Circa 200.000 Palestinesi, discendenti di coloro che fuggirono da Israele durante la guerra del 1948, vivono in Libano come rifugiati. Condizioni invivibili e faide interne rendono questi 12 campi una scena di violenza regolare tra fazioni rivali che si contendono il potere.
Sono undici le persone che hanno perso la vita, e centinaia sono i feriti, durante quattro giorni di combattimenti nel campo profughi di Ain al-Hilweh, nel sud del Libano. Secondo quanto fatto sapere da Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, gli scontri sono iniziati durante lo scorso fine settimana, tra i membri del movimento laico Fatah, del presidente palestinese Mahmoud Abbas, e i militanti islamisti rivali.
Testimoni oculari hanno riferito di razzi caduti sulle case e di autovetture date alle fiamme. Tantissima gente è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni per mettersi in salvo.
Tutto è cominciato sabato scorso quando un militante islamico è stato ucciso nel campo, probabilmente nell’ambito di una faida tra gruppi rivali. Ciò ha innescato una cascata di attacchi come rappresaglia, inclusa l’uccisione del comandante di Fatah, Abu Ashraf al-Armoushi, che guidava le forze di sicurezza palestinesi nel campo. Lui e quattro dei suoi aiutanti sono caduti in un’imboscata in un parcheggio.
“Questo atroce crimine non avvantaggia nessuno tranne il nemico, e cioè i sionisti, perché sono i principali e unici beneficiari.” ha detto Jalal Abuchehab, un funzionario di Fatah. Secondo la gente del posto, l’esercito libanese dovrebbe intervenire e proteggere la popolazione del campo, aiutandola a risolvere questi conflitti.
In verità, un accordo del 1969 vieta ai militari libanesi l’ingresso nei campi palestinesi. Possono dispiegare le loro forze solo nei pressi del campo, senza entrarvi. All’interno, la sicurezza viene gestita da un comitato congiunto di tutte le fazioni palestinesi, rendendo il campo una scena di violenza regolare tra fazioni rivali che si contendono il potere. Solo pochi giorni prima che scoppiassero gli scontri, secondo quanto riferito dalla stampa locale, il capo dell’intelligence dell’Autorità nazionale palestinese, Majed Faraj, aveva visitato il Libano, invitando le autorità locali a disarmare il campo.
Secondo le stime sarebbero circa 200.000 i palestinesi, discendenti di coloro che fuggirono da Israele durante la guerra del 1948, che attualmente vivono in Libano e sono considerati rifugiati, numero ben sotto gli oltre 400mila profughi registrati dall’Unrwa. Questo perché molti sono scappati all’estero, soprattutto dopo le stragi di Sabra e Shatila di 41 anni fa. Qui praticamente non hanno diritti e sono relegati nei campi profughi, diventati vere e proprie città ghetto.
Non sono ben visti dalla popolazione libanese anche per aver appoggiato, durante la guerra civile, la componente drusa e musulmana, per cui restano relegati nei 12 campi che non possono neanche allargarsi. Sopravvivono incassando piccole rendite e gli vengono offerti parte dei servizi basilari dall’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi in patria e fuori. Hanno un tasso altissimo di disoccupazione: ufficialmente nei campi è del 18% ma tra i giovani di età compresa tra 20 e 29 anni è del 28,5%. A loro non vengono concessi dalle autorità libanesi permessi di lavoro e in molti si arrangiano in nero.
Intanto resta complicata la situazione dei palestinesi anche all’interno della Striscia di Gaza dove domenica scorsa migliaia di persone sono scese in strada per manifestare contro Hamas, ritenuto responsabile delle condizioni di vita sempre più difficili per la popolazione del posto. Le marce si sono svolte a Gaza City, ma anche nella città meridionale di Khan Younis: il popolo ha issato cartelli con su scritto “vergogna”, in alcuni posti sono anche state bruciate le bandiere di Hamas.
I manifestanti hanno anche criticato, in rare manifestazioni, il gruppo che controlla la Striscia, per aver detratto una tassa di circa 15 dollari dai 100 mensili dati alle famiglie più povere di Gaza dal Qatar. La polizia è poi intervenuta per bloccare le proteste. In alcuni casi sono anche stati distrutti i cellulari di persone che avevano fatto dei video, per impedire di darne diffusione e ci sono stati diversi arresti.
Sostenitori e oppositori di Hamas si sono scontrati, lanciandosi pietre gli uni contro gli altri. Le manifestazioni sono state organizzate da un movimento online chiamato “il virus beffardo”. Non è però ancora stato chiarito chi vi sia dietro questo movimento.
Hamas ha preso il controllo di Gaza nel 2007, spingendo Israele ed Egitto a imporre un blocco totale su questo territorio. Israele afferma che la chiusura è necessaria per impedire ad Hamas, che non riconosce il diritto di Israele di esistere, di sviluppare proprie capacità militari. Tale chiusura ha devastato l’economia di Gaza, ha fatto salire alle stelle la disoccupazione e ha portato a molti problemi per la popolazione incluse frequenti interruzioni di corrente.
Le proteste dei giorni scorsi tuttavia si sono verificate proprio mentre Fatah e Hamas parlavano di una possibile riconciliazione. La scorsa settimana, il presidente Abbas e il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, si sono incontrati in Turchia per discutere i modi per raggiungere l’“unità nazionale” e porre fine alla disputa scoppiata tra i due partiti dopo che Hamas ha vinto le elezioni parlamentari del 2006.
Domenica, Abbas e Haniyeh hanno poi partecipato a una conferenza dei leader di diverse fazioni palestinesi in Egitto, in un altro tentativo di porre fine alla rivalità Fatah-Hamas e raggiungere un accordo sulla formazione di un governo di unità palestinese. La conferenza, tuttavia, si è conclusa senza raggiungere alcun accordo, con Hamas che ha respinto l’appello di Abbas a sostenere una “resistenza popolare pacifica” contro Israele. Hamas ha anche chiarito alla conferenza che non aderirà a nessun programma politico che riconosca Israele o gli accordi firmati tra palestinesi e israeliani negli ultimi tre decenni.
Sono undici le persone che hanno perso la vita, e centinaia sono i feriti, durante quattro giorni di combattimenti nel campo profughi di Ain al-Hilweh, nel sud del Libano. Secondo quanto fatto sapere da Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, gli scontri sono iniziati durante lo scorso fine settimana, tra i membri del movimento laico Fatah, del presidente palestinese Mahmoud Abbas, e i militanti islamisti rivali.
Testimoni oculari hanno riferito di razzi caduti sulle case e di autovetture date alle fiamme. Tantissima gente è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni per mettersi in salvo.