L’India sposta migliaia di truppe nei pressi del confine con la Cina. Si riaccendono gli animi lungo la cosiddetta linea MacMahon, una diatriba che ha origine da un accordo del secolo scorso tra il Tibet autonomo e l’India britannica, non riconosciuto da Pechino.
Torna ad agitarsi la frontiera tra Cina e India. Secondo i media indiani, Nuova Delhi ha infatti previsto l’invio di un’unità di ben diecimila soldati nella regione, precedentemente dislocati nelle periferie occidentali del Paese, per rafforzare le difese sul confine conteso. Il contingente esistente di circa 9000 soldati, già designato per il confine con la Cina, sarà portato sotto il comando di combattimento della nuova unità. La forza combinata sorveglierà un tratto di confine di 532 chilometri che separa la regione autonoma cinese del Tibet dagli Stati settentrionali indiani di Uttarakhand e Himachal Pradesh.
L’assegnazione senza precedenti di truppe, sostenute da artiglieria e supporto aereo, a questo tratto di confine evidenzia sia l’importanza strategica della regione sia la sua crescente sensibilità agli occhi del governo indiano.
Non va peraltro dimenticato che l’India è in periodo di campagna elettorale e il primo ministro Narendra Modi ha alzato i livelli della sua retorica nazionalista in vista delle urne di aprile dove è a caccia del terzo mandato.
L’area interessata dal provvedimento, viene fatto non a caso notare dai media indiani, ospita alcuni dei santuari più sacri dell’induismo. Proprio qualche settimana fa Modi ha inaugurato un controverso tempio indù sul sito dove un tempo sorgeva una moschea. E negli scorsi giorni ha visitato il Kashmir per la prima volta da quando, nel 2019, lo ha privato dell’autonomia di cui godeva precedentemente.
La reazione di Pechino è stata tutt’altro che positiva, come prevedibile. “La Cina è impegnata a collaborare con l’India per salvaguardare la pace e la stabilità delle zone di confine”, ha dichiarato nei giorni scorsi Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese. “Riteniamo che la pratica dell’India non favorisca la salvaguardia della pace e non sia favorevole all’allentamento delle tensioni”.
Le origini della contesa
Ma quali sono esattamente i termini di questa contesa territoriale? Si tratta di una vicenda che ha più di un secolo e trova la sua origine nella cosiddetta “linea McMahon”, non riconosciuta da Pechino perché frutto di un accordo tra il Tibet autonomo e l’India britannica, con cessioni di una parte importante di territorio da quella che sarebbe poi diventata una regione autonoma della Repubblica Popolare.
Una contesa che riguarda diverse aree. In primis l’Aksai Chin, regione montuosa del Kashmir in mano alla Repubblica Popolare dalla guerra sino-indiana del 1962, nella quale sono morti circa duemila soldati. Si tratta di un’area montuosa che funge da strategico collegamento tra Tibet e Xinjiang e che Nuova Delhi continua a rivendicare come parte del Ladakh, una delle divisioni dello stato di Jammu e Kashmir.
La coda allungata dell’Aksai Chin tocca anche la zona strategica del lago himalayano Pangong Tso, che dal territorio indiano arriva a toccare il principale snodo stradale del Tibet. Il tutto dopo essere passata anche a toccare altri due stati indiani, l’Himachal Pradesh (dove col benestare di Nuova Delhi risiede, nella città di Dharamsala, il Dalai Lama fuggito dal Tibet dopo l’arrivo di Mao nel 1950) e l’Uttaranchal.
Scendendo a sud est, invece, si trovano altre due aree contese, La prima è quella del Sikkim, incastonato tra Nepal e Bhutan ed entrato a far parte dell’India nel 1975 con un referendum. La seconda, andando ancora più verso oriente dopo il Bhutan, è quella dell‘Arunachal Pradesh, controllato dall’India ma rivendicato da Pechino.
Riaccese le tensioni dal 2020
Le tensioni tra Cina e India si sono riaccese nel giugno 2020, quando uno scontro tra le truppe delle due parti risultò nella morte di diversi soldati di ambo le parti. Da allora, sono stati condotti diversi round negoziali per risolvere la situazione. Colloqui che hanno evitato altre morti ma che non hanno allentato del tutto le tensioni, visto che a più riprese ci sono stati scontri anche violenti.
A inizio 2024 è emerso che i militari dei due Paesi si sono scontrati almeno due volte nel 2022. I dettagli dei nuovi scontri sono stati rivelati dopo che l’esercito indiano ha conferito medaglie al valore ad alcuni dei suoi soldati, i quali avrebbero sfidato le truppe cinesi che cercavano di entrare in territorio indiano in almeno due incidenti nel 2022.
Nel frattempo, entrambe le parti proseguono a costruire strade ed edifici, fomentando la paranoia avversaria. Lo scorso settembre, le autorità di Pechino hanno rilasciato un elenco con denominazioni in mandarino di diverse località contese, comprese alcune sotto controllo indiano. La reciproca diffidenza è stata resa visibile anche a livello diplomatico, quando Xi Jinping ha evitato di partecipare al summit del G20 di Nuova Delhi, inviando al suo posto il premier Li Qiang. Ciò non impedisce ai due Paesi di sedere insieme all’interno dei Brics, peraltro appena allargati a dieci membri. Interessante anche incrociare le nuove manovre al confine con la sfida indiretta che sta andando in scena nell’oceano Indiano.
Le Maldive, che hanno di recente cambiato presidente, hanno imposto il ritiro entro maggio del drappello di militari indiani da tempo presente sull’arcipelago. Contestualmente, Malé ha firmato un accordo di assistenza militare con la Cina, suscitando fastidio a Nuova Delhi.
La partita del confine conteso pare destinata per ora a restare aperta e potrebbe anzi arricchirsi di un nuovo delicato dossier quando si dovrà stabilire la controversa successione del Dalai Lama.