Due settimane di proteste nel sud della Siria, sempre più manifestanti chiedono la rimozione del presidente Bashar al-Assad. Si calcola che il 90% dei Siriani viva sotto la soglia di povertà.
Non si placano, per la seconda settimana di seguito, le proteste in Siria. Sono migliaia i siriani che quotidianamente scendono in strada a Sweida, nel sud-ovest del Paese, per manifestare contro il governo.
La folla sventola la bandiera drusa (Sweida è infatti una area popolata in gran parte dalla minoranza drusa) mentre vengono incendiate foto del presidente Bashar al-Assad. Ad un certo punto, i manifestanti hanno poi anche fatto irruzione negli uffici appartenenti al partito Baath (il partito di Assad), cacciando via i membri del partito che erano dentro. Hanno poi sigillato le porte e scritto slogan antigovernativi sui muri.
Le proteste sono cominciate circa due settimane fa più che altro come segnale di protesta per l’aumento dell’inflazione e per la difficile situazione economica della Siria, devastata dalla guerra, ma in seguito si sono estese e concentrate contro il governo. I manifestanti chiedono la caduta dell’attuale governo, accusato di essere il principale artefice della situazione attuale del paese, complessivamente insostenibile.
Le proteste si sono ulteriormente inasprite alla notizia della riduzione, da parte del governo, dei sussidi per il carburante. La sterlina siriana intanto si è ancora di più indebolita e il tasso di povertà fra la popolazione è altissimo. Le proteste, oltre che a Sweida, hanno investito anche la vicina provincia di Deera.
Sembra quasi di essere ritornati al 2011, quando le proteste che scossero il paese vennero poi represse con il sangue da Assad. “Siamo qui – ha raccontato un manifestante di Deera – perché il governo detiene ancora più di mezzo milione di persone, e poi anche per gli omicidi, per i prezzi troppo elevati e per i posti di blocco, dove le milizie del regime chiedono soldi ogni volta che passiamo. Non si può andare avanti così. Le proteste continueranno finché il regime non sarà rovesciato. È inevitabile. A Deraa abbiamo paura di essere arrestati ai posti di blocco, ma per tutto il resto non abbiamo paura.”
Centinaia di manifestanti si sono radunati anche ad Aleppo e Idlib, nel nord-ovest, e a Deir Az Zor, Raqqa e Hassakeh, nel nord-est. A Damasco, Latakia, Tartous e altre roccaforti del governo, le proteste ci sono, ma sono più pacate.
Ma cosa ha portato realmente a tutto questo?
La vita della popolazione siriana è difficilissima. Nel conflitto hanno perso la vita sinora 300.000 persone, intere famiglie sono state decimate, altre sfollate. Si calcola che il 90% dei Siriani viva sotto la soglia di povertà. Fenomeni come la corruzione sono all’ordine del giorno. L’inflazione rende complicato per le famiglie anche riuscire a comprare i beni di prima necessità.
Intanto il governo non sembra preoccuparsi eccessivamente di quanto sta accadendo. Le forze governative hanno persino consolidato il loro potere in gran parte del paese ed è iniziata la repressione. A Deraa, sono state arrestate una sessantina di persone, mentre a Sweida, la reazione contro i manifestanti è stata più contenuta, forse perché al-Assad vuole evitare di usare la forza contro i Drusi anche per difendere la sua immagine di governo che difende le minoranze religiose.
Secondo Minority Rights Group International, un’associazione che opera per la tutela delle minoranze, i Drusi sono la terza minoranza religiosa più grande della Siria e rappresentano dal 3% al 4% della popolazione del paese.
Non si placano, per la seconda settimana di seguito, le proteste in Siria. Sono migliaia i siriani che quotidianamente scendono in strada a Sweida, nel sud-ovest del Paese, per manifestare contro il governo.
La folla sventola la bandiera drusa (Sweida è infatti una area popolata in gran parte dalla minoranza drusa) mentre vengono incendiate foto del presidente Bashar al-Assad. Ad un certo punto, i manifestanti hanno poi anche fatto irruzione negli uffici appartenenti al partito Baath (il partito di Assad), cacciando via i membri del partito che erano dentro. Hanno poi sigillato le porte e scritto slogan antigovernativi sui muri.