La guerra in Ucraina e la crisi economica hanno fatto velocemente passare in secondo piano le sorti del Paese. Ma il Governo di Unità Nazionale continua a combattere contro la giunta militare e può contare sull’appoggio della popolazione e delle minoranze etniche
Nel novembre del 2019 mi trovavo in Myanmar, nella città di Yangon. Ebbi una conversazione con una ragazza che mi rimase impressa. Lei aveva circa trent’anni ed era nata e cresciuta nella vecchia capitale del Paese, nonché la sua città più popolosa. Mi raccontò di come la città si fosse colorata e animata da quando, a partire dal 2010, il Myanmar aveva iniziato un processo di graduale democratizzazione e marginalizzazione del Tatmadaw, l’esercito birmano. Mi disse di essere cresciuta in una città buia, sotto un perenne coprifuoco che non aveva mai concesso alle strade di popolarsi di locali, di musica e di giovani liberi di essere tali. Si sa: cultura, creatività, musica e giovani sono tutti elementi che non vanno d’accordo con i regimi autoritari.
Questa semplice discussione mi è rimasta impressa perché, poco più di un anno dopo, le speranze di quella ragazza e di tutti i suoi connazionali che finalmente stavano iniziando a potersi esprimersi liberamente, come individui e cittadini, si sono spezzate. Nel 2021, sotto le telecamere ignare di una insegnante di aerobica, si consumò il golpe della giunta militare. Venne sciolto il Parlamento e deposta Aung San Suu Kyi, fresca vincitrice delle elezioni presidenziali. Da quel momento il Paese è tornato indietro di dieci anni, ripiombando in una dittatura militare. Tutti i maggiori esponenti della National league of Democracy (NLD) sono stati incarcerati, compresa la leader. Il colpo di Stato è stato condannato a livello internazionale da tutto il mondo occidentale; Russia e Cina, invece, hanno scelto di mantenere una posizione ambigua (coerentemente con il loro modus operandi quando si parla di dittature), ostacolando così la risoluzione Onu mirata a sanzionare il nuovo Governo militare del Myanmar.
Il golpe, purtroppo, non fu una sorpresa. Piuttosto, confermò la profonda fragilità insita nel sistema politico del Myanmar, in cui i militari non hanno mai davvero abbandonato le redini del potere. L’attuale Costituzione del Paese fu scritta nel 2008 dallo stesso Tatmadaw, il quale predispose delle garanzie che dessero continuità alla sua influenza.
Le forze armate preservavano dunque diversi privilegi, tra cui quello di avere sempre garantito il 25% di seggi in Parlamento e di poterlo sciogliere in casi di calamità nazionale. In seguito alla vittoria schiacciante della NLD nelle elezioni di novembre 2020 e alla volontà espressa dalla sua leader di mettere mano alla Costituzione per modificarla, l’esercito si è accorto che la situazione stava sfuggendo di mano e si è imposto con la forza.
Il Tatmadaw non aveva però calcolato una cosa: quando fai conoscere la libertà alle persone è difficile poi tornare indietro. È il grande timore di tutte le dittature, se il popolo assapora la democrazia alzerà poi i propri standard e difficilmente si piegherà senza combattere. In Myanmar è successo esattamente questo. Si è aperta una stagione di lotte e proteste che ha coinvolto tutta la popolazione; uomini, donne e soprattutto la generazione Z, ragazzi e ragazze dai 14 ai 24 anni, sono scesi in piazza e si sono organizzati per sfidare la giunta militare. Inizialmente ci sono state proteste, poi si è passati a una vera e propria guerra civile tra le forze armate e il Governo di Unità Nazionale (NUG), un esecutivo ombra formato da membri della NLD e della società civile. Esso è riuscito anche a unire le forze con diversi rappresentanti delle minoranze etniche, superando così una frattura identitaria che da sempre caratterizza la società birmana.
Il NUG è in grado di governare?
Nell’agosto 2021, il NUG ha reso pubblica una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte penale internazionale (CPI). In pratica, il NUG ha chiesto alla CPI di indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi dalla giunta militare in Myanmar. A questa dichiarazione però, non sono seguite azioni concrete della CPI. Oggi, a più di un anno di distanza, la comunità internazionale non ha ancora adottato misure concrete per sostenere le forze democratiche nel Paese. Secondo Philipp Annawitt, consulente al Governo e al Parlamento del Myanmar prima del colpo di Stato militare, questo è un grande errore perché il NUG ha buone probabilità di successo, motivo per cui andrebbe riconosciuto come Governo legittimo e supportato. Lo stesso è stato affermato anche dall’Economist, secondo cui il riconoscimento internazionale del NUG, e i conseguenti aiuti economici che questo porterebbe al Governo ombra sarebbero un primo cruciale passo per sostenere le forze democratiche.
La guerra in Ucraina, la crisi economica e le altre potenziali minacce (come la questione di Taiwan) all’ordine internazionale hanno fatto velocemente passare in secondo piano le sorti del Myanmar. Inizialmente, questo era dettato anche dalla diffusa credenza che l’opposizione democratica sarebbe stata velocemente e brutalmente schiacciata dal regime militare. Non è stato così, anzi, il NUG continua a combattere nelle città e nelle montagne, guadagnando sempre più terreno e amministrando le zone sotto il suo controllo. Contrariamente al Tatmadaw, l’opposizione democratica ha dalla sua parte la lealtà della popolazione. Si tratta di elemento chiave nelle situazioni di guerriglia che, in questo caso, sta aiutando le forze del NUG a sopperire alla disparità nei mezzi di combattimento. Infatti, L’esercito del Myanmar è uno dei meglio equipaggiati dell’Asia e conta circa 350mila uomini; le forze del NUG, composte da varie unità, nel loro complesso contano circa 50mila uomini e dispongono di poche attrezzature e risorse.
Ad oggi, secondo un rapporto di International IDEA, il NUG controlla diversi territori del Paese svolgendo, a tutti gli effetti, un ruolo governativo. Per ruolo governativo si intende la capacità di controllare effettivamente il territorio e la popolazione, ma anche la capacità di proteggerla e provvedere ai servizi fondamentali per il benessere sociale. Il NUG riesce a offrire assistenza sanitaria, nonché accesso all’educazione in presenza e a distanza. Ad esempio, per quanto concerne l’educazione, il Ministero dell’Istruzione del NUG ha sviluppato, insieme al NUCC (il National Unity Consultative Council, un’ampia coalizione di vari attori della resistenza democratica), una politica educativa federale. Il Ministero amministra le scuole e gli insegnanti (dipendenti pubblici fedeli al NUG), a cui cerca di pagare una indennità di sussistenza con i pochi fondi disponibili.
Vi è un altro aspetto cruciale: oltre ad assumere sempre di più la fisionomia di un Governo vero e proprio, con istituzioni adibite a ruoli precisi e coordinate tra di loro, il NUG potrebbe potenzialmente essere il Governo più eterogeneo e rappresentativo che il Myanmar ha mai avuto. Esso è riuscito a superare le forti fratture etniche della Birmania, si è detto pronto a impegnarsi nel rispetto dei diritti della minoranza Rohingya e lavorare per favorire la sua inclusione. Su questa scia, gli attori del NUG hanno avviato un processo di progettazione di un nuovo quadro costituzionale a lungo termine. Le parole d’ordine sono democrazia e federalismo, in modo da costruire un Governo che sia il più inclusivo possibile, cosciente delle diverse realtà etniche presenti in Myanmar. Affinché questo progetto si concretizzi è necessario che gli attori democratici trovino un accordo sulle questioni inderogabili per la costruzione di uno Stato, come la forma di Governo, il sistema elettorale, la nomina della magistratura, i nomi, il numero e i confini delle unità federali e, in particolare, le disposizioni per il periodo di transizione e attuazione. Vi è, inoltre, un altro elemento che faciliterebbe notevolmente la transizione democratica: il sostegno concreto, sia politico che economico, della comunità internazionale. Il punto di partenza è il riconoscimento internazionale del NUG come Governo legittimo.
Questa semplice discussione mi è rimasta impressa perché, poco più di un anno dopo, le speranze di quella ragazza e di tutti i suoi connazionali che finalmente stavano iniziando a potersi esprimersi liberamente, come individui e cittadini, si sono spezzate. Nel 2021, sotto le telecamere ignare di una insegnante di aerobica, si consumò il golpe della giunta militare. Venne sciolto il Parlamento e deposta Aung San Suu Kyi, fresca vincitrice delle elezioni presidenziali. Da quel momento il Paese è tornato indietro di dieci anni, ripiombando in una dittatura militare. Tutti i maggiori esponenti della National league of Democracy (NLD) sono stati incarcerati, compresa la leader. Il colpo di Stato è stato condannato a livello internazionale da tutto il mondo occidentale; Russia e Cina, invece, hanno scelto di mantenere una posizione ambigua (coerentemente con il loro modus operandi quando si parla di dittature), ostacolando così la risoluzione Onu mirata a sanzionare il nuovo Governo militare del Myanmar.