Nell’incontro al G20 con il Presidente cinese Xi Jinping, Giorgia Meloni mantiene la sua posizione atlantista pur promuovendo l’incremento di alcuni canali commerciali con Pechino
Mercoledì, a margine del vertice del G20 a Bali, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping. La riunione, durata circa un’ora, è stata più economica che politica: il tema principale di discussione, da parte italiana, è stato infatti il rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali. Lo stesso proposito aveva animato il recente viaggio in Cina del cancelliere tedesco Olaf Scholz, accompagnato da una delegazione di imprenditori. Un viaggio controverso, che ha portato la Germania e l’Unione europea a riflettere sull’approccio da tenere nei confronti di una potenza economica, con un vasto mercato interno, ma autoritaria e assertiva, anche per evitare di ripetere l’errore di dipendenza commesso con la Russia.
Durante l’incontro, che i resoconti ufficiali descrivono come cordiale, Meloni ha accettato l’invito di Xi a visitare la Cina. Il presidente cinese ha detto di sperare che Roma possa svolgere un ruolo attivo nel mantenimento di una politica europea “positiva”, “indipendente” e “autosufficiente” (ossia non allineata a quella degli Stati Uniti, gli alleati di riferimento di Bruxelles) nei confronti di Pechino. Xi pensa inoltre che i rapporti tra Cina e Italia possano diventare un “modello per lo sviluppo di relazioni tra due paesi con sistemi sociali e contesti culturali diversi”, e ha descritto nuove possibilità di cooperazione sulla manifattura avanzata, l’energia pulita e l’aviazione.
Nonostante i toni affabili e la volontà, anche italiana, di mantenere aperti i canali di dialogo e le opportunità economiche, il posizionamento ideologico di Meloni è fortemente atlantista, cioè vicino agli Stati Uniti e alla NATO: lo è sulla Russia (è molto schierata a favore dell’Ucraina, ed è favorevole al mantenimento delle sanzioni) e lo è anche sulla Cina, la vera rivale dell’America. Come ricorda Gabriele Carrer su Formiche, Meloni ha definito “un grosso errore” la firma – nel 2019, da parte del governo Conte I – del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, il grande progetto infrastrutturale-geopolitico cinese. “Difficilmente vedrei le condizioni politiche” per un suo rinnovo, previsto nel 2024, ha precisato durante una conferenza stampa prima del bilaterale con Xi: l’Unione europea ha infatti lanciato una propria strategia di connettività per rispondere alla proiezione di Pechino, la Global Gateway, e partecipa all’iniziativa del G7, la Partnership for Global Infrastructure and Investment.
Durante la campagna elettorale Meloni si era peraltro fatta fotografare con Andrea Sing-Ying Lee, il rappresentante di Taipei in Italia, che definì “ambasciatore”. Un termine sgraditissimo alla Cina, che non considera Taiwan un paese a sé ma una provincia del proprio territorio. Senza contare che, prima della riunione con Xi, Giorgia Meloni ha avuto un incontro con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. I due hanno parlato soprattutto di sostegno all’Ucraina, di stabilità nella regione del Mediterraneo e in quella dell’Indo-Pacifico e, appunto, di “rapporti con la Cina”. Nel sintetico readout della Casa Bianca si legge più chiaramente che Washington e Roma vogliono “coordinare le risposte a una serie di sfide globali, incluse quelle poste dalla Repubblica popolare cinese”.
Mercoledì, a margine del vertice del G20 a Bali, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping. La riunione, durata circa un’ora, è stata più economica che politica: il tema principale di discussione, da parte italiana, è stato infatti il rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali. Lo stesso proposito aveva animato il recente viaggio in Cina del cancelliere tedesco Olaf Scholz, accompagnato da una delegazione di imprenditori. Un viaggio controverso, che ha portato la Germania e l’Unione europea a riflettere sull’approccio da tenere nei confronti di una potenza economica, con un vasto mercato interno, ma autoritaria e assertiva, anche per evitare di ripetere l’errore di dipendenza commesso con la Russia.