La nomina del nuovo Segretario Generale è una scelta cruciale per il futuro dell’Alleanza in un momento molto complicato. I possibili candidati, i loro sostenitori e oppositori, in vista del summit di Vilnius a luglio. È stato più volte scritto e ripetuto che l’invasione della Russia in Ucraina ha dato nuova linfa alla Nato, descritta persino ai più alti livelli governativi come “cerebralmente morta”, incapace di trovare spazio nel mondo che era. Un mondo del presente, appunto, ben diverso rispetto a pochi mesi fa, che vede l’Alleanza attiva e in prima linea nel supporto a Kiev per contrastare l’avanzata moscovita, al tempo stesso al centro delle discussioni sul riarmo dei suoi Paesi membri.
Eppure, nonostante lo slancio ritrovato, non è tutto rose e fiori per l’organizzazione, dilaniata tra falchi e colombe ma anche da veti incrociati delle singole nazioni, attente fino in fondo nel soppesare le scelte da compiere a tutti i livelli. Se il caso più celebre è quello relativo all’ingresso della Svezia, ancora osteggiato dalla Turchia finché non troverà una risposta chiara alle sue richieste di sicurezza, meno conosciute sono le tematiche relative alle trattative per la scelta del nuovo Segretario Generale.
Ancora Stoltenberg
Un fatto logico, dato che si tratta evidentemente a porte chiuse relativamente agli orientamenti nazionali verso un candidato o un altro. Ma dal poco che trapela, sono tre i nomi forti attorno ai quali si sta concentrando l’interesse dei Paesi. Anche se, come spesso accade in questi casi, il rischio è quello di praticare pura fantapolitica: chi entra Papa in Conclave, spesso esce cardinale. In questo caso, ci si basa sulle affermazioni ai più alti livelli governativi.
Il primo nome papabile gioca letteralmente in casa: parliamo di Jens Stoltenberg, l’ex Primo Ministro norvegese, atteso in patria per svolgere il ruolo di Governatore della Banca Centrale, che dal 2014 guida l’Alleanza. Se ci fosse uno stallo nelle trattative, i membri Nato sarebbero pronti a chiedergli un ulteriore sforzo. A dirlo Ivo Daalder, già Ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Organizzazione Nord Atlantica ai tempi di Barack Obama. “Non siate sorpresi se a Stoltenberg verrà chiesto di stare per un altro anno”, ha commentato l’ex Ambasciatore.
La candidatura britannica
Tuttavia, c’è chi vorrebbe un cambio di passo. Tra questi sicuramente il Regno Unito, con il Primo Ministro Rishi Sunak nei giorni scorsi volato alla Casa Bianca per un bilaterale con Joe Biden. I due hanno parlato candidamente di Ben Wallace, Segretario alla Difesa di Londra: il Presidente ha descritto il candidato britannico come “molto qualificato”. Nulla di più. Tra l’altro, un’eventuale, reale candidatura di Wallace, che ha ricordato che quello di Segretario Nato “è un ruolo che mi piacerebbe”, si scontrerebbe inevitabilmente col diniego francese. “Non immagino i francesi supportare un britannico”, ha detto Daalder.
La carta danese
Ciò visto e considerato, Biden ha ricordato che la scelta avverrà per “consensus” e parrebbe che gli Usa spingano non per una figura ministeriale ma, piuttosto, di alto livello, come un Primo Ministro, un capo di Governo, un Presidente. Non a caso, Biden ha incontrato anche la Prima Ministra della Danimarca, Mette Frederiksen. Nonostante lei sostenga di non essere in lizza per la corsa alla segreteria Nato, attorno al suo nome si fanno forti pressioni. Il meeting alla Casa Bianca è durato due ore, molto più dei 45 minuti previsti, e la candidatura di Frederiksen è stata data per reale dal quotidiano norvegese VG il mese scorso. Sarebbe la prima donna a ricoprire tale ruolo.
I veti contrapposti
Ma anche attorno al suo nome ci sarebbero problematiche. In primis, da parte britannica: il Governo di Sua Maestà, secondo fonti interne a Westminster, spinge affinché “si porti avanti il lavoro positivo di Stoltenberg relativamente alla modernizzazione della Nato”, col futuro Segretario che dovrebbe “capire l’importanza della spesa in ambito difesa in un momento critico”. Una vera e propria stoccata alla stessa Frederiksen, che guida un esecutivo lontano dal target del 2% del Pil dedicato entro il 2030, nonostante l’annuncio di 20.6 miliardi di dollari nel corso dei prossimi 10 anni. Contro Frederiksen anche la provenienza geografica (sarebbe terza esponente di fila del mondo nordico a svolgere l’incarico) e la Turchia. Ci sarebbe, però, il nulla osta di Germania e Francia.
Chi si è smarcato dal ruolo, chi potrebbe rientrarci
Tra gli altri nomi circolati negli ultimi mesi, quello di Ursula von der Leyen. La Presidente della Commissione avrebbe sicuramente l’appoggio dei Paesi europei della Nato, anche se un veto di Ankara, anche in questo caso, sarebbe probabile. Ma la candidatura è stata stroncata dalla stessa esponente tedesca. “Quasi sicuramente non sono disponibile per quel ruolo. Ho apprezzato tantissimo lavorare con la Nato quando ero Ministra della Difesa, ma il mio posto è in Europa”, ha detto von der Leyen che, tra l’altro, ha glissato su un possibile rinnovo della posizione come Presidente della Commissione.
Il Primo Ministro olandese Mark Rutte è stato proposto da più parti ma è stato lui a frenare gli entusiasmi sulla sua possibile candidatura: si prospetta un suo ritiro dalla politica. Chi, invece, non è stato recentemente menzionato è Mario Draghi: l’ex Governatore della Banca Centrale Europea nonché Presidente del Consiglio italiano è una figura forte, attualmente senza ruoli, che ha abbracciato apertamente le politiche portate avanti dalla Nato in seguito all’invasione russa in Ucraina. Arrivare al summit di Vilnius senza troppe voci attorno alla sua persona potrebbe fare la differenza.