il terreno nel quale ci muoviamo è inesplorato, a ogni questione che si pone diamo risposte che non sempre riescono a essere adeguate o eliminare il problema. I documenti di Haugen mostrano invece una consapevolezza interna relativa ad alcune questioni – gli effetti sull’adolescenza ad esempio – che vengono però tenute nascoste a istituzioni e pubblico.
Tra le cose che Haugen ha suggerito c’è la possibilità che il Congresso obblighi il social network a condividere con le commissioni competenti più materiali e ricerche interne che contribuiscano così a conoscere quel che anche Facebook conosce e a fornire elementi che aiutino le istituzioni a capire in che direzione andare per pensare a nuove regole. Si tratta di un terreno complicato per molte ragioni: le eventuali regole riguardano infatti ambiti diversi. C’è l’enorme tema del monopolio e dei comportamenti contrari alla concorrenza come l’acquisizione delle startup considerate come concorrenti possibili o in grado di portare più utenti, come è il caso di Instagram, app di successo tra i teenager comprata dopo il calo del numero di giovani iscritti a Facebook. Qui l’idea, avanzata dalla sinistra del Partito democratico, è quella di usare la normativa antitrust per smembrare il colosso o impedire l’acquisizione di rivali. Un caso simile si pose con Microsoft nel 2001, che però spuntò un accordo con il Dipartimento di Giustizia evitando così lo smembramento (molti giudicarono l’accordo inadeguato).
Fake news e discorsi d’odio
C’è poi il tema delle fake news e dell’assenza di controllo sui contenuti violenti o del discorso d’odio. Altro terreno scivoloso che l’impresa fondata da Zuckerberg utilizza molto bene segnalando l’importanza della libera circolazione delle informazioni e della libertà di parola.
Le novità di questa testimonianza riguardano l’atteggiamento degli eletti. C’è una maggior capacità di porre domande e individuare quali siano le questioni cruciali. Se in passato il tema dei social network era nuovo, ormai tra studi, pubblicazioni, casi passati (i vaccini, Myanmar, le elezioni del 2016, il 6 gennaio, Cambridge Analytica) i legislatori cominciano ad avere un know-how che prima non avevano.
Il consenso bipartisan
E poi c’è il consenso bipartisan sulla necessità di regolare l’industria. Nelle prossime settimane Zuckerberg verrà chiamato a rispondere: “Mark Zuckerberg dovrebbe venire a testimoniare”, ha detto il senatore Richard Blumenthal (D), Presidente della sottocommissione per la protezione dei consumatori del Senato: “Se è in qualche modo in disaccordo con tutto ciò che è stato detto qui, è lui che dovrebbe farsi avanti, è lui che comanda a Facebook”.
La strategia difensiva del social network è quella che abbiamo richiamato sopra, l’altra più subdola è segnalare come Haugen non si sia occupata, ad esempio, di adolescenti o di altri temi che ha sollevato. “Oggi, una sottocommissione del Senato ha tenuto un’udienza con un ex Product Manager di Facebook che ha lavorato per l’azienda per meno di due anni, non ha mai partecipato a una riunione decisionale con dirigenti di livello C – e ha dichiarato più di sei volte di non aver lavorato sugli argomenti di cui parlava”, ha dichiarato Lena Pietsch, direttore delle comunicazioni della società.
Se e come il Congresso giungerà a immaginare e approvare regole per il social network e le altre Big Tech lo staremo a vedere e non è affatto detto. Certo è che questa testimonianza rende la pressione su Facebook maggiore di quanto già non fosse.
Le migliaia di pagine di documenti interni, l’intervista Tv e poi l’audizione davanti al Senato. Frances Haugen, la whistleblower ed ex dipendente Facebook, è divenuta l’ennesimo caso di ex dipendente della società di Menlo Park a suonare l’allarme sulle pratiche per catturare più traffico e i mancati controlli sui contenuti falsi o incitanti all’odio. Con la differenza che Haugen ha appunto migliaia di pagine di materiale a conferma delle sue parole e che il Congresso sembra intenzionato a muoversi.
Durante la sua testimonianza, infatti, si è assistito al raro caso in cui i due fronti della Camera alta statunitense, invece che tirarsi bordate, concordavano sulla necessità di agire per regolare il social network.