Il Messico ha proposto agli Usa di avviare un programma di visti per i lavoratori temporanei migranti, in modo da ampliare la forza lavoro, potenziare la capacità manifatturiera e distaccarsi dall’Asia
“Perché comprare merci in Asia se possono venire prodotte in Nordamerica e in tutta l’America?”.
La frase, rivolta all’amministrazione statunitense di Joe Biden, è stata pronunciata giovedì dal Presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador all’interno di un discorso in cui chiedeva a Washington di investire in Centroamerica per risolvere le cause dell’emigrazione verso nord. I flussi di persone provenienti da Honduras, El Salvador e Guatemala sono un problema gestionale tanto per gli Stati Uniti quanto per il Messico. Che per l’America centrale ha messo a punto un piano di sviluppo modellato sui programmi di welfare applicati in patria – uno riguarda la riforestazione, l’altro i tirocini per i giovani –, e cerca di ottenere la partecipazione degli Stati Uniti.
Il piano di López Obrador
Il discorso di López Obrador di giovedì è l’ultimo di una lunga serie di inviti agli Stati Uniti a collaborare per lo sviluppo centroamericano. Ma con un elemento notevole: per rafforzare il suo messaggio, il Presidente ha menzionato una delle priorità strategiche assolute di Biden. Ovvero la necessità di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina per quanto riguarda i materiali critici e di accorciare le catene di approvvigionamento, installandole direttamente in patria o nelle immediate vicinanze.
Gli Stati Uniti e il Canada, ha detto López Obrador, avranno bisogno di una forza-lavoro più ampia se vorranno espandere le loro capacità manifatturiere e ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’Asia. I migranti, prosegue, dovrebbero venire presi in considerazione per le posizioni di lavoro che si apriranno. López Obrador cerca insomma di presentare l’immigrazione non come un tema da risolvere – un problema, quindi – ma come un’opportunità per il successo di Washington nella competizione industriale con Pechino.
La sua è una politica estera che si lega profondamente alle necessità di politica interna. López Obrador vorrebbe che l’amministrazione Biden avviasse un nuovo programma per i visti ai lavoratori stagionali, centroamericani ma anche messicani. La recessione aggravata dalla pandemia e la crisi della sicurezza hanno infatti causato un aumento notevolissimo del numero di messicani che emigrano verso gli Stati Uniti (per molto tempo la tendenza è stata contraria: erano più quelli che tornavano in patria di quelli che la lasciavano). Per López Obrador i cittadini messicani negli Stati Uniti possono trovare un’occupazione da operai, approfittando del piano di Biden per l’ammodernamento delle infrastrutture, e contribuire al mantenimento delle comunità di origine – e alle casse dello stato – grazie alle rimesse.
Ottimismo eccessivo?
Il messaggio di López Obrador è però forse eccessivamente ottimista, per due ragioni. La prima è che difficilmente i centroamericani si riveleranno abbastanza qualificati per lavorare nelle nuove industrie della sostenibilità – automobili elettriche, batterie, semiconduttori, tecnologie per le energie rinnovabili –, quelle che gli Stati Uniti hanno interesse a “mettere al sicuro” dalla Cina. E poi perché Biden vuole innanzitutto garantire l’occupazione ai cittadini statunitensi, ricollocando gli impiegati nei settori minacciati dalla transizione energetica e dalla digitalizzazione.
Rispetto all’America centrale, per il Messico è più facile contribuire al piano di Biden per la regionalizzazione delle filiere critiche, in quanto già pienamente inserito nelle dinamiche industriali statunitensi (a partire dall’automotive) e sede di manifatture dall’alto valore (come quelle aerospaziale e farmaceutica). Ma López Obrador è notoriamente scettico verso l’integrazione economica con il resto del Nordamerica, anche se da qualche tempo è possibile notare un cambiamento nella retorica del suo Governo. Una decina di giorni fa il segretario degli Esteri Marcelo Ebrard ha detto che la regione si sta preparando a dei cambiamenti tecnologici, ad esempio in direzione della mobilità elettrica, e che il Messico vuole essere parte di questo processo. A inizio mese la segretaria dell’Economia Tatiana Clouthier ha annunciato che il Messico vuole attirare investimenti in batterie e semiconduttori (sui microchip ci sono già Intel e Skyworks).
Sono tempi di riassetto delle catene del valore ma anche di protezionismo, pure nell’amministrazione Biden. La politica “Buy American” ad esempio, per garantire che i prodotti acquistati tramite i contratti pubblici siano stati realizzati negli Stati Uniti, spaventa gli esportatori canadesi. Il Messico protesta con Washington per le regole d’origine interna troppo stringenti dei componenti auto, perché potrebbero danneggiare il libero scambio nordamericano invece di promuoverlo: regole troppo costose da rispettare, cioè, finirebbero per indurre le case automobilistiche a produrre altrove e a re-importare i veicoli finiti pagando un dazio all’ingresso. Esattamente il contrario di quello che Biden vorrebbe.
“Perché comprare merci in Asia se possono venire prodotte in Nordamerica e in tutta l’America?”.