La pandemia ha colpito i lavoratori migranti, risorsa essenziale per l’economia dell’Africa. La Nigeria ha introdotto un nuovo modello di cambio per riavviare il flusso delle rimesse
Negli ultimi anni il cospicuo flusso delle rimesse dei migranti ha costituito una risorsa sempre più imprescindibile per le economie dei Paesi più poveri, ma anche una leva strategica fondamentale sulla quale puntare al fine di promuovere il legame tra migrazioni internazionali e sviluppo.
Nel 2019, la Banca mondiale ha calcolato che i flussi dei risparmi inviati dagli immigrati nei Paesi d’origine hanno raggiunto i 554 miliardi di dollari, superando gli investimenti diretti esteri e gli aiuti ufficiali allo sviluppo.
Di questa ingente somma di denaro, 48 miliardi sono arrivati nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, ma è probabile che il totale reale sia di gran lunga superiore. Questo perché alcuni studi hanno calcolato che quasi il 30% del flusso totale delle rimesse giunge a destinazione attraverso canali informali, che sfuggono alla rilevazione.
L’esempio classico dei flussi “invisibili” è costituito dal contante portato con sé dal migrante nelle periodiche visite presso il Paese nativo. Nondimeno, attraverso i canali informali la valuta estera inviata a casa può essere convertita al tasso di cambio più conveniente offerto dal mercato nero.
Un fattore importante perché i flussi delle rimesse sono anche influenzati dai tassi di cambio delle valute. Questo meccanismo trae origine dal fatto che, a seconda del Paese ospitante, i migranti provenienti dalla macroregione sub-sahariana devono prima cambiare le loro rimesse in dollari o in euro e poi nella valuta del loro Paese d’origine.
Di conseguenza, quando le divise dei Paesi destinatari si deprezzano rispetto al dollaro o all’euro, il valore delle rimesse espresso nelle due valute dominanti diminuisce. Senza contare, che molti Paesi africani praticano varie forme di controllo valutario, con conseguente divergenza tra il tasso di cambio ufficiale e quello del mercato parallelo, favorendo in questo modo uno spostamento dei flussi verso i canali informali.
In Africa una persona su cinque invia o riceve rimesse, e più del 5% del Pil di quindici dei Paesi africani tra i più poveri e fragili dipende da esse. Le ultime stime dell’Africa Growth Iniatitive della Brookings Institution indicano che in rapporto al Pil, i quattro principali beneficiari della regione nel 2019 sono il Sud Sudan (dove le rimesse hanno inciso sul 35% del Pil), il Lesotho (21% del Pil), il Gambia (15% del Pil) e Capo Verde (12% del Pil). Senza tralasciare la Somalia, per la quale, anche se non ci sono dati disponibili, le rimesse costituiscono una fonte primaria di reddito familiare e finanziamento esterno.
Le previsioni elaborate dal progetto della Banca Mondiale Global Knowledge Partnership on Migration and Development (KNOMAD), nel cui ambito vengono condotti studi sulle interazioni tra migrazione e sviluppo, prevedono che nel 2020 i flussi di rimesse diretti verso l’Africa sub-sahariana siano diminuiti dell’8,8%, scendendo a 44 miliardi di dollari. Questa significativa riduzione nel 2020 sarà seguita da un ulteriore calo del 5,8%, che ridurrà le rimesse a 41 miliardi di dollari nel 2021.
Drastici decrementi dovuti alla recessione economica prodotta dalla pandemia, che ha causato la perdita del lavoro a molti lavoratori immigrati. Molti di essi hanno invece subito una forte contrazione dei loro redditi, che ne ha pesantemente ridotto la capacità di inviare denaro a casa.
Per esempio, la fortissima debolezza dei prezzi del petrolio registrata nei primi mesi dell’emergenza sanitaria ha drasticamente diminuito il flusso delle rimesse verso l’Africa provenienti dagli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).
Il vistoso calo delle rimesse è particolarmente preoccupante per la vasta area sub-sahariana, dove quasi il 40% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema. Milioni di persone fanno affidamento su questo sostegno esterno per alimentarsi e coprire le spese primarie, come quelle relative alla salute e all’istruzione. Una situazione sempre più allarmante che richiede il sostegno dei governi africani e dei donor internazionali.
La risposta dei Governi per migliorare il flusso delle rimesse durante questo periodo di crisi in primis è arrivata dalla Nigeria, che lo scorso 8 marzo ha introdotto un nuovo modello di cambio chiamato naira 4 dollar, che offre un bonus di cinque naira per ogni dollaro inviato dai nigeriani residenti all’estero.
Naira 4 dollar resterà in vigore fino all’8 maggio 2021 con l’obiettivo di riavviare il meccanismo delle rimesse, che per la prima economia del continente rimangono una risorsa essenziale. Come provano i circa 23,8 miliardi di dollari arrivati in Nigeria grazie alle rimesse nel 2019, equivalenti a quasi la metà del totale dei flussi diretti verso l’Africa sub-sahariana.
La pandemia ha ridotto in modo significativo i nuovi flussi migratori in tutto il mondo a causa delle diffuse restrizioni alla mobilità, della paura del contagio e delle incerte prospettive di lavoro. In molti Paesi, i livelli di occupazione per i lavoratori stranieri sono diminuiti in maniera molto più incisiva rispetto a quelli dei lavoratori nativi.
Questo ha prodotto il rientro di un numero significativo di migranti rimasti disoccupati e costretti a tornare nei loro Paesi di origine, che adesso stanno affrontando la sfida di accogliere centinaia di migliaia di rimpatriati, ai quali devono garantire assistenza sanitaria, alloggio, lavoro e sostegno finanziario.
Mentre nel lungo termine, i flussi migratori dall’Africa potrebbero aumentare in modo significativo, spinti dai divari di reddito, dalla rapida crescita della popolazione in età lavorativa e dai cambiamenti climatici. In particolare, il reddito medio nei Paesi Ocse ad alto reddito è cinquanta volte più elevato di quello che si registra nei Paesi a basso reddito. Facendo riferimento ai tassi di crescita pre Covid-19, ci vorrebbero più di cento anni per colmare questo divario, che sarà ulteriormente accentuato dalla pandemia.
Molti studiosi di economia dello sviluppo ritengono che una leva chiave per facilitare i flussi di rimesse durante la crisi è rappresentata dalla riduzione del costo dell’invio di denaro. Le commissioni pagate alle società di money transfer per mandare soldi in Africa sub-sahariana hanno una media di quasi il 9%, che corrisponde al tasso più alto al mondo.
Ben tre volte superiore ai target dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile numero 10 (quello volto a ridurre le disuguaglianze), che si prefigge di abbassare a meno del 3% entro il 2030 i costi di transazione sulle rimesse dei migranti. E anche i canali digitali che si attivano attraverso app, che hanno guadagnato popolarità durante la crisi sanitaria provocata dal coronavirus, hanno commissioni elevate che sono aumentate negli ultimi mesi.
I lavoratori espatriati sono quindi costretti a sostenere ingenti costi per inviare il denaro alle loro famiglie in Africa sub-sahariana, i quali incidono in maniera molto sensibile sull’importo finale. E sembra assurdo che per mandare denaro alle loro famiglie, siano proprio gli africani a dover pagare un prezzo più alto di qualsiasi altra comunità di migranti.
Qualche Paese del continente, come il Kenya, per contenere gli elevati costi di transazione ha fatto pressione sugli organismi di regolamentazione, che hanno incoraggiato le istituzioni finanziarie e gli operatori di mobile money a rivedere le linee guida sui prezzi. Un invito che è già stato in parte accolto da alcune banche e da servizi di pagamenti mobili come M-Pesa e MTN Money. Le riduzioni saranno utili per sostenere le famiglie e le imprese in difficoltà, oltre a ridurre la dipendenza dal predominio del contante come mezzo di transazione.
Di certo, per contrastare la significativa riduzione dei flussi delle rimesse, l’abbattimento dei costi dell’invio del denaro non è più procrastinabile. Anche perché rappresenta un elemento determinante per massimizzare questo importante flusso di finanziamenti sempre più necessari allo sviluppo dell’Africa sub-sahariana.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Nel 2019, la Banca mondiale ha calcolato che i flussi dei risparmi inviati dagli immigrati nei Paesi d’origine hanno raggiunto i 554 miliardi di dollari, superando gli investimenti diretti esteri e gli aiuti ufficiali allo sviluppo.