In un’intervista al Financial Times, il capo softwarista del Pentagono Nicolas Chaillan si dice preoccupato per il ritardo accumulato dagli Stati Uniti nei confronti della Cina. E non è il solo…
L’intelligenza artificiale e la cyber security come frontiera della competizione, anche militare, sono al centro delle dimissioni polemiche di Nicolas Chaillan, che fino a qualche giorno fa era il capo dei softwaristi che al Pentagono si occupano del tema. In un’intervista al Financial Times, Chaillan si dice preoccupato per il ritardo accumulato nei confronti della Cina e definisce il livello delle difese informatiche in alcuni dipartimenti governativi a “livello asilo”.
Le preoccupazioni di Chaillan
Il grido di allarme di Chaillan si poggia su diversi argomenti, l’assenza di investimenti e la mancata comprensione del ritardo accumulato, la sottovalutazione dell’importanza del tema (“non si tratta di sviluppare nuovo hardware militare, un nuovo F35”), la burocrazie che sceglie militari senza esperienza informatica a capo delle unità che si occupano di cyber-guerra, le preoccupazioni etiche e la mancanza di cooperazione tra imprese e Stato.
Le preoccupazioni di Chaillan, un cittadino francese naturalizzato americano nel 2016, non sono solo sue. Nel suo rapporto pubblicato a marzo 2021, la National Security Commission on Artificial Intelligence guidata dall’ex ad di Google Eric Schmidt segnalava come “il Governo federale degli Stati Uniti opera ancora a velocità umana, non a quella di una macchina. L’adozione della Artificial Intelligence (AI) richiede profondi aggiustamenti nelle pratiche commerciali di sicurezza nazionale, nelle culture organizzative e nella mentalità dal livello tattico a quello strategico, dal campo di battaglia, al Pentagono. Lo Stato è in ritardo rispetto allo stato dell’arte commerciale nella maggior parte delle categorie di AI, compresa l’automazione aziendale di base. Soffre di deficit tecnici che vanno dalla carenza di forza lavoro digitale a politiche di acquisizione inadeguate, architettura di rete insufficiente. La burocrazia ostacola migliori partnership con i leader dell’AI nel settore privato che invece potrebbero aiutare”. Quando si parla di velocità umana e della macchina ci si riferisce alla quantità di informazioni e risposte che una macchina è in grado di dare in un tempo infinitamente più rapido di quanto non possa fare un uomo, nella vita normale, così come in battaglia.
Il tema, inutile sottolinearlo, è colossale e non riguarda certo solo difesa e sicurezza. Leggiamo ancora dal rapporto della commissione: “Nessun riferimento storico comodo cattura l’impatto dell’intelligenza artificiale (IA) sulla sicurezza nazionale. L’IA non è una singola tecnologia come un bombardiere Stealth con le ali di pipistrello. La corsa per la supremazia dell’IA non è come la corsa allo spazio verso la luna. L’IA non è nemmeno paragonabile a una tecnologia di uso generale come l’elettricità. Tuttavia, quello che Thomas Edison disse dell’elettricità racchiude il futuro dell’IA. È un campo di campi, detiene i segreti che riorganizzeranno la vita del mondo”.
Parlando con il quotidiano finanziario di Londra, Chaillan segnala che sebbene sia vero che gli Stati Uniti spendono molto di più in cyber-sicurezza di quanto non faccia Pechino, la qualità delle scelte fatte, la loro efficacia ed efficienza non è tale da rendere quel vantaggio finanziario un vantaggio in termini di risultati. Chaillan è meno disperato di quanto il titolo del Financial Times non faccia credere. In un post su LinkedIn successivo alla comparsa dell’articolo, Chaillan scrive: Per coloro che hanno visto questo articolo, voglio chiarire una cosa. Non ho mai detto che abbiamo perso. Ho detto che così com’è e se non ci svegliamo ADESSO non abbiamo alcuna possibilità di vincere contro la Cina tra 15 anni. Ho anche detto che i cinesi sono in testa nell’AI e nel cyber già adesso”.
La competizione con la Cina
La competizione con la Cina su questo terreno è importante perché Pechino sembra voler investire moltissimo in maniera da aggirare il ritardo nei confronti degli Stati Uniti in materia di guerra convenzionale. Anziché rincorrere, la Cina prende una strada parallela. Ed è inutile segnalare come le tensioni, l’atteggiamento minaccioso di Pechino nei confronti di Taiwan degli ultimi mesi non riguardi esclusivamente la “One China policy” o l’orgoglio nazionale, quanto anche e molto la capacità produttiva dell’isola in materia di semiconduttori (su questo terreno gli Stati Uniti hanno fatto passi per riportare in casa parte della produzione anche per cercare terre rare – un export cinese – nel proprio sottosuolo).
C’è però un terreno nel quale la competizione è asimmetrica per ragioni che forse uno specialista in Intelligenza Artificiale in materia di sicurezza non trova rilevante: l’etica e la democrazia. Se è vero che il Pentagono tende a rallentare e raffreddare per ragioni strutturali interne (la burocrazia militare non capisce bene e quindi rallenta), è altrettanto vero che porsi questioni etiche sull’uso dell’intelligenza artificiale in guerra, piuttosto che non porsi questioni etiche più generali in materia di privacy, uso e conservazione dei dati personali è per adesso un problema “occidentale” e non cinese. Una differenza di approccio che osserviamo con la vicenda delle telecamere per il riconoscimento facciale.
Non solo: quando Chaillan sottolinea la mancanza di cooperazione tra pubblico e Silicon Valley dimentica di dire che in Cina il problema non si pone perché se lo Stato decide che l’impresa collaborerà su un dato progetto di sviluppo, quella impresa lo farà senza discutere, mentre il rapporto tra pubblico e privato negli Stati Uniti è naturalmente diverso. Come possiamo osservare bene su un fronte di grande attualità, quello delle politiche per contrastare il cambiamento climatico, per la politica americana prendere delle decisioni e tradurle in leggi e investimenti è più complicato e laborioso. Questa difficoltà – quella della democrazia, imperfetta per natura – è una delle cose che facevano infuriare Trump, abituato a comandare in un’impresa familiare.
In un’intervista al Financial Times, il capo softwarista del Pentagono Nicolas Chaillan si dice preoccupato per il ritardo accumulato dagli Stati Uniti nei confronti della Cina. E non è il solo…