Marine Le Pen è eterna, ma eternamente seconda, in una Francia divisa tra europeismo macroniano, da un lato, e tutela di corporazioni e mantenimento di privilegi novecenteschi, dall’altro
Tutto come da copione. Come nel 2017, le elezioni presidenziali francesi portano al ballottaggio Emmanuel Macron, fondatore della République En Marche, e Marine Le Pen, leader di Rassemblement national.
Due punti separano il Presidente in carica (28,4%) dalla candidata dell’estrema destra francese (23,4%), quando lo spoglio è ormai all’88% delle schede. Dietro di loro, il leader della sinistra Jean-Luc Mélenchon, unico altro candidato a doppia cifra (20,1%). Spazzati via i partiti tradizionali: malissimo sia la candidata dei repubblicani sia quella dei socialisti. Valérie Pécresse è rimasta sotto il 5%, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo addirittura sotto il 2%.
“Tutti quelli che non hanno votato per Macron si uniscano a me”, ha dichiarato tra la folla dei suoi sostenitori la leader di Rassemblement National, che ha promesso agli elettori di “rimettere la Francia in ordine in 5 anni” qualora riuscisse a uscire vincitrice dal ballottaggio del 24 aprile.
Come si è ridotto il vantaggio di Macron, che nei mesi scorsi sembrava abissale?
Il Presidente più giovane della storia francese ha deciso sostanzialmente di non fare campagna elettorale. Macron ha annunciato la propria partecipazione alle elezioni per ultimo, con una lettera pubblicata sui giornali lo scorso 3 marzo, in cui ha messo in chiaro che non avrebbe potuto condurre la campagna elettorale “comme il faut”, a causa della guerra dell’Ucraina. Il Presidente francese ha partecipato a un numero molto limitato di eventi pubblici, sottraendosi anche ai dibattiti televisivi. “Un Presidente della Repubblica che rifiuta il dibattito è incredibile”, ha commentato il leader del partito ecologista di sinistra Europe Écologie Les Verts, Yannick Jadot, e anche gli altri leader a destra e sinistra gli hanno fatto eco.
Mentre Macron si assentava dalle scene, il dibattito e l’attenzione dei francesi ha iniziato a spostarsi lentamente dalla guerra all’inflazione, al potere d’acquisto e al costo del carburante (già al centro delle battaglie dei gilet gialli), assottigliando sempre di più il distacco tra il leader della République En Marche e l’immarcescibile “Donna di Stato”, la quale ha raccolto anche le istanze di un pezzo di comunità di sinistra, che non tollera l’attacco alle tutele che Macron sta scientificamente riproponendo per il suo secondo mandato, se confermato dalle urne.
Come andrà a finire? I perdenti hanno già fatto le proprie dichiarazioni di voto, le sinistre e i repubblicani con Macron e il polemista-razzista Eric Zemmour con Le Pen (nonostante le bordate reciproche durante la campagna elettorale), ma è troppo presto per chiudere il cerchio. I conti si faranno alla fine e i sondaggi dicono che sarà un testa a testa.
I Francesi dovranno convincersi che la ricetta di rilanciare la competitività del Paese, attraverso anche la rimozione di una serie di privilegi novecenteschi per varie categorie di lavoratori, che Macron ha coraggiosamente messo sul tavolo, è l’unica soluzione per ridare protagonismo al Paese, in Europa e nel mondo. L’alternativa è il neo nazionalismo autarchico dell’eterna Marine, l’anima nera dei Francesi. Significherebbe la fine della Repubblica liberale post-bellica e, verosimilmente, la fine del progetto europeo. Ma non accadrà…
Tutto come da copione. Come nel 2017, le elezioni presidenziali francesi portano al ballottaggio Emmanuel Macron, fondatore della République En Marche, e Marine Le Pen, leader di Rassemblement national.