Nagorno-Karabakh: il preludio di un conflitto ancora più grande senza l’intervento dell’Occidente
Dopo gli attacchi dell’Azerbaigian, un fiume di profughi scappa in Armenia per il timore delle conseguenze legate alla resa delle forze dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. La Ue per ora si mobilita attraverso un piano umanitario
In questi giorni abbiamo assistito a scenari di guerra e di evacuazione di massa nella provincia separatista del Nagorno-Karabakh, provincia che si trova all’interno del territorio dell’Azerbaigian, ma a maggioranza armena. Il primo bombardamento da parte azera è avvenuto il 19 settembre, a Stepanakert, capitale dell’Artsakh (nome armeno per il Nagorno-Karabakh). Il giorno successivo, è stato raggiunto un accordo momentaneo per un cessate il fuoco grazie alla mediazione dei peacekeepers russi. Tuttavia, la situazione non è di fatto migliorata: si parla infatti più di una resa da parte delle forze separatiste del Karabakh che di un accordo, e tuttora, nonostante “la tregua” e la deposizione delle armi da parte degli armeni separatisti dell’Artsakh, i soldati azeri continuano a sparare e la popolazione locale si è trovata senza luce e priva di connessione, in un totale stato di terrore.
Scenari possibili per la popolazione dell'Artsakh
Si contano oggi già 13350 persone provenienti dal Karabakh che sono entrate e sono state accolte in territorio armeno e si stima che il numero dei rifugiati potrebbe arrivare a 20000 entro domani; altre si trovano lungo le strade, in cammino, o all’aeroporto di Stepanakert per chiedere soccorso ai peacekeepers russi. Pare ci siano tutte le condizioni per una pulizia etnica o quantomeno per un esodo di massa che di fatto segnerebbe più che la reintegrazione del Nagorno-Karabakh nel territorio azero e sotto la giurisdizione di Baku, un totale piano di ripopolamento e di “azerizzazione” della zona.
Un altro scenario possibile sarebbe la decisione da parte della popolazione locale di restare sollevando così la questione di come garantire i diritti umani e una certa autonomia a quella comunità, una questione centrale a qualsiasi trattativa e mediazione per un accordo da parte di attori europei e russi. Quest’ultimo scenario sarebbe dunque il più complesso, poiché i Rappresentanti di Baku hanno già chiarito che non verrà garantita nessuna autonomia alla comunità armena del Karabakh e che vigeranno le leggi della costituzione azera. Secondo Sevinj Samadzade, attivista azera per la pace, “come sarà possibile garantire diritti umani degli armeni se Aliyev non li garantisce neanche agli azeri?” .
Inoltre gli scontri potrebbero continuare, anche in piccole cellule: i separatisti della provincia del Caucaso meridionale hanno deposto le armi, ma qualcuno non si è rassegnato. Qualche giorno fa un comunicato da parte di Azerbaijani Meydan TV ha annunciato che 192 soldati azeri sono morti e 511 sono stati feriti durante i bombardamenti a Stepanakert.
Decine di persone sono state uccise e centinaia ferite nell'esplosione di un deposito di carburante. Il bilancio delle vittime è salito ieri a 68, ha dichiarato l'ufficio dell'Ombudsman del Karabakh. Almeno 105 persone risultano disperse e altre 290 ferite. L'esplosione è avvenuta fuori dalla capitale regionale di Stepanakert - chiamata Khankendi dall'Azerbaigian - nella tarda serata di lunedì, mentre centinaia di persone si rifornivano per lasciare la regione in auto.
Oggi, soldati azeri hanno aperto il fuoco in direzione del monastero armeno di Charektar.
Sappiamo ormai che il piano del governo armeno è quello di ospitare e reintegrare tutti i suoi connazionali della Repubblica separatista all’interno dell’Armenia. Dopo il bombardamento di Stepanakert e gli ultimi negoziati, pare che nessun armeno voglia più rimanere in Nagorno-Karabakh e che ormai la capitolazione dell’Artsakh è prossima. Il segnale più evidente è di ieri mattina, quando abitanti armeni del Karabakh hanno dato fuoco alle proprie abitazioni perché non fossero occupate da azeri.
In questi giorni gruppi di persone hanno raggiunto, grazie ai peacekeepers russi, la città di Kornidzor nel centro-sud dell’Armenia e la città di Goris nel Syunik (sud dell’Armenia) mentre è già in atto un piano per evacuare 120000 armeni residenti in Karabakh. Lo scorso fine settimana, la regione di Stepanakert è stata raggiunta da convogli umanitari tramite il ponte di Hakari senza più alcun attacco da parte azera.
Oltre il Nagorno-Karabakh
Il piano di Baku, con il lascia passare da parte di Mosca, sembra permettere che la popolazione del Karabakh venga aiutata in questo momento, a patto che si ritiri ora o in un futuro prossimo in Armenia. In realtà nei piani di Baku c’è altro. Vinta questa guerra, Aliyev non si fermerà alla sola reintegrazione dell’oblast del Karabakh, ma punterà anche a un totale riallineamento della parte occidentale dell’Azerbaigian all’enclave del Nachicevan tramite il corridoio di Zangezur nel sud dell’Armenia.
Questo significa, come dimostrato anche negli ultimi anni tra la guerra del 2020 e la resa dell’Artsakh, che Baku vuole spingersi verso il Syunik (regione più a sud dell’Armenia) o perlomeno controllare, in maniera più diretta possibile, il corridoio di Zangezur. La carta geografica e i recenti patti sul gas e petrolio parlano chiaro: Aliyev in questo modo potrebbe garantirsi un collegamento diretto da Baku a Ankara con gli alleati e amici turchi e assicurarsi inoltre maggior potenziale nel trasporto e nel commercio del gas con l’Europa e la Turchia. Tra l’Azerbaigian e l’Unione Europea è stato firmato lo scorso anno un Memorandum of Understanding (MoU) sulla creazione di un partenariato strategico nel campo dell’energia, che include l’impegno a raddoppiare la capacità del gasdotto del Corridoio Sud portandola a oltre 20 miliardi di metri cubi all’anno verso l’UE, entro il 2027. Inoltre, durante questa guerra in Nagorno-Karabakh, Erdoğan ha dichiaratamente difeso l’Azerbaigian, sostenendo che quello dell’Artsakh è territorio azero e che l’Azerbaigian può condurre in quel territorio qualsivoglia operazione di sicurezza e ha diritto ad averne controllo diretto ed ora il Sultano si propone come mediatore per la risoluzione del conflitto in Caucaso, chiedendo un incontro tra i Leader di Russia, Armenia e Azerbaigian a Ankara.
Le responsabilità della comunità internazionale
Nel frattempo, Europa e Stati Uniti condannano duramente ciò che è avvenuto nel Caucaso meridionale, ammonendo il governo azero e il Cremlino affinché rispettino i patti e il cessate il fuoco e garantiscano i diritti umani degli armeni in Artsakh. Il senatore degli Usa Gary Peters di recente si è recato nel corridoio di Lachin e ha parlato dell’importanza di preservare i diritti degli armeni. Ieri mattina, Samantha Power, Amministratrice dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), e l’Alto Funzionario Yuri Kim sono arrivate in Armenia per affermare il supporto da parte di Washington a Yerevan e per confermare il sostegno degli Usa alla popolazione del Nagorno-Karabakh.
Il Presidente francese Emmanuel Macron in un suo discorso a Parigi ha dichiarato che “oggi, la Russia supporta l’Azerbaigian e la Turchia, in quanto quest’ultima è alleata di Baku, mentre la Francia sta a fianco degli armeni e del diritto internazionale. La Francia ha sempre supportato l’Armenia e nei giorni scorsi abbiamo visto operazioni militari e crimini commessi da parte degli azeri in Nagorno-Karabakh. Il diritto della popolazione locale armena di vivere in Nagorno-Karabakh è stato totalmente violato. Noi continueremo a fornire un aiuto umanitario e politico nel nome della pace, che può essere raggiunta solo attraverso i negoziati”.
Nonostante queste dichiarazioni, l’Unione europea, promossasi già come mediatrice della pace e dei diritti umani in Caucaso, ha faticato nell’adottare una risoluzione nel momento più difficile e non si è dimostrata in linea con quanto affermato nei negoziati. Il 19 settembre, un gruppo di deputati del Parlamento europeo ha fortemente condannato “l’attacco pianificato e ingiustificato dell’Azerbaigian contro il Nagorno-Karabakh” e ha chiesto di imporre sanzioni nei confronti di Baku. Non è la prima volta che degli europarlamentari promuovano sanzioni verso l’Azerbaigian. Solo pochi giorni prima dell’attacco militare, gli eurodeputati avevano chiesto il “rilascio immediato e incondizionato” di Gubad Ibodoghlu, figura di spicco dell’opposizione, detenuto a luglio scorso, chiedendo inoltre sanzioni contro i funzionari azeri che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. L’ultima azione militare azera non farebbe altro che rafforzare le basi di quest’appello, ma ancora non sono state prese decisioni.
Il Ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan aveva chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di dispiegare una missione interdipartimentale delle Nazioni Unite in Nagorno-Karabakh e aveva posto l’attenzione sull’importanza e su quanto ora fosse il momento opportuno per creare un’azione di peacekeeping su mandato delle Nazioni Unite per mantenere la sicurezza e la stabilità in Nagorno Karabakh. Ora, forse, è inutile parlarne, visto l’abbandono quasi totale da parte della popolazione armena della sua terra natale. Tuttavia, questo monito e questo tragicissimo episodio, potrebbero essere una lezione per l’Occidente che dovrebbe valutare ipotesi di un dispiegamento di forze nel sud dell’Armenia, altrimenti il rischio di altri scontri e di una guerra ancora peggiore rispetto a questa del Karabakh rimane alto.
Proprio oggi, il Portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha dichiarato che gli Stati Uniti adesso avrebbero intenzione di creare una missione internazionale per monitorare il Nagorno-Karabakh. Questa, per ora rimane una proposta.
Intanto, tra i rappresentanti di Baku e quelli della provincia separatista è ripreso il secondo round dei negoziati a Khojaly (Ivanyan) che probabilmente si concretizzeranno nel totale scioglimento delle autorità separatiste e in una finale e definitiva reintegrazione del territorio dell’Artsakh in Azerbaigian con successiva ripopolazione azera.