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Libia: nuovo asse Parigi-Roma


Se vince Haftar cresce il rischio foreign fighters. Il Governo francese capisce dunque di aver bisogno dell'Italia

Una donna sfollata libica, fuggita dalla sua casa a causa degli scontri tra le forze orientali comandate dal generale Khalifa Haftar e il Governo riconosciuto a livello internazionale, reagisce alla Bader School, che viene utilizzata come rifugio, Tripoli, Libia, 14 aprile 2019. REUTERS/Ahmed Jadallah

Se vince Haftar cresce il rischio foreign fighters. Il Governo francese capisce dunque di aver bisogno dell’Italia

Già venire a Roma il giorno di venerdì santo, incontrare alla Farnesina il suo omologo Enzo Moavero e sottoporsi alle domande dei giornalisti italiani non deve essere stato affare da poco. Eppure Jean-Yves Le Drian, capo della diplomazia francese (e soprattutto profondo conoscitore del dossier libico) ha accettato di sottoporsi a tutto questo anche perché qualcosa sembra stia cambiando radicalmente nella strategia di Parigi nei confronti della crisi libica.

Quello che sta diventando un conflitto regionale senza vincitori né vinti – tipo Yemen – preoccupa sempre di più la Francia, fino a poco tempo convinta di essere in grado di gestire il caos libico traendone anche qualche vantaggio economico. L’impasse militare e l’annuncio del generale Fawzi al-Mansouri, comandante della cellula operativa di Agedabia, strappata all’esercito nazionale libico e attuale braccio armato di Haftar, secondo il quale “la conquista della capitale avverrà tra qualche giorno, prima del 6 maggio, mese di Ramadan”, hanno convinto la Francia che è indispensabile lavorare a una soluzione politica. Anche perché più tempo passa più aumenta il rischio che quel terrorismo che Haftar immaginava di spazzare via tra le milizie di Misurata e Tripoli potrebbe aumentare favorendo il ritorno in patria di molti foreign fighters nel nord Europa, Francia soprattutto.

Ecco perché Parigi sta lavorando innanzi tutto all’interno del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, ma anche con i più strenui assertori in Europa del dialogo tra Tripoli e Bengasi, ossia l’Italia, per favorire una soluzione politica.

Solo così si spiega il nuovo corso nelle relazioni tra Le Drian e Moavero. Tra i due il rapporto è sempre stato cordiale e franco ma mai si era arrivati a una così totale identità di vedute. “Non è possibile pensare a nessuna soluzione militare nella crisi in Libia, solo con il dialogo politico si può arrivare alle elezioni” ha chiarito Le Drian in conferenza stampa a Roma, aggiungendo che “non è possibile fare nulla in Libia se non c’è un’intesa franco-italiana solida e non c’è una via d’uscita dalla crisi se non è politica”. E Moavero gli ha fatto da contraltare: “Siamo motivati a lavorare insieme e mantenere quella stretta collaborazione che fa sì che per noi la Francia sia il secondo partner commerciale. Siamo Paesi che investono molto nelle rispettive realtà corrispondenti. Di questo siamo coscienti e ne sentiamo la responsabilità”. Una strategia che spiega anche il ritiro degli uomini dell’intelligence francese presenti fino a poco tempo fa sul territorio libico per monitorare da vicino la situazione (con l’illusione forse di gestirne le dinamiche).

Pochi giorni fa si è avuta notizia dell’arresto di 13 “diplomatici” francesi (in realtà consiglieri militari vicini ad Haftar) fermati al valico di Ras Jedir, in Tunisia, mentre attraversavano la frontiera tra Libia e Tunisia. Tredici persone a bordo di sei veicoli con armi nel bagagliaio che si sarebbero rifiutate di consegnare i documenti all’ingresso in territorio tunisino. Il convoglio era diretto a Ben Guerdane, nel governatorato tunisino di Medenine. I consiglieri sarebbero però stati liberati dopo poco tempo. Altri “consiglieri” sarebbero stati individuati anche a Gharyan, 75 chilometri a sud di Tripoli, lì dove infuria la battaglia scatenata dalle forze del maresciallo della Cirenaica.

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