Con la crisi energetica esplosa dopo l’invasione dell’Ucraina, ai Paesi africani si presentano storiche opportunità. In prima linea il Mozambico, meta di ripetuti viaggi del Governo italiano, per il suo gas abbondante e accessibile
A quattro mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’armata russa, già si possono identificare sullo scacchiere internazionale i Paesi che da questo conflitto hanno avuto da guadagnare. Un computo aberrante per i fattori disumani che lo determinano ma che aiuta a capire meglio quali siano gli interessi in campo e come potranno evolvere le cose in un prossimo futuro. Gli Stati Uniti e, soprattutto, la Cina hanno avuto dei vantaggi geopolitici evidenti e di varia natura dall’invasione voluta dal Presidente Vladimir Putin. Al contrario, la Russia, autrice di un attacco ingiustificabile e fallimentare, comunque vada la guerra, avrà, a dir poco, dei forti danni economici e politici. La stessa Europa dovrà come minimo far fronte ad una durissima crisi economica ed umanitaria.
Vi sono tuttavia altri Paesi che per la crisi energetica esplosa dopo l’invasione dell’Ucraina si trovano ora davanti a storiche opportunità. In generale potremmo dire che sono tutti i Paesi esportatori di combustibili, ai quali stanno guardando con famelica attenzione la Germania e l’Italia, i due paesi europei che, grazie ai buoni rapporti di Putin con gli ex premier Gerhard Schroeder e Silvio Berlusconi, sono rimasti dipendenti dai combustibili fossili russi, e la Francia che, grazie al nucleare, può far pesare la sua autonomia.
Uno sguardo verso l’Africa
In questo scenario, l’Italia di Mario Draghi si è messa in moto da un lato per dare nuovo impulso all’industria dell’energie rinnovabili, vessata da cicli autorizzativi lentissimi, dall’altro per trovare alternative al gas russo. Il Governo italiano ha decisamente rivolto il suo sguardo verso l’Africa, in particolare verso la Tunisia, l’Algeria, l’Egitto, il Congo, l’Angola e il Mozambico. È a questi Paesi, già visitati e marcati stretti, che l’Italia si rivolge per reperire buona parte di quel 40% di importazione di gas russo ormai a rischio. È un cambiamento non da poco perché l’arrivo di cospicui ordini d’acquisto avrà un impatto decisivo sullo sviluppo più generale di un continente che, è bene ricordarlo, ha una popolazione molto giovane e mantiene tra i più alti tassi di natalità dell’intero pianeta.
Guardiamo dunque più nel dettaglio che cosa sta succedendo in Africa a causa della guerra in Ucraina e cominciamo dalla fine, vale da dire dal viaggio che ai primi del prossimo luglio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, effettuerà a Maputo, capitale del Mozambico, dove sarà ricevuto dal Presidente di questa giovane repubblica, Filipe Nyusi. Una visita importante, la prima di un capo di stato europeo dopo la pandemia, che arriva in un momento decisivo per il Mozambico, impegnato in un massiccio piano di rilancio delle sue produzioni di gas, le prime d’Africa e le seconde al mondo dopo quelle del Qatar.
La visita di Sergio Mattarella a Maputo
Quella di Mattarella è una visita particolarmente significativa perché segue quella del Ministro degli Esteri Luigi di Maio, dello scorso marzo, e avviene nel mezzo di una crisi energetica globale. A Maputo sarebbe dovuto andare anche Draghi che poi ha dovuto rinunciarvi per il Covid contratto a metà aprile e che lo ha costretto a comprimere la sua agenda. Le visite di Mattarella e Di Maio comprovano quanto questo paese dell’Africa sud orientale abbia per l’Italia una importanza strategica fuori dal comune, testimoniata per altro dalla presenza sul territorio di due campioni italiani del settore energetico internazionale, vale a dire Eni e Saipem, che si trovano ormai da molti anni in territorio mozambicano, per essere protagonisti, insieme alla francese Total e all’americana Exxon, dello sfruttamento dei nuovi giacimenti di gas che questa ex colonia portoghese possiede nei tratti di mare posti d’innanzi alla sue coste.
La missione di Mattarella e Di Maio ha dunque un obiettivo evidente: rafforzare la presenza delle imprese italiane e dare nuovo impulso alle attività di importazione. Un attivismo diplomatico che punta a capitalizzare, sia in termini di più ampie forniture di gas che di business estrattivo, una presenza consolidata delle nostre aziende sul territorio. Un cambiamento, quello della politica italiana verso il Mozambico, non da poco, visto che da anni la guerriglia attiva nel nord del Paese, dove hanno sede i campi base delle multinazionali europee, ha di fatto bloccato le attività di costruzione “a terra”, che vedono Saipem come capofila di un consorzio vincitore del più grande appalto del genere mai assegnato in Africa. Un blocco delle attività che ha creato non pochi problemi economici al governo mozambicano. Va detto anche che parallelamente le operazioni “off-shore”, cioè in mare, guidate da Eni, sono in fase di messa in opera e si prevede che l’estrazione del primo gas arrivi già nel secondo semestre del 2022.
Maputo dal canto suo si è già rimessa in moto. Dopo anni di immobilismo dovuti alle difficoltà causate dalla guerriglia, alla pandemia da Covid e anche a una certa diffidenza europea, il Presidente Nyusi, dopo un rimpasto di Governo, ha varato le prime iniziative che il mercato si attendeva in questa fase. Poche settimane fa la Empresa Nacional de Hidrocarbonetos (ENH) del Mozambico ha infatti annunciato di aver selezionato la “Societe Generale SA” come consulente finanziario per la gestione dei piani della compagnia petrolifera statale necessari a rifinanziare la sua partecipazione al progetto offshore estrattivo di gas naturale.
L’attuale investimento italiano nel gas mozambicano ha un valore complessivo di circa 15 miliardi di dollari e ha per base Cabo Delgado, una provincia a nord del Paese, colpita nel 2017 da attacchi terroristici jihadisti che hanno provocato la morte di 2.600 persone e costretto altre 700.000 a sfollare. Un’attività terroristica che ovviamente ha rallentato e poi fermato le attività estrattive.
Verso una nuova era africana
Con la guerra in Ucraina, dunque, tutte le parti in causa, Italia in primis, hanno accelerato con l’obiettivo di aumentare le produzioni e ottenere le autorizzazioni già nel primo semestre 2022. Eni e Saipem sembrano inoltre decisamente pronte per aumentare l’impegno nel Paese. Dal canto loro i francesi di Total dovrebbero riprendere le attività tra la fine del 2022 e l’inizio 2023, mentre gli americani di Exxon, con più cautela, dovrebbero avanzare il prossimo anno nella riformulazione dello sviluppo a terra.
Per altro Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, che da quando è esploso il conflitto ucraino ha sempre accompagnato Draghi o Di Maio nei loro viaggi africani alla ricerca di nuovi fornitori di combustibili, è da sempre favorevole allo sviluppo del progetto mozambicano. “L’Eni ha fatto in Mozambico la più grande scoperta di gas della sua storia – aveva detto Descalzi nel lontano 2014 − 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per 30 anni”.
Poi però Putin aveva saputo stringere accordi più forti con italiani e tedeschi, i “nemici” del progetto mozambicano avevano segretamente finanziato il terrorismo jihadista e tutto a Maputo sembrava essersi fermato.
Ora la storia ha cambiato verso. È così che si apre questa nuova era africana che coinvolgerà tanti Paesi, ma soprattutto un Mozambico pronto oggi a giocarsi la sua vitale partita sapendo che è come una finale senza ritorno. Il paese sembra di nuovo proiettato a gestire la sua leadership, il suo gas “pulito”, estremamente abbondante (180 TCF) e una logistica favorevole. L’Italia può contare su una ambasciata molto attiva, sulla presenza dell’ICE, su una Camera di Commercio Italiana in Mozambico in crescita e rilevante in importanti posizioni strategiche, soprattutto nel settore dell’Energia, come Renco, CMC, Bonatti, Gruppo Leonardo, Donelli, Prysmian, delle costruzioni e dei servizi come RINA, Sari, Faresin. Anche le Ong italiane risultano presenti e attive.
Insomma, l’Italia per una volta, benché pressata dalle contingenze, in Mozambico è nelle condizioni di giocare e vincere la sua partita. A patto che non faccia come in Libia o in Egitto. E lo stesso vale per il Governo di Maputo, che sui giacimenti di Capo Delgado gioca il futuro della nazione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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A quattro mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’armata russa, già si possono identificare sullo scacchiere internazionale i Paesi che da questo conflitto hanno avuto da guadagnare. Un computo aberrante per i fattori disumani che lo determinano ma che aiuta a capire meglio quali siano gli interessi in campo e come potranno evolvere le cose in un prossimo futuro. Gli Stati Uniti e, soprattutto, la Cina hanno avuto dei vantaggi geopolitici evidenti e di varia natura dall’invasione voluta dal Presidente Vladimir Putin. Al contrario, la Russia, autrice di un attacco ingiustificabile e fallimentare, comunque vada la guerra, avrà, a dir poco, dei forti danni economici e politici. La stessa Europa dovrà come minimo far fronte ad una durissima crisi economica ed umanitaria.