Dal 2013 la politica della Merkel è stata sempre meno indipendente da Washington, in equilibrio tra le esigenze europee e soprattutto tedesche, che consigliavano il dialogo con Mosca e le istanze di Usa e Nato, che spingevano per tenere Kiev lontana da Mosca
Sono passati i tempi in cui la Germania diceva no agli Stati Uniti e alla Nato. Si parla di quasi vent’anni fa, qualche Governo addietro, prima della quaterna di Angela Merkel al Kanzleramt dal 2005 al 2021. Anche allora c’era un Cancelliere socialdemocratico alla guida del Paese, Gerhard Schröder, oggi considerato una paria nella Spd tedesca guidata da Olaf Scholz e anche dalla gran parte dello spettro politico teutonico, appiattitosi progressivamente sulle posizioni transatlantiche, e non solo dall’invasione russa dell’Ucraina iniziata alla fine di febbraio del 2022.
La Germania di Gerhard Schröder
Ma andiamo con ordine: era appunto il 15 febbraio del 2003 quando Schröder, capo di Governo nell’alleanza con i Verdi, si oppose con un duro discorso al Bundestag alla guerra in Iraq che stava prendendo forma tra Stati Uniti e Nato, con la cosiddetta Coalizione dei volenterosi capeggiata da George Walker Bush, sull’onda delle prove false sulle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein. Il 5 febbraio il generale statunitense Colin Powell aveva mostrato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite le ampolle d’antrace e i piani dei laboratori iracheni che aprirono la via del conflitto cominciato il venti marzo e terminato da Bush il primo maggio con le storiche due parole “mission accomplished”. L’occupazione dell’Iraq sarebbe durata sino al 2011, il totale stimato di vittime civili in quel periodo varia sino al milione.
La Germania di Schröder se ne stette fuori, provocando più di un mormorio a Washington, dove da un partner importante come Berlino ci si aspettava ben altro. Lo stesso Schröder, del resto, già nel 2001 si era schierato con gli Usa e la Nato nella guerra in Afghanistan, con l’allora Ministro della Difesa Peter Struck che coniò il mantra per cui la sicurezza tedesca si difendeva anche sull’Hindukush, e ancora prima, nel 1998, pur senza il mandato dell’Onu, il Governo di socialdemocratici e Verdi aveva appoggiato l’intervento nella ex Yugoslavia e le bombe su Belgrado.
In realtà la rivolta di Schröder sull’Iraq è stata un’eccezione per la Germania che da sempre è stata un fedele alleato degli Stati Uniti e della Nato, sia prima che dopo la Riunificazione, quando comunque Berlino ha iniziato ad allacciare rapporti sempre più stretti con Mosca. Pur solidamente posizionata nell’Alleanza transatlantica e nell’Unione europea, la Germania è stata negli ultimi trent’anni un partner fondamentale per la Russia, non solo dal punto di vista economico e commerciale.
Dall’inizio degli anni Novanta, prima sotto Helmut Kohl da una parte e Mikhail Gorbaciov e Boris Yeltsin dall’altra, poi con Gerhard Schröder e Vladimir Putin, i due Paesi hanno sviluppato solidi rapporti, che inizialmente hanno fatto pensare alla possibilità di una partnership strategica più ampia, dalla “casa comune europea” in cui secondo Gorbaciov doveva trovar posto anche la Russia postcomunista, alla visione di un’Eurasia aperta da Lisbona a Vladivostock prospettata da Putin all’inizio del suo soggiorno al Cremlino.
Il Governo di centro-destra
Erano gli anni Duemila e se da una parte la Russia stava prendendo la sua strada, accompagnata dalla Germania di Schröder, che dopo aver ceduto il posto ad Angela Merkel nel 2005, sarebbe andato a Mosca a fare il lobbysta dell’energia, a Berlino arrivava appunto la protetta di Kohl, la cristiano-democratica venuta dalla Ddr, molto più accondiscendente del suo predecessore nei confronti di Usa e Nato.
Dopo sette anni di Governi rosso-verdi, dal 2005 ritorna quindi il centro-destra, che continua in sostanza a mantenere buone relazioni con il Cremlino e nel 2008 al consiglio Nato di Bucarest blocca, col sostegno francese, l’avvicinamento all’Alleanza di Ucraina e Georgia, sponsorizzato dagli Stati Uniti e dai nuovi entrati, dalla Polonia ai paesi baltici. Che la Germania di Merkel non sia quella di Schröder è però evidente, soprattutto dopo che passato il primo Governo di Grande coalizione con la Spd (2005-2009), al Governo con la Cdu arriva la destra della Fdp, i liberali guidati da Guido Westerwelle, anche loro tradizionalmente filostatunitensi (2009-2013).
Non è un caso che uno dei più grandi scandali del Dopoguerra tra Berlino e Washington, quello dello spionaggio diretto della Nsa nei confronti della Cancelliera e di altri politici tedeschi, emerso nel 2013, venga fatto scivolare via in fretta dal governo, con Merkel che rimprovera a Barack Obama solo il fatto che “tra amici non ci si dovrebbe spiare”. La vicenda, venuta alla luce grazie ai documenti resi pubblici da Edward Snowden, poi riparato in Russia, non è tanto diversa da quella di un paio di anni prima, con le rivelazioni di Wikileaks sulla condotta della coalizione occidentale in Afghanistan, tedeschi compresi, che invece di servire ad aggiustare le misure in quella guerra che continuerà sino al disastroso ritiro nel 2021 con il Paese di nuovo in mano ai Talebani, servono per far diventare un criminale Juliane Assange che, con l’estradizione negli Stati Uniti concessa dalla Gran Bretagna, rischia di passare il resto della vita in galera. Merkel, sollecitata da più parti nel corso dei suoi Governi a ingaggiarsi per Assange, non muoverà mai un dito.
La politica estera dal 2013
Nel 2013 emerge anche con evidenza come la politica estera tedesca si faccia sempre meno indipendente e si accodi sempre più alle linee dettate da Washington. Mentre in Turchia, paese membro della Nato, il presidente Recep Tayyp Erdogan smorza le proteste a Gezi Park e in tutto il paese con il pugno di ferro, tra una decina di morti e migliaia di arresti, senza che nessuno in Europa o altrove muova un dito, a Kiev le manifestazioni contro il capo di Stato Victor Yanukovic si trasformano in una questione internazionale con gli Stati Uniti e vari paesi dell’Alleanza atlantica in piazza a fianco dell’opposizione, guidata da Arseni Yatseniuk, ex governatore della Banca centrale e vicino a Washington, Oleg Tiahnybok, leader del partito della destra radicale Svoboda, e Vitaly Klitschko, ex campione del mondo di box cresciuto politicamente alla corte della Konrad Adenauer Stiftung, la fondazione della Cdu.
Angela Merkel governa adesso (2013-2017) di nuovo con la Spd, il Ministro degli Esteri è il socialdemocratico Frank Walter Steinmeier. Sarà lui, insieme ai colleghi francese e polacco, a controfirmare il compromesso tra Yanukovich e l’opposizione dopo il bagno di sangue di Maidan nel febbraio del 2014. Diventerà carta straccia dopo la fuga del Presidente e l’insediamento di un Governo filoatlantico guidato da Yatseniuk e con la nuova Ministra delle Finanze Natalie Yaresko arrivata direttamente da Washington. La Germania riceve dagli Stati Uniti il compito di preoccuparsi della mediazione nel conflitto che si apre nel Donbass, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Merkel e Steinmeier tentano di stare in equilibrio tra le esigenze europee e soprattutto tedesche, che consigliano il dialogo con Mosca, e le istanze degli Usa e della Nato, che spingono per tenere Kiev lontano da Mosca.
Il resto è storia più recente: dopo l’ultimo Governo Merkel (2017-2021) arriva quello semaforo, composto da Spd (rosso), Grünen (verde) e Fdp (giallo), ma il prodotto non cambia, anzi. La linea dettata da Washington, le pressioni per l’abbandono del gasdotto Nord Stream 2, quelle per le forniture di armi a Kiev dopo l’inizio dell’invasione russa, diventano le parole d’ordine soprattutto dei vecchi atlantisti liberali e di quelli nuovi, cioè i Verdi, passati dal pacifismo antiamericano degli anni Ottanta al militarismo antirusso del giorno d’oggi. Gli Stati Uniti, la Nato, sono diventati i direttori della politica estera tedesca, nonostante le resistenze, deboli, del Cancelliere Olaf Scholz. Quel minimo di autonomia che aveva mostrato Gerhard Schöder ai tempi dell’Iraq è ora impossibile nel caso ucraino, anche se Berlino non ha chiuso totalmente i canali con Mosca, non solo quelli del gas, ben sapendo comunque che la Russia non è solo Vladimir Putin e prima o poi anche questa guerra finirà.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Ma andiamo con ordine: era appunto il 15 febbraio del 2003 quando Schröder, capo di Governo nell’alleanza con i Verdi, si oppose con un duro discorso al Bundestag alla guerra in Iraq che stava prendendo forma tra Stati Uniti e Nato, con la cosiddetta Coalizione dei volenterosi capeggiata da George Walker Bush, sull’onda delle prove false sulle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein. Il 5 febbraio il generale statunitense Colin Powell aveva mostrato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite le ampolle d’antrace e i piani dei laboratori iracheni che aprirono la via del conflitto cominciato il venti marzo e terminato da Bush il primo maggio con le storiche due parole “mission accomplished”. L’occupazione dell’Iraq sarebbe durata sino al 2011, il totale stimato di vittime civili in quel periodo varia sino al milione.