L’era del nucleare tedesco è terminata mentre altri Paesi avviano il percorso opposto, con l’idea che l’energia prodotta dall’atomo sia fondamentale per garantire una transizione ecologica. Resta aperta (anche per la Germania) la questione di dove immagazzinare i rifiuti atomici
In Germania, è terminata l’era del nucleare. Dopo sessant’anni in cui il Paese ha prodotto una parte consistente della propria energia attraverso la fusione dell’atomo, sabato 15 aprile sono state spente le ultime tre centrali che ancora erano attive.
Si è così completato un percorso di rinuncia al nucleare durato oltre dieci anni e deciso dall’allora cancelliera Angela Merkel nel 2011, sull’onda dell’incidente di Fukushima. Da allora, Berlino ha proceduto ad un graduale spegnimento delle proprie centrali, rallentato soltanto dalla crisi in Ucraina. Il definitivo addio al nucleare era infatti fissato per la fine del 2022: le preoccupazioni per una possibile carenza di energia, legata alla guerra in Ucraina e alla rinuncia al gas russo, hanno però spinto il governo di Olaf Scholz a contare sugli ultimi reattori per tutto l’inverno.
Se il processo di uscita dal nucleare può dirsi ufficialmente terminato, lo stesso non si può invece dire delle polemiche politiche legate a questa decisione. Il centrodestra tedesco infatti, che pure era al governo quando Berlino ha deciso di chiudere le proprie centrali, negli ultimi anni non si è mai mostrato convinto della scelta. Questo ha causato non pochi problemi anche al governo attuale, che per mesi ha dovuto fare i conti con la riluttanza del partito liberale a completare un percorso di spegnimento che, tuttavia, era già irreversibile.
In questi giorni, invece, sono stati soprattutto i cristiano-democratici a criticare aspramente la rinuncia al nucleare. “Non ha nulla a che fare con la razionalità, è solo ideologia” ha dichiarato il leader della CDU, Friedrich Merz, parlando delle centrali tedesche come le più sicure al mondo. Il presidente della Baviera Markus Söder ha invece insistito sulla volontà di mantenere acceso il reattore presente nel suo stato, con delle parole subito bollate dal governo come irrealistiche promesse elettorali.
Quanto è accaduto in Germania in questi giorni ha inoltre dato l’occasione per riaccendere il dibattito sul nucleare a livello globale. Non sono pochi, infatti, i Paesi che stanno intraprendendo una strada opposta rispetto a quella imboccata dalla Germania: mentre gli ultimi reattori tedeschi si spegnevano, in Finlandia è stata inaugurata la più grande centrale d’Europa e in Giappone si cerca di rilanciare il settore nucleare, con difficoltà più logistiche che ideologiche. In generale, da più parti si insiste sull’idea che l’energia prodotta dall’atomo sia fondamentale per garantire una transizione ecologica e rappresenti un’opzione molto meno impattante rispetto all’uso del gas o del carbone. In più occasioni, però, il governo tedesco ha ribadito di essere convinto della propria scelta, sottolineando in particolare l’alto costo della produzione di energia nucleare e il fatto che le centrali attive nel Paese fossero ormai obsolete.
Finita l’attività delle centrali tedesche, inizia ora la lunga fase di smantellamento: si prevede che durerà circa trent’anni, a causa delle delicate operazioni di rimozione delle componenti radioattive. La prospettiva di una produzione di grandi quantità di rifiuti atomici riapre così la controversa questione di dove immagazzinare questi materiali.
Per i rifiuti prodotti dalle centrali nucleari, infatti, è necessario avere dei depositi geologici, luoghi pensati apposta per lo stoccaggio in sicurezza delle scorie. Si tratta di siti posti in profondità, preferibilmente circondati da strati di granito o di salgemma: devono infatti impedire ogni infiltrazione di acqua, per far sì che la radioattività non si diffonda nell’ambiente circostante. Inoltre, i depositi devono essere situati in aree estremamente stabili dal punto di vista geologico, in quanto sono destinati a contenere i rifiuti nucleari in condizioni di sicurezza per decine di migliaia di anni, fino a quando la radioattività non sarà decaduta.
In realtà però questi siti di stoccaggio al momento non esistono. La Finlandia è la sola ad averne quasi terminato uno, mentre Svezia e Francia hanno individuato il luogo in cui costruirlo. Gli altri Paesi continuano invece la loro ricerca: secondo die Zeit, in Germania la sola scelta del luogo richiederà almeno dieci anni, mentre per la costruzione si dovrà attendere almeno mezzo secolo. Nel frattempo, le scorie rimangono immagazzinate in luoghi provvisori, di solito presso le vecchie centrali.