Dopo le dimissioni del primo ministro Ariel Henry le forze politiche haitiane negoziano la creazione di un governo di transizione con il sostegno internazionale. Intanto il paese è in mano ad un inedito sodalizio tra le bande criminali.
Continua la spirale di violenza in cui è immersa Haiti da settimane, Paese oggi acefalo, e al centro di intense negoziazioni tanto a livello internazionale come a livello domestico. Il tour internazionale del primo ministro Ariel Henry, che tra la fine febbraio e inizio marzo ha visitato Guayana, Kenya e Stati Uniti in cerca di sostegno politico al proprio governo, ha rafforzato l’alleanza tra le diverse gang che gestiscono praticamente la totalità del territorio della capitale Port-au-Prince.
I clan riuniti sotto il comando di Jimmy Chérizier, detto Barbecue, hanno preso d’assalto i principali centri nevralgici del paese, partendo dalle prigioni della capitale, da dove sono stati liberati quasi 4.000 detenuti, per poi bloccare l’aeroporto internazionale e il porto, principale porta d’ingresso degli aiuti umanitari diretti agli 11 milioni di haitiani impoveriti da una crisi senza fine.
I paesi europei e gli Usa hanno immediatamente evacuato le proprie ambasciate, e l’11 marzo, durante una riunione della Comunità dei Caraibi (Caricom) indetta d’urgenza a Kingston, in Jamaica, e alla presenza del segretario di stato Usa Anthony Blinken, Henry ha annunciato le proprie dimissioni. Da allora il paese è sprofondato nell’incertezza più totale.
La Caricom ha annunciato la creazione di una commissione di Transizione, formata da rappresentanti di tutte le coalizioni politiche presenti nel paese, che secondo quanto annunciato dallo stesso Blinken dovrebbe scegliere un primo ministro ad interim che traghetterà il paese verso nuove elezioni generali.
Haiti non va al voto dal 2016, quando venne eletto tra le polemiche l’ex presidente Jovenel Moïse, assassinato nel luglio del 2021 da un commando di sicari colombiani al soldo di alcuni grandi magnati haitiani espatriati negli Usa. Da allora, sia le legislative che dovevano rinnovare il parlamento, sia le attesissime presidenziali previste per quest’anno, sono slittate a causa dell’incapacità delle istituzioni di garantire la sicurezza dei comizi, e nessuna delle cariche elettive previste dalla costituzione è oggi coperta. In molti si chiedono ora come sará possibile portare il paese alle urne nel mezzo di un clima di guerra civile e con autorità prive di legittimità domestica, create a partire dall’intervento internazionale. Di fatto, il leader della coalizione di gang haitiane ha rapidamente annunciato che non riconoscerà l’autorità di alcuna Commissione creata dalla Caricom, e ha minacciato di morte coloro che assumano tale incarico.
La Commissione per la Transizione, che secondo Blinken è orami pronta, sarà formata da rappresentanti del settore privato, associazioni civili, movimenti sociali, partiti tradizionali e rappresentanti religiosi.
Iniziati però anche i primi dissensi: Pitit Dessalines, il gruppo guidato dall’ex senatore Jean-Charles Moïse, si è rifiutato di partecipare alla nuova Commissione per crearne una parallela insieme a Guy Phillipe, personaggio oscuro della storia recente haitiana, protagonista di vari tentativi di colpo di Stato e recentemente deportato dagli Stati Uniti dove è stato condannato per riciclaggio.
Una delle prime osservazioni che molti esperti fanno intorno all’attuale situazione haitiana, è che per la prima volta si sta osservando una coordinazione tra le bande criminali che operano ad Haiti, fenomeno preoccupante quanto interessante. Infatti, sono in molti a sostenere che il potere di fuoco delle gang è di gran lunga superiore a quello delle autorità statali, ed in molte città e territori rurali ne hanno assunte le funzioni.
Le gang, che oggi controllano il 90% della rete di distribuzione di acqua potabile del paese, potrebbero addirittura trasformarsi in un fattore di stabilizzazione parziale del territorio, che permetta poi alle organizzazioni politiche una maggior capacità di negoziazione per ripristinare le istituzioni statali al collasso. Certo però cercando di assicurarsi una posizione di privilegio nel nuovo assetto politico-istituzionale del paese. Un’ipotesi inaccettabile a livello internazionale, ma che vista la profondissima relazione che lega le gang con la politica, iniziata già ai tempi della dittatura dei Duvalier negli anni ’50, non sembra poi così inverosimile.
Ciò che in ogni caso si mantiene a Port-au-Prince è un altissimo grado di violenza, che sembra inarrestabile. Mentre la Caricom definiva la strategia da portare avanti, le gang davano fuoco tra giovedì e sabato a diverse case del centro della capitale, tra cui quella del capo della polizia, Frantz Elbé.
I rapporti delle Nazioni Unite indicano che nel 2023, oltre 4.789 persone sono state uccise dalle gang, 1.698 ferite e 2.490 rapite. Nel 2023 il tasso di omicidi è schizzato a 40,9 per ogni 100.000 abitanti, più del doppio rispetto al 2022. A questo si aggiunge una situazione socio-economica allarmante. 4,3 milioni di persone soffrono di fame acuta e 1,4 milioni sono sull’orlo di fare la stessa fine a breve, secondo i dati dell’ONU. L’Unicef ha denunciato in questi giorni il sequestro da parte delle bande armate di 17 container inviati dall’organizzazione carichi di aiuti per i minori haitiani. Si calcola che nell’ultimo mese circa 170.000 bambini hanno dovuto abbandonare le loro case, e che 2 minori su 3 hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Per ora il piano internazionale si mantiene. In parallelo alla Commissione di Transizione Usa, Canada e Francia attendono l’invio della missione internazionale di stabilizzazione concordata dall’ex primo ministro Henry con il presidente del Kenya, William Ruto, che ha recentemente confermato l’intenzione di sbarcare ad Haiti con un contingente di un migliaio di agenti di sicurezza per aiutare le forze dell’ordine locali, come già sottoscritto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Intanto, e nel mezzo della campagna elettorale verso le presidenziali Usa di novembre, il governatore della Florida, Ron de Santis, ha già annunciato una serie di misure per evitare l’arrivo di nuovi migranti haitiani sul proprio territorio, a circa 800 miglia dalle coste haitiane.
Sia l’amministrazione Biden sia quella di Donald Trump hanno agito con forza contro l’immigrazione haitiana, suscitando anche forti polemiche per le deportazioni sistematiche dei cittadini haitiani al confine o dentro al proprio territorio. Una nuova crisi umanitaria nei Caraibi rappresenta ora un enorme problema per Washington, alle prese con le critiche per la gestione della crisi a Gaza e sul confine col Messico. Una debolezza che i repubblicani, e le gang haitiane, sanno di poter sfruttare a loro vantaggio.
Continua la spirale di violenza in cui è immersa Haiti da settimane, Paese oggi acefalo, e al centro di intense negoziazioni tanto a livello internazionale come a livello domestico. Il tour internazionale del primo ministro Ariel Henry, che tra la fine febbraio e inizio marzo ha visitato Guayana, Kenya e Stati Uniti in cerca di sostegno politico al proprio governo, ha rafforzato l’alleanza tra le diverse gang che gestiscono praticamente la totalità del territorio della capitale Port-au-Prince.