Con 48 milioni di utenti, Instagram è il social più utilizzato nella repubblica islamica, contribuendo per circa un miliardo di dollari all’economia del Paese
La narrazione sul ruolo dei social media nella geopolitica è cambiata nel corso degli anni. Inizialmente, si è parlato di come potessero essere una voce per le comunità dimenticate dai media tradizionali; fu così durante la Primavera Araba e durante i tumulti popolari dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Nell’ultimo decennio, però, a questo uso si è affiancata la loro strumentalizzazione per fini geopolitici da parte del potere statale. Potremmo definirli, ormai, come “armi di informazione di massa”: chi li sa usare ha fra le mani uno strumento incredibilmente potente per far sentire la propria voce, indirizzare e influenzare il dibattito pubblico internazionale. Non sorprende, infatti, che il controllo di queste piattaforme sia tra le priorità di tutte le dittature.
Le rivoluzioni passano per Instagram
In Iran i social media stanno giocando un ruolo chiave nella rivolta sistemica scoppiata contro il regime degli Ayatollah in seguito alla morte di Mahsa Amini. È l’ennesima conferma che oggi le rivoluzioni, e con esse gli equilibri geopolitici, passano anche da questa dimensione virtuale. Se sappiamo e parliamo di cosa sta accadendo in Iran lo dobbiamo, in primo luogo, ai social. Nella Repubblica Islamica l’informazione libera è duramente repressa. Soprattutto nei momenti di crisi politica, il regime fa di tutto per nascondere al mondo esterno i disordini sociali. Alla stampa internazionale viene vietato l’accesso nel Paese, rendendo estremamente difficile documentare ciò che accade all’interno dei suoi confini. I social riescono a colmare questa lacuna fornendo foto, video e testimonianze dirette dei comuni cittadini, trasformati in reporter sul campo. Prima del loro avvento, le notizie sarebbero state poche, le immagini pochissime e le persone ad interessarsi alla questione ancora meno. Facendo leva sull’emotività delle persone, i social media hanno creato una nuova forma di attivismo basata sulla diffusione dei contenuti, in grado di coinvolgere un pubblico di milioni e milioni di persone. Il bacio di due manifestanti in mezzo alla folla, i cittadini in strada che combattono le autorità, le ragazze che alzano il velo al cielo e lo bruciano, sono tutte immagini con forte attributo estetico e simbolico; esse riescono a far empatizzare anche chi non conosce il contesto. Così, persone da tutto il mondo diffondono le immagini delle proteste in Iran, portando il Paese sotto i riflettori internazionali e indirizzando l’opinione pubblica.
Instagram è l’unico canale social sfuggito, in parte, alla censura del Governo
Oltre a documentare ciò che accade per il mondo esterno, i social rivestono un ruolo chiave nella mobilitazione e nell’organizzazione interna del movimento di protesta iraniano. Nel 1979, la rivoluzione che rovesciò lo Scià fu, in parte, fomentata da cassette audio, passate di mano in mano. Oggi, allo stesso modo, ma con un raggio di azione esponenzialmente più vasto, il passaparola avviene sui social. In Iran, il canale preferito è Instagram. La sua centralità per la popolazione è legata al fatto che, diversamente da Facebook, Twitter o Telegram, è riuscito a sfuggire parzialmente la censura del governo. Con 48 milioni di utenti, Instagram è il social più utilizzato nella Repubblica Islamica, contribuendo per circa 1 miliardo di dollari all’economia del Paese. Nel 2021, durante la sua campagna elettorale, il presidente Ebrahim Raisi sostenne apertamente la libertà di accesso a Instagram, motivandola con ragioni economiche e citando aneddoti sull’uso dell’app da parte delle sue figlie per fare acquisti online. Il governo iraniano è un diretto beneficiario del successo della piattaforma: dal 2020 ha imposto una tassa su tutti gli account con più di 500mila follower. Il suo valore economico lo ha reso più impermeabile alla censura, trasformandolo in uno dei rari luoghi di dibattito democratico.
Strumento democratico nelle mani del popolo e di persuasione nelle mani del Governo
La tolleranza nei confronti di Instragram, però, non è giustificata solo da ragioni economiche: il governo utilizza la piattaforma anche per scopi di propaganda, monitorando e sfruttando sistematicamente gli account degli influencer. In diversi casi, le agenzie di sicurezza e intelligence hanno obbligato alcune celebrità a postare messaggi di regime pensati per influenzare le giovani generazioni su questioni urgenti, soprattutto là dove i media statali si erano dimostrati inefficaci a tale scopo. Questo ci porta all’altro aspetto dei social: se da un lato essi sono uno strumento democratico nelle mani del popolo, possono anche essere un potenziale strumento di controllo e persuasione utilizzato dal potere politico. Mai come oggi, il regime degli Ayatollah ha bisogno di ricorrere a tutti gli strumenti propagandistici nelle sue mani. La repressione non sta funzionando; ciò che vediamo in Iran assomiglia sempre meno a una protesta e sempre di più a una rivoluzione. Dal futuro della Repubblica Islamica passa quello di tutto il Medio Oriente. Ciò ci fa capire quanto, oggi, i social media siano influenti e che, oltre ad avere conseguenze reali sulla vita dei singoli individui, la loro azione dà forma alla geopolitica.
La narrazione sul ruolo dei social media nella geopolitica è cambiata nel corso degli anni. Inizialmente, si è parlato di come potessero essere una voce per le comunità dimenticate dai media tradizionali; fu così durante la Primavera Araba e durante i tumulti popolari dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Nell’ultimo decennio, però, a questo uso si è affiancata la loro strumentalizzazione per fini geopolitici da parte del potere statale. Potremmo definirli, ormai, come “armi di informazione di massa”: chi li sa usare ha fra le mani uno strumento incredibilmente potente per far sentire la propria voce, indirizzare e influenzare il dibattito pubblico internazionale. Non sorprende, infatti, che il controllo di queste piattaforme sia tra le priorità di tutte le dittature.