Secondo le previsioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la Cina potrebbe avere mille testate nucleari per il 2030. Gli Usa devono necessariamente ripensare la propria difesa nel nuovo contesto ipersonico
Secondo un nuovo rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, entro il 2027 la Cina avrà a disposizione settecento testate nucleari, arrivando a mille tre anni dopo: oggi ne possiede circa 350.
Non è solo una questione di numeri
Se anche le previsioni del Pentagono dovessero avverarsi, ed effettivamente Pechino sta puntando molto sul rafforzamento della propria potenza nucleare, l’arsenale atomico cinese rimarrebbe comunque più piccolo sia di quello americano (stimato in 5550 testate) sia di quello russo (6255).
Non è solo una questione di numeri, però, ma di capacità militari complessive e di libertà d’azione. L’America vorrebbe infatti portare la Cina dentro il meccanismo di dialogo sulla stabilità strategica e il controllo degli armamenti nucleari (la Russia c’è già), ed è preoccupata per i suoi progressi nello sviluppo di missili ipersonici. I quali, per le loro caratteristiche, stravolgono i tradizionali paradigmi di difesa. Pechino, peraltro, ha ambizioni di influenza globale, rivendica a sé tutta una serie di territori in Asia e vuole modernizzare il proprio esercito.
Il commento del generale Milley
Di recente il generale americano Mark Milley, capo dello Stato maggiore congiunto, ha detto di considerare la Cina come lo sfidante militare “numero uno” degli Stati Uniti. Ha aggiunto che il Paese “ci sta chiaramente sfidando a livello regionale”, nell’Asia-Pacifico, “e la loro aspirazione è di sfidarci a livello globale”. “Hanno un sogno cinese”, ha proseguito, “e vogliono sfidare il cosiddetto ordine liberale basato sulle regole” con un sistema proprio e alternativo.
Le frasi di Milley non contengono novità ma riaffermano l’obiettivo geopolitico primario degli Stati Uniti: contenere la Cina e impedirle di ascendere al ruolo di prima superpotenza mondiale. Il generale tuttavia ha rilasciato alcuni commenti particolarmente interessanti. Ad esempio quando ha affermato che, se l’America non cambierà radicalmente la sua strategia sui missili ipersonici, sarà “dalla parte sbagliata” in caso di conflitto.
La corsa ipersonica e il “momento Sputnik”
Quest’estate la Cina ha effettuato due diversi test di armi ipersoniche, avendo cura di renderli ben visibili agli occhi dei satelliti americani, un po’ come aveva fatto con i silos per il lancio di testate nucleari. Non è chiaro chi, tra Washington e Pechino, sia più avanti in quanto a capacità ipersoniche – alla corsa, peraltro, partecipano anche Mosca e Pyongyang –, anche perché le tecnologie di questo tipo non sono tutte uguali: ci sono i veicoli plananti (glide) ma anche i sistemi air-breathing, più efficienti nei voli ad altissime velocità. I test, di conseguenza, non sono sempre comparabili.
Milley ha detto di credere che, dopo le ultime sperimentazioni ipersoniche cinesi, gli Stati Uniti siano “molto vicini” al “momento Sputnik”, cioè a quell’istante in cui prendono coscienza di essere rimasti indietro nello sviluppo militare e, quindi, in pericolo. Non importa se lo pensi veramente, o se quest’insistenza sulla minaccia cinese abbia altri fini (magari convincere l’opinione pubblica e gli alleati a schierarsi): Milley evoca volutamente un periodo preciso e cruciale della Guerra fredda, quando nel 1957 l’Unione sovietica lanciò il satellite Sputnik e l’America temette di perdere la corsa allo spazio. Alla fine, comunque, gli Stati Uniti vinsero sia quella corsa che la Guerra fredda. Ma la Cina non è l’Urss, e riportare tutto al passato può non essere d’aiuto alla comprensione del presente.
Rivedere le difese
A prescindere dalla sincerità delle parole di Milley, comunque, gli Stati Uniti devono davvero ripensare le proprie difese e adattarle al nuovo contesto ipersonico, così come stanno riorientando la propria politica estera verso l’Asia. Non è possibile escludere che, in futuro, America e Cina entrino in guerra l’una contro l’altra. In questo caso, Pechino potrebbe colpire il territorio statunitense con una testata nucleare, lanciandola in orbita da un veicolo ipersonico e facendola arrivare dall’Antartide: i sistemi di difesa antimissile americani sono infatti rivolti verso ovest e verso nord dell’Oceano Pacifico, lasciando il Paese scoperto in caso di attacchi provenienti da sud.
Difendere Taiwan
Tra le tante cose, mercoledì all’Aspen Security Forum il generale Milley ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero “assolutamente” difendere Taiwan da un attacco della Cina: Pechino considera l’isola una parte del proprio territorio e sostiene di voler giungere alla “riunificazione”; si teme pertanto un’invasione, che però al momento sembra poco probabile. Tale difesa, precisa Milley, dipenderà però dalla volontà politica: ed è una precisazione enorme, perché gli Stati Uniti – nonostante i recenti ammiccamenti del presidente Joe Biden – si sono sempre mantenuti ambigui riguardo a un loro intervento militare dalla parte di Taipei (e contro la Cina).
Il capo di Stato maggiore ha aggiunto che Pechino si sta dotando delle capacità per conquistare Taiwan, ma ritiene che la leadership cinese non agirà in questo senso almeno per i prossimi due anni.
Secondo le previsioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la Cina potrebbe avere mille testate nucleari per il 2030. Gli Usa devono necessariamente ripensare la propria difesa nel nuovo contesto ipersonico