Nuove esercitazioni militari cinesi e battaglia politica per la riforma del potere legislativo. Questa volta le esercitazioni sono durate solo 2 giorni, senza missili balistici e senza portaerei, ma è stato creato un effetto di accerchiamento e il messaggio è chiaro.
Era difficile immaginare un inizio più movimentato per Lai Ching-te. Il nuovo presidente della Repubblica di Cina (Taiwan) ha dovuto far fronte nel giro di una settimana alle esercitazioni militari della Repubblica Popolare Cinese e al caos interno dovuto alla proposta di riforma del parlamento che ha portato a estese proteste per le strade di Taipei. Il suo obiettivo dichiarato, vale a dire quello di tutela dello status quo, appare dunque piu complicato da raggiungere del previsto.
A Taipei ci si aspettava una reazione da parte di Pechino al discorso di insediamento di Lai. A prescindere da quello che avrebbe detto, visto che per il Partito comunista cinese qualsiasi cosa che non sia riconoscere il principio della “unica Cina” non basta. A maggior ragione ci si aspettava però una reazione dopo che Lai ha pronunciato un discorso molto assertivo, lasciando subito capire che il suo stile di governo sarà piuttosto diverso da quello della ex leader Tsai Ing-wen.
Abbandonando molte delle cautele retoriche e lessicali della compagna di partito (ed ex rivale interna), Lai ha elaborato in maniera rilevante il concetto di sovranità e quello di indipendenza.
Vero che non si tratta di una novità, visto che tutti i presidenti hanno sempre rivendicato la sovranità di Taipei, ma rispettando almeno formalmente il perimetro della Repubblica di Cina. Lai ha invece molto taiwanesizzato l’approccio, equiparando il nome con cui Taipei è indipendente de facto (Repubblica di Cina, appunto) a quello che perseguirebbe in caso di dichiarazione di indipendenza formale (Taiwan). Di più. Non ha riaffermato la guida della costituzione nel regolare i rapporti intrastretto, una delle rassicurazioni principali che Tsai ha invece sempre fornito a Pechino.
Ed ecco allora la due giorni delle esercitazioni “Spada Congiunta 2024A”. Si tratta delle terze grandi esercitazioni intorno a Taiwan degli ultimi anni, dopo quelle di agosto 2022 dopo la visita di Nancy Pelosi e quelle di aprile 2023 in risposta al doppio scalo di Tsai negli Usa, con annesso incontro col successore di Pelosi alla presidenza della Camera dei Rappresentanti, Kevin McCarthy. Rispetto alle due precedenti, non sono stati lanciati missili balistici (come ad agosto 2022) e non è stata utilizzata una portaerei (come ad aprile 2023) e la durata è stata inferiore: due giorni invece dei tre di aprile 2023 e i dieci di agosto 2022. Ma questo non significa che la qualità delle esercitazioni sia stata minore.
Almeno su carta, è stato ricreato un effetto di accerchiamento. Navi e jet si sono mossi in cinque aree dislocate su tutti i lati dell’isola: nord, sud, ovest, est. Particolarmente critico il presidio della costa orientale, quella cioè da dove potrebbero ipoteticamente arrivare aiuti dall’esterno. L’Esercito popolare di liberazione ha dunque voluto mostrare di essere in grado di interdire azioni di attori terzi. Concetto rafforzato dalla simulazione di attacchi missilistici contro navi straniere e l’impiego della guardia costiera per la prima volta a est di Taiwan. La guardia costiera si è mossa contemporaneamente anche in corrispondenza delle isole minori Kinmen, Matsu e Wuqiu, a reiterare le sovranità su quelle acque e trasformando concettualmente lo Stretto in una sorta di mare interno.
La sensazione, confermata da diversi analisti cinesi e taiwanesi, è che sia stato testato soprattutto uno scenario ipotetico di blocco navale, quantomeno come disposizione delle forze “in campo”. Oltre al presidio totale della regione sono stati infatti condotti attacchi simulati contro obiettivi chiave, sia civili sia militari, dell’isola. Uno scenario che ben si sposa con un blocco, che avrebbe il vantaggio di colpire due gravi vulnerabilità di Taipei: la dipendenza della sua economia dalle esportazioni e la totale dipendenza delle sue riserve energetiche dall’approvvigionamento esterno.
Nel frattempo, a Taiwan si parla soprattutto delle grandi proteste di fronte al parlamento, dove venerdì si sono radunate circa 100 mila persone che si oppongono alla riforma che mira ad ampliare il potere del ramo legislativo e aumentare lo scrutinio dell’operato del governo. Una riforma voluta dall’opposizione (che in parlamento ha però la maggioranza unita) e osteggiata dal partito di governo di Lai, che prova a ricompattare il consenso rievocando le grandi proteste del 2014 del Movimento dei Girasoli, girando la questione su “resistenza all’autocrazia”.
L’opposizione sostiene invece che in passato gli stessi che oggi protestano erano a favore della riforma. Martedì è prevista la ripresa delle discussioni allo yuan legislativo, dove si temono nuove tensioni e nuovi scontri (anche fisici) come nelle scorse settimane. Di certo non mancheranno le proteste, mentre Lai deve capire come evitare che le frammentazioni interne abbiano un impatto negativo sulla sua già complicata presidenza.
E intanto a Taipei è arrivata anche la delegazione di Michael McCaul, capo della Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti Usa. Se la prima settimana di presidenza Lai è un indicatore, di fronte a Taiwan ci sono quattro anni piuttosto movimentati.