In uno scenario politico ormai strutturato in tre grandi blocchi, con Le Pen e Mélenchon agli estremi, Macron deve rafforzare la sua posizione centrista in vista del voto di giugno, con un occhio al “quarto blocco”, il 28% di astensionisti
La promessa iniziale era quella di superare il vecchio dualismo destra-sinistra, non di spazzarlo via lasciandone solo le macerie. Almeno questo sembra essere il risultato dopo la rielezione di Emmanuel Macron in Francia. E pensare che nel 2017 il programma dell’allora candidato di En Marche! alla sua prima corsa per l’Eliseo sembrava incarnare una nuova sintesi: un concentrato di politiche economiche liberali con qualche sfumatura sociale, condito da un tocco protezionista in salsa europea e un pizzico di ecologia.
Una débâcle generale
Tanto è bastato per dare il colpo di grazia al Partito socialista e ai Repubblicani, entrambi già sofferenti da tempo. Le due formazioni tradizionali, eredi di una lunga tradizione politica, oggi si ritrovano a raccogliere i cocci rimasti dopo il primo turno delle ultime presidenziali. La candidata del centro-destra Valérie Pécresse è arrivata quinta con un misero 4,7%, davanti all’ambientalista Yannick Jadot (4,63%), il comunista Fabien Roussel (2,28%) e la socialista Anne Hidalgo, crollata all’1,7%.
Una débâcle generale ampiamente annunciata dai sondaggi, frutto anche della strategia di Macron, che negli ultimi anni ha rimodellato il paesaggio politico francese incentrandolo sul duello con la rivale del Rassemblement National, Marine Le Pen. Un capovolgimento totale rispetto al passato, quando le realtà radicali si trovavano agli estremi. Forte della sua esperienza da Ministro dell’Economia durante la presidenza del socialista François Hollande che gli ha garantito una certa credibilità a sinistra, l’attuale inquilino dell’Eliseo nel 2017 ha formato un governo pescando ministri di diversi orientamenti, con una predilezione per i Repubblicani. Un modo per rafforzare la sua immagine super partes mostrandosi aperto ad altre sensibilità politiche, tutte ovviamente riunite sotto il suo ombrello.
Nel corso degli anni, però, il Presidente è stato accusato più volte di aver spostato gradualmente il baricentro verso destra, con un’attenzione particolare alla sicurezza e a misure economiche che sembravano rubate dal programma dei Repubblicani. Un atteggiamento pragmatico, rivolto verso l’elettorato conservatore moderato per spazzare via quel che rimaneva di una famiglia politica orfana di una vera leadership.
Tuttavia, le ragioni della crisi non dipendono solo dallo zampino del Presidente, come ricorda anche il politologo Dominique Reynié, professore all’università Sciences Po di Parigi e direttore della Fondazione per l’innovazione politica: “Questi partiti erano già in difficoltà prima dell’arrivo al potere di Macron, che si è trovato uno spazio utile per candidarsi ed essere eletto nel 2017”.
Destra e sinistra esistono ancora?
Ma allora in Francia destra e sinistra esistono ancora? “Non c’è più la stessa chiarezza partitocratica del passato”, afferma il politologo, aggiungendo che l’arrivo de La République en marche, partito di Macron, ha gettato “una sorta di oscurità” sulla politica francese. È un’organizzazione effimera – dice il professore − che durante il precedente quinquennio non è veramente esistita e molto probabilmente non esisterà nemmeno in questo che comincia”.
Le elezioni legislative di giugno appaiono quindi come una tappa cruciale. Da una parte i Repubblicani, che temono un esodo dei propri dirigenti verso la sponda macroniana, nonostante le garanzie del presidente Christian Jacob sulla “indipendenza totale” del partito. La formazione neo-gollista si ritrova lacerata in varie correnti interne, tra chi è disposto a tendere una mano al capo dello Stato sull’esempio del suo predecessore Nicolas Sarkozy, chi rimane intransigente e chi, invece, vedrebbe di buon occhio un avvicinamento a Le Pen o all’ultraconservatore Eric Zemmour. Ma la famiglia di centro-destra deve ritrovare soprattutto la propria identità. La candidatura di Pécresse ha fatto emergere la mancanza di una linea chiara. Troppi errori di comunicazione, tentennamenti nelle proposte e mancanza di originalità. Nel corso della campagna elettorale, la candidata repubblicana è rimasta goffamente schiacciata tra le proposte liberali di Macron e quelle identitarie di Le Pen, senza presentare una valida alternativa ai due favoriti.
Sul fronte opposto, invece, si cerca di ricomporre una galassia sempre più atomizzata. All’indomani delle elezioni si è aperto un dialogo su un’eventuale coalizione guidata da Jean-Luc Mélenchon, unico candidato di sinistra in posizione di forza dopo il 22% incassato alle presidenziali. Tutti gli altri partiti si sono trovati costretti a scegliere tra l’appoggio al “tribuno” della gauche e il rischio di scomparire definitivamente dai radar. Ma le trattative tra separati in casa sono sempre complicate. I punti programmatici presentano forti divergenze gli uni dagli altri e di certo le negoziazioni non sono state agevolate da una figura invasiva come quella di Mélenchon, che sui volantini elettorali delle legislative chiede addirittura di essere eletto “Primo Ministro”. Alla fine i socialisti hanno sottoscritto le proposte della France Insoumise in vista di un accordo e, nel momento i cui scriviamo, i Verdi si mostrano ottimisti per un’unione.
Secondo l’esperto “è una situazione molto particolare, ma è certo che l’esistenza di questi partiti è minacciata”. Reynié parla di due “test” cruciali da cui dipenderà l’esistenza della destra e della sinistra in Francia: “Il primo è rappresentato dalle legislative. Se i Repubblicani riusciranno a non sciogliersi nel macronismo sopravviveranno fino alla tappa successiva, mentre i socialisti rischiano di scomparire nel caso di un’alleanza con la France Insoumise di Mélenchon”.
Possibili scenari futuri
A questa fase ne seguirà una seconda: le elezioni locali dei prossimi anni, come le municipali, le regionali o le dipartimentali. A differenza de La Republique en marche di Macron o del Rassemblement National, i partiti storici ancora vantano un forte ancoraggio territoriale, unico punto di forza in tutto il Paese sul quale possono contare. “Se non manterranno una presenza locale forte come quella di oggi, entrambi i partiti saranno finiti perché in quel caso perderanno i loro ultimi baluardi”, dice Reynié
In un simile scenario, Macron porta a compimento l’opera lanciata il primo giorno della sua avventura presidenziale. In uno scenario politico ormai strutturato in tre grandi blocchi, con Le Pen e Mélenchon agli estremi, l’inquilino dell’Eliseo deve rafforzare la sua posizione centrista attirando a sé il maggior numero di moderati in vista del voto di giugno. “Magari ci sarà anche qualcuno che si unirà a lui per ammirazione o convinzione ma molti lo faranno per opportunismo”, afferma il politologo. L’obiettivo è quello di formare un fronte più compatto possibile, “impedendo alle realtà rimaste isolate di organizzarsi per lanciare una ricomposizione parziale della destra e la sinistra”, afferma il professore. Lasciare gli estremi marginalizzarsi il più possibile, inglobando quel poco che resta per avere il controllo su tutte le altre realtà, da tenere buone almeno in vista del prossimo voto. Un’attenzione particolare va poi anche agli astensionisti, il “quarto blocco” dell’attuale scenario secondo Reynié, che ricorda il 28% raggiunto al ballottaggio delle presidenziali, il dato più alto degli ultimi cinquant’anni: “si tratta di elettori che possono stravolgere la situazione nel momento in cui decidono di tornare a votare”.
Destra e sinistra si trovano così costrette a lottare per non scomparire del tutto, almeno nei prossimi cinque anni, al termine dei quali il presidente non potrà più candidarsi per la terza volta.
“Tutto dipenderà dalla capacità di Macron di far vivere il macronismo, che senza il suo fondatore difficilmente continuerà ad esistere”, spiega Reynié. “Una volta giunto al termine del secondo mandato il capo dello Stato non potrà più presentarsi e a quel punto ci sarà una sorta di liberazione della classe politica tradizionale che si chiederà cosa fare”.
La lotta per l’erede del macronismo, quindi, potrebbe cominciare prima di quanto si creda.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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La promessa iniziale era quella di superare il vecchio dualismo destra-sinistra, non di spazzarlo via lasciandone solo le macerie. Almeno questo sembra essere il risultato dopo la rielezione di Emmanuel Macron in Francia. E pensare che nel 2017 il programma dell’allora candidato di En Marche! alla sua prima corsa per l’Eliseo sembrava incarnare una nuova sintesi: un concentrato di politiche economiche liberali con qualche sfumatura sociale, condito da un tocco protezionista in salsa europea e un pizzico di ecologia.
Tanto è bastato per dare il colpo di grazia al Partito socialista e ai Repubblicani, entrambi già sofferenti da tempo. Le due formazioni tradizionali, eredi di una lunga tradizione politica, oggi si ritrovano a raccogliere i cocci rimasti dopo il primo turno delle ultime presidenziali. La candidata del centro-destra Valérie Pécresse è arrivata quinta con un misero 4,7%, davanti all’ambientalista Yannick Jadot (4,63%), il comunista Fabien Roussel (2,28%) e la socialista Anne Hidalgo, crollata all’1,7%.