La decisione si spiega con la linea ecologista del partito di sinistra Comunità Inuit e, allo stesso tempo, con la volontà di puntare su risorse naturali strategicamente più attuali, come le terre rare e le fonti rinnovabili
Il nuovo Governo della Groenlandia, guidato dal partito di sinistra Comunità Inuit, ha deciso di sospendere la ricerca di petrolio: vale a dire quattro licenze di esplorazione, concesse a due piccole società energetiche. Fino a oggi, di greggio nel territorio e nei mari dell’isola non ne è stato trovato. Gli studi dicono però che lo scioglimento dei ghiacci provocato dal riscaldamento globale – lo stesso che ha causato le prime piogge mai registrate nel punto più alto della calotta – libererà grandi riserve di idrocarburi: il Geological Survey degli Stati Uniti parlava ad esempio di 17,5 miliardi di barili di petrolio e di 148 trilioni di piedi cubi di gas naturale.
A fronte sì di un danno ambientale, lo sfruttamento dei giacimenti di fonti fossili avrebbe portato alla Groenlandia un guadagno non soltanto economico ma anche politico. L’isola vorrebbe l’indipendenza dalla Danimarca – che ne decide la politica estera e quella di difesa –, ma allo stesso tempo non può sopravvivere senza gli aiuti che arrivano da Copenaghen.
La nuova centralità della Groenlandia
Considerato però il quadro generale di transizione energetica (che implica un distacco dai combustibili fossili come il greggio) e la conseguente decisione delle compagnie petrolifere di concentrarsi sui progetti più redditizi (le spese di trivellazione nell’Artico possono essere alte, viste le difficoltà logistiche), difficilmente la Groenlandia sarebbe mai potuta diventare un polo globale dell’industria oil & gas. La decisione di Comunità Inuit nasconde allora un calcolo anche politico: vietare l’esplorazione di petrolio permette al partito di confermare la sua linea ecologista; allo stesso tempo, il Governo di Nuuk non abbandona la ricerca dell’indipendenza ma punta su risorse naturali strategicamente più utili e “attuali”: i metalli per i veicoli elettrici e le fonti rinnovabili.
Comunità Inuit ha vinto le elezioni dello scorso aprile insistendo sull’opposizione al progetto Kvanefjeld sulle terre rare: sono un gruppo di metalli altamente strategici; la Cina ne controlla quasi l’80% del mercato, ma la Groenlandia potrebbe contenerne i più grandi depositi non sfruttati al mondo. Il partito ha chiarito il suo messaggio: non è contrario allo sfruttamento minerario in toto, ma solo a quei progetti più impattanti sull’ambiente e sulla salute pubblica. Nel sito di Kvanefjeld, assieme alle terre rare, c’è infatti l’uranio.
Il contesto internazionale, dominato dalla rivoluzione “verde” e dalla volontà degli stati di garantirsi forniture sicure delle nuove materie prime, ha ribaltato la condizione della Groenlandia: da isola geograficamente remota e perlopiù ignorata, è finita al centro dei massimi movimenti geopolitici.
La corsa alle risorse e l’Unione europea
È di pochi giorni fa la notizia che la startup americana KoBold Metals – finanziata, tra gli altri, da Breakthrough Energy Ventures, il fondo per le tecnologie pulite con Bill Gates, Jeff Bezos e Jack Ma – andrà alla ricerca di depositi di rame, cobalto e nichel in Groenlandia. Più precisamente nella baia di Disko, sulla costa occidentale dell’isola, che potrebbe contenere giacimenti “di prim’ordine” di metalli per le batterie delle auto elettriche, viste le somiglianze geologiche con la regione russa di Norilsk.
Gli obiettivi che l’Unione europea si è data sulla riduzione delle emissioni di gas serra e sulla trasformazione “sostenibile” dell’industria e dei trasporti hanno messo il blocco davanti a un serio problema di vulnerabilità strategica. Ad oggi, infatti, Bruxelles dipende pesantemente dalla Cina per le forniture di metalli critici, anche se sta cercando di migliorare la sua posizione stringendo accordi con Governi affini (il Canada, ad esempio).
Le maggiori riserve di terre rare dell’Unione europea si trovano in Svezia, a Norra Kärr, ma l’avvio della produzione è lontano per questioni di impatto ambientale. In teoria, la Groenlandia potrebbe essere il fornitore perfetto di metalli per l’Europa: non è un membro dell’Unione, ma la Danimarca sì. Però Comunità Inuit ha bloccato il progetto Kvanefjeld, promosso dall’Europa, e vorrebbe l’indipendenza da Copenaghen.
Per raggiungerla, o quantomeno avvicinarvisi, sembra voler sfruttare il contesto geopolitico. In un’intervista a TIME il nuovo Primo Ministro groenlandese Múte Egede ha detto che la Groenlandia può essere molto “importante […] per il futuro del mondo. Siamo nel mezzo dell’Artico, nel mezzo tra il Nordamerica, l’Europa e i paesi orientali”. L’amministrazione Egede vuole attirare investimenti statunitensi nell’estrazione mineraria, nella pesca e nel turismo – superando così il suo ruolo tradizionale di avamposto militare – e utilizzare i guadagni per portare avanti il suo piano di distacco dalla Danimarca.