Sará Corina Yoris, accademica senza affiliazione di partito, la candidata della Piattaforma Unitaria, coalizione che riunisce l’opposizione a Maduro, alle elezioni del 28 luglio. Le possibilità di successo del chavismo, che per più di 20 anni ha mantenuto il sostegno popolare, sembrano per la prima volta essersi ridotte al minimo.
Alla fine la candidata della destra venezuelana alle presidenziali del 28 luglio, Corina Machado, ha fatto un passo indietro. La decisione è stata annunciata lo scorso venerdì, in una conferenza stampa in cui è stata presentata la nuova candidata della Piattaforma Unitaria Democratica, la coalizione che riunisce i principali partiti dell’opposizione al governo di Nicolás Maduro.
A contendere la presidenza al chavismo sarà Corina Yoris Villasana, ottantenne, riconosciuta accademica che ha presieduto la Società Venezuelana di Filosofia e docente universitaria a tempo completo. Una figura pressoché sconosciuta al grande pubblico, ma soprattutto una figura di consenso all’interno dell’eterogenea coalizione oppositrice, che raggruppa settori ultra conservatori e piccoli partiti di ispirazione marxista-leninista nella crociata contro il chavismo, al governo dal 1998.
Yoris sostituisce così la candidata che nell’ottobre scorso aveva sbancato alle primarie dell’opposizione con più del 90% dei voti, Corina Machado, su cui però pesa un’interdizione giudiziaria a ricoprire incarichi pubblici per 15 anni.
Corina Machado e Corina Yoris Villasana
Machado è stata in passato una delle principali dirigenti dell’estrema destra venezuelana. È stata tra le sostenitrici del colpo di stato che ha deposto Hugo Chávez nel 2002, e ha ricevuto poi l’indulto presidenziale nel 2007 per i reati commessi durante il golpe; dal 2012 è stata la rappresentante dell’ala più dura dell’antichavismo: ha sempre rifiutato la possibilità di partecipare alle elezioni, considerandole una farsa, ha più volte chiesto l’intervento militare Usa per rovesciare il chavismo al potere, ed ha sostenuto pubblicamente le sanzioni economiche applicate da Washington nei confronti del Venezuela.
Nel 2014 ha accettato l’incarico di Ambasciatrice presso l’Organizzazione degli Stati Americani in rappresentanza della Repubblica di Panama, un escamotage ordito dai governi conservatori della regione per far partecipare l’opposizione venezuelana ai forum regionali. Queste posizioni sono state usate come pretesto dalla giustizia venezuelana, che da anni è stata trasformata in uno strumento del potere esecutivo, per sospendere i suoi diritti politici durante 15 anni, impedendo di fatto la sua candidatura. Sebbene Machado sembrasse decisa a sostenere la linea dura addotta in passato, e dunque portare la sua candidatura fino alle ultime conseguenze, la coalizione oppositrice ha preferito accordare l’iscrizione di una candidata alternativa e garantirsi così un posto alle presidenziali di luglio. Questo, perché le possibilità di vittoria sono davvero molto alte.
Secondo gli ultimi sondaggi disponibili, Corina Machado poteva vantare un appoggio vicino al 54% degli elettori venezuelani, che però si dichiaravano disposti a votare qualunque candidato della coalizione oppositrice “al di là dei nomi propri”. Così Yoris parte con una base del 53% delle preferenze, contro il 15% che si assicura Nicolás Maduro.
La strategia di Maduro
Secondo i leader dell’opposizione il governo avrebbe già iniziato a mettere i bastoni nelle ruote della nuova candidata: gli account dei partiti della Piattaforma Democratica per l’iscrizione dei propri candidati nella piattaforma telematica del Consiglio Nazionale Elettorale non funzionavano questo lunedì, a solo poche ore dalla chiusura delle iscrizioni ufficiali. Il governo Maduro da tempo gioca a mettere in tensione l’accordo raggiunto alla fine del 2023 con l’opposizione e i rappresentanti di Usa ed Unione Europea per la realizzazione di elezioni trasparenti. E le evidenti difficoltà che attraversa il chavismo nella campagna elettorale attuale aggravano ancor più la situazione.
L’attuale configurazione politica venezuelana infatti è il frutto dei cosiddetti Accordi delle Barbados, culmine di un processo internazionale che ha incluso un certo disgelo nella relazione tra Washington e Caracas, l’adozione di una politica economica di stampo neoliberista da parte del governo venezuelano e l’allentamento delle sanzioni economiche internazionali da parte di Usa e Ue nei confronti del chavismo.
Dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina infatti le principali potenze globali si sono prodigate nell’assicurarsi fonti di approvvigionamento alternative di greggio nel bel mezzo del caos provocato dal boicottaggio internazionale alle esportazioni russe. La Casa Bianca ha deciso dunque di modificare la propria posizione nei confronti del Venezuela: nel 2019 gli Usa avevano addirittura sostenuto apertamente il tentativo di golpe che cercó di rovesciare con la forza Nicolás Maduro.
L’accordo delle Barbados
L’accordo raggiunto alle Barbados, con la mediazione del governo norvegese ed il forte sostegno degli Stati Uniti, ha permesso di tracciare un piano d’azione che accontentasse un po’ tutti: Usa e Ue potevano far riprendere le attività delle aziende petrolifere bloccate in Venezuela dalle sanzioni (tra cui l’italiana Eni) ottenendo però una prima promessa di adeguamento alle norme della democrazia liberale da parte di Maduro; che a sua volta si assicurava un allentamento delle costrizioni economiche che avevano gettato il paese nella crisi umanitaria più grave del Sudamerica; e l’opposizione otteneva la garanzia internazionale per la celebrazione di comizi giusti e trasparenti e poter aspirare così a riprendere il potere per la via della legalità ed abbandonare il golpismo, che dopo vent’anni di tentativi ha condotto ad un vicolo cieco i propri leader.
Nelle ultime settimane però sono sempre più insistenti le voci intorno alla presunta intenzione del governo di sabotare gli accordi raggiunti: poche settimane fa infatti la procura ha ordinato l’arresto di alcuni assistenti di Corina Machado, tra cui la direttrice della sua campagna, Magalli Meda, fino ad allora principale candidata a succederle alle presidenziali di luglio. A febbraio il governo di Maduro aveva già ricevuto forti critiche a livello internazionale per la decisione di ordinare la chiusura degli uffici di Caracas dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, accusato di spionaggio.
La nomina di Yoris pone ora il governo di fronte ad un nuovo dilemma: mantenere la parola degli Accordi delle Barbados potrebbe significare la perdita del potere a breve termine, e stralciare apertamente l’accordo riaprirebbe le porte alle sanzioni economiche, che la società venezuelana non sembrerebbe ormai in condizioni di poter sopportare nuovamente.
Maduro sembra invece disposto a portare avanti, fino a quando gli sia possibile, la strategia dell’ostruzionismo: mantenere la data delle elezioni già fissata escogitando però azioni che impediscano all’opposizione di raggiungere un risultato favorevole. Le possibilità di successo del chavismo, che per più di vent’anni ha comunque mantenuto un sostegno popolare considerevole, sembrano per la prima volta essersi ridotte al minimo. Ed il tempo per trovare un’uscita che accontenti tutti gli attori, domestici ed internazionali, coinvolti nella crisi venezuelana, si accorcia sempre più.
Alla fine la candidata della destra venezuelana alle presidenziali del 28 luglio, Corina Machado, ha fatto un passo indietro. La decisione è stata annunciata lo scorso venerdì, in una conferenza stampa in cui è stata presentata la nuova candidata della Piattaforma Unitaria Democratica, la coalizione che riunisce i principali partiti dell’opposizione al governo di Nicolás Maduro.