Un rapporto Nato suggerisce di sviluppare una strategia politica che tenga conto della crescente importanza di Pechino nel mondo. Intanto, 25 dei 30 membri aderiscono al "Clean Network"
Un rapporto Nato suggerisce di sviluppare una strategia politica che tenga conto della crescente importanza di Pechino nel mondo. Intanto, 25 dei 30 membri aderiscono al “Clean Network”
In un rapporto commissionato dal Segretario generale della Nato e pubblicato la settimana scorsa si legge che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord dovrebbe dedicare più tempo e risorse alla gestione dell’ascesa – anche militare – della Cina. Gli autori dello studio suggeriscono ai trenta membri di “sviluppare una strategia politica” da qui al 2030 che tenga conto della “crescente importanza” di Pechino nel mondo.
Sono frasi significative, specie per un’alleanza che era stata definita “cerebralmente morta” dal Presidente francese Emmanuel Macron e “obsoleta” da quello americano Donald Trump. E che si uniscono ad altre dichiarazioni pronunciate lunedì dal Segretario Jens Stoltenberg in merito alla Cina e a come abbia “davvero cambiato il contesto della sicurezza”.
Cosa pensa la Nato della Cina
Già a fine novembre, un giorno prima della presentazione del rapporto, Stoltenberg aveva invitato i membri dell’alleanza a restare uniti sulla Cina, che pone “sfide importanti alla nostra sicurezza” e che “sta investendo massicciamente in nuove armi”, in tecnologie come l’intelligenza artificiale e in infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione. La Cina – aveva detto – “non condivide” i valori delle democrazie occidentali, “cerca di intimidire gli altri Paesi” e “si sta avvicinando a noi, dall’Artico all’Africa” e anche dal cyberspazio.
Eppure Stoltenberg non definisce Pechino un nemico. Pensa anzi che la sua ascesa porti con sé molte opportunità economiche e non crede nemmeno che la Nato debba dotarsi di un quartier generale militare per l’Asia-Pacifico – un’area sempre più rilevante per gli equilibri geopolitici ed economici mondiali –, dove comunque vuole migliorare la cooperazione sulla difesa con i partner regionali: Australia, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda.
In un’intervista con lo scienziato politico americano Ian Bremmer, che gli chiede un commento anche sulla decisione dell’Italia di firmare un memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and Road Initiative, Stoltenberg ha risposto che la Nato “dovrebbe insistere affinché tutti gli alleati abbiano reti di telecomunicazioni, 5G […] e infrastrutture civili sicure e protette, perché è importante per le nostre società ma anche per le operazioni militari”. L’organizzazione ha sviluppato delle linee guida sulla sicurezza delle infrastrutture e delle reti sensibili per assicurarsi che i membri e gli alleati tengano conto delle implicazioni legate agli investimenti stranieri. “Non facciamo nomi di aziende specifiche”, ha precisato Stoltenberg alludendo agli attacchi americani a Huawei, “ma mettiamo degli standard e ci aspettiamo che gli alleati li rispettino”.
L’atteggiamento della Nato – o almeno del suo Segretario generale – nei confronti della Cina sembra insomma cauto ma non ostile: l’organizzazione riconosce i rischi legati alla sua crescita e alla sua diversità politica, però non ha intenzione di trattarla come un vero e proprio nemico. Piuttosto come un rivale sistemico: una definizione usata anche dall’Unione europea. Non è tuttavia chiaro come voglia agire, concretamente, la Nato.
Nel rapporto pubblicato una settimana fa si insiste sulla necessità di aggiornare il Concetto strategico, il documento che definisce gli obiettivi dell’organizzazione; l’ultima versione risale al 2010 e non menziona affatto la Cina.
Cosa dicono gli Stati Uniti
La rappresentante americana presso la Nato, Kay Bailey Hutchison, ha detto mercoledì, durante un webinar organizzato dal think tank Iiss, che la Nato “è arrivata tardi nel valutare la Cina come un rischio”, ma che adesso ha “le idee un po’ più chiare”. Riprendendo un concetto espresso già diverse volte da altri funzionari dell’amministrazione Trump – anche molto importanti, come il Segretario di Stato Mike Pompeo –, Hutchinson ha sostenuto che il mondo ha dato a Pechino la possibilità di partecipare all’“ordine basato sulle regole”, ma il Paese avrebbe dimostrato di non volerlo rispettare.
Hutchinson ha anche dichiarato che 25 dei 30 membri della Nato hanno aderito ai principi del “Clean Network”, l’iniziativa statunitense per la protezione dei dati e delle reti 5G che funge da strumento di contrasto della penetrazione tecnologica cinese.
L’amministrazione Trump volge comunque al termine, e il Presidente elettoJoe Biden promette di ricucire il legame transatlantico tra l’America e gli alleati europei. Quasi sicuramente si distaccherà dai toni e dall’approccio economicistico del suo predecessore, ma per il momento non è noto quale sia l’esatto piano di Biden per la Nato. Gli analisti sono però convinti del fatto che lo scontro tra Stati Uniti e Cina proseguirà anche nei prossimi quattro anni.
Un rapporto Nato suggerisce di sviluppare una strategia politica che tenga conto della crescente importanza di Pechino nel mondo. Intanto, 25 dei 30 membri aderiscono al “Clean Network”
In un rapporto commissionato dal Segretario generale della Nato e pubblicato la settimana scorsa si legge che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord dovrebbe dedicare più tempo e risorse alla gestione dell’ascesa – anche militare – della Cina. Gli autori dello studio suggeriscono ai trenta membri di “sviluppare una strategia politica” da qui al 2030 che tenga conto della “crescente importanza” di Pechino nel mondo.
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