“Se l’attuale modello di finanziamento continua, l’Oms è destinata a fallire”: le parole del direttore generale durante un incontro con i delegati a Ginevra a inizio 2022. La seconda parte dell’inchiesta
La Oms è una agenzia dell’Onu, ma il suo secondo finanziatore è un privato. E l’apporto di Bill Gates alla Organizzazione mondiale della sanità è anche il più stabile, se si pensa al modo in cui la decisione di Trump di ritirarsi, seppure poi annullata da Biden, è bastata comunque a portare gli Stati Uniti dal primo al terzo posto.
I finanziatori
Stando dunque agli ultimissimi dati resi noti, in questo momento è la Germania prima, con il 17,13% del bilancio. Seguono la Bill & Melinda Gates Foundation, con il 9,49%; gli Stati Uniti, con il 7,15%; la Commissione europea, con il 6,64%; la GAVI Alliance − “ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati per assicurare l’immunizzazione per tutti” − lanciata nel 2000 per risolvere il problema della sempre minor distribuzione di vaccini ai bambini nelle parti più povere del mondo, con il 6,43%; il Regno Unito con il 5,99%; la Banca mondiale con il 2,54%; il Rotary International con il 2,43%; l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Unocha) con il 2,25%; il Central Emergency Response Fund dell’Onu con il 2,12%; la Norvegia con il 2,08%. Pertanto, solo quattro Paesi contribuiscono per più del 2%. Alcuni di questi apporti vanno peraltro un po’ rivalutati, considerando ad esempio che la Germania è anche il primo contributore alla Commissione europea. E anche per quanto riguarda la Bill & Melinda Gates Foundation va ricordato che, grazie al suo impegno di 750 milioni di dollari, GAVI Alliance partì.
Sotto un 1,94% di donazioni “miscellanee” e sopra all’1% abbiamo poi l’1,93% del Giappone, primo Paese asiatico; l’1,79% del Canada; l’1,74% del Kuwait e l’1,53% dell’Arabia Saudita, primi Paesi del Medio Oriente petrolifero ma non primi Paesi petroliferi in assoluto, visto il ruolo della Norvegia. Un 1,38% è poi rappresentato dal quel COVID-19 Solidarity Response Fund lanciato il 13 marzo 2020 dalla United Nations Foundation e dalla Swiss Philanthropy Foundation per affrontare la pandemia, e a cui hanno contribuito anche Facebook, H&M e Google. L’1,36% proviene dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp). L’1,17% giunge un po’ a sorpresa dal Pakistan, primo Paese “povero” della lista, ma anche un tradizionale destinatario e beneficiario delle politiche della Oms. L’1,08% è finanziato dal Programma alimentare mondiale (Wfp) e l’1% dalla Francia.
Sotto all’1% si posizionano la Corea del Sud con lo 0,88%, l’Iran con lo 0,79%, il Contingency Fund for Emergencies della stessa Oms con lo 0.77% alla pari con la Svezia; seguono gli Emirati Arabi Uniti con lo 0,74%, e con lo 0,73% quel National Philanthropic Trust che è un ente Usa pubblico, ma indipendente. Appena allo 0,69% si colloca la Cina, le cui capacità di influenzare le scelte politiche dell’Oms e di investire in altri campi per proprio tornaconto sembrano molto maggiori rispetto alla propria generosità verso la sanità mondiale. Anche dopo averla gravemente scombussolata per aver contagiato il pianeta con una pandemia provocata anche da alcune scelte politiche quanto meno discutibili.
L’India contribuisce con lo 0.66%, l’Australia con lo 0.56%; l’iniziativa sanitaria globale UNITAID con lo 0.54%; segue la Russia con lo 0.52%, i Paesi Bassi con lo 0.5%, e l’Unicef con lo 0.49% insieme al Pandemic Influenza Preparedness (PIP) Framework, prima di arrivare allo 0,46% dell’Italia che precede Pre-Qualification Fees (0.42%), African Development Bank Group (0.42%). Seguono la Svizzera (0.38%), Bloomberg Family Foundation (0.37%), United Nations Office for Project Services (0.34%), United Nations Population Fund (0.32%), il Lussemburgo (0.32%), lo Yemen (0.3%), Vital Strategies (0.28%), la Danimarca (0.25%). Contribuiscono Joint United Nations Programmeon HIV/AIDS (0.24%), l’Irlanda e il Libano (0.22% a testa), la Nigeria (0.21%), Sanofi-Aventis (0.17%), la Spagna (0.17%).
Seguono ancora la Repubblica Democratica del Congo, l’Azerbaijan e l’Afghanistan (alla pari con lo 0.15%); Carter Center e il Bangladesh (0.14%); l’Ucraina, East African Community, Southern African Development Community Secretariat, Kobe Group e la Somalia (0.13%); partecipano tra gli altri la Nuova Zelanda, Wellcome Trust, il Belgio, St.Jude Children’s ResearchHospital (0.12%); il Gabon e United Nations Environment Programme (0.1%). Sotto lo 0,1% stanno altri 128 soggetti, tra cui merita forse di essere segnalato lo 0,02% del Qatar, altro Paese petrolifero e gassifero, spesso munifico in altri contesti, ma che in questo si rivela sorprendentemente avaro, specie in confronto al Kuwait, all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.
Leggi la prima parte dell’inchiesta.
Le liste di nomi seguite da numeri in genere sono aride, ma in questo caso particolare crediamo possano essere interessanti. I 6,121 miliardi di dollari del bilancio approvato per il 2022-23 possono ad esempio essere confrontati ai 5,6 del 2019, ultimo anno prima del Covid. Allora erano primi contributori gli Usa con 893 milioni: un 15,94%, il doppio dell’apporto attuale. Al secondo posto c’era sempre la Fondazione Bill & Melinda Gates, con 600 milioni che rappresentavano un 9,8%, più o meno in linea con l’ultimo dato. Insomma, il fondatore di Microsoft contribuisce stabilmente a circa un decimo del budget della Organizzazione. Seguiva il Regno Unito con 400 milioni: un 6,5%, lievemente al di sopra dell’attuale. Poi la Gavi Alliance con 370 milioni: un 6% lievemente al di sotto. E la Germania con 300 milioni: un 4,9% ora più che triplicato. Con 85,8 milioni la Cina contribuiva per l’1,4%: era relativamente poco rispetto alle sue pretese, ma ora è addirittura dimezzata. Già da allora i 4,3 miliardi arrivati in forma volontaria, in gran parte da privati e legati a progetti specifici, rappresentavano l’80% del totale. Cioè, alla vigilia della pandemia la Oms poteva gestire in piena autonomia solo un quinto dei fondi a sua disposizione. E nel 2018, l’80% dei fondi volontari andavano ad appena il 10% dei programmi dell’Organizzazione.
È esattamente il contrario rispetto al 1970, quando il bilancio dell’Organizzazione era per un 80% proveniente dagli Stati membri e solo per il 20% da donatori privati. E con il Covid e la minaccia di ritiro di Trump, il ruolo di Gates è diventato sempre più strategico, se si pensa che nel gennaio 2020 fu lui a offrire la prima elargizione di emergenza con 5 milioni di dollari alla Cina e altri 5 milioni all’Africa. Ovvio che ciò abbia suscitato sospetti di ogni tipo: complottismo galoppante sui social a proposito di un supposto piano del magnate per “resettare” la popolazione mondiale di cui sarebbe stato strumento lo stesso Covid; ci sono state anche interrogazioni al Parlamento europeo sul punto.
Questo è ad esempio il testo di quella presentata dalla eurodeputata leghista Stefania Zambelli. “Oggetto: Finanziamenti privati all’Oms. L’Oms ha un ruolo centrale nella pianificazione delle strategie vaccinali anche in Europa e ha dettato le linee guida per il riconoscimento dei danni da vaccinazione che anche qui si sono verificati. Ciò detto, da qualche anno, l’Oms vede tra i suoi maggiori finanziatori non gli Stati membri bensì enti privati, i cui finanziamenti costituiscono i tre quarti del patrimonio dell’Oms. Tra essi spiccano le principali case farmaceutiche produttrici di vaccini e organizzazioni quali, ad esempio, la Fondazione Gates e GAVI Alliance, che hanno come oggetto sociale la diffusione dei vaccini. Ciò premesso, prescindendo da valutazioni sull’utilità o meno dei vaccini raccomandati o obbligatori e dal rapporto costi-benefici di alcuni di essi, l’interrogante ritiene che avere tra i propri finanziatori soggetti privati in evidente conflitto di interesse vada a minare la terzietà della stessa Oms e ne metta in discussione l’autorevolezza. Ciò considerato, può la Commissione rispondere al seguente quesito: quali iniziative intende eventualmente prendere l’Europa per risolvere questo conflitto di interessi e consentire all’Oms di sostituire i finanziamenti, diretti o indiretti, da parte di soggetti collegati o comunque riconducibili ai produttori di vaccini, garantendole, nell’adozione delle necessarie decisioni, anche in materia vaccinale, quel ruolo super partes che attualmente non ha?”.
Forse la crescita del ruolo della Commissione europea e della Germania come finanziatori può essere considerata anche una risposta implicita, per comportamento concreto. In particolare, il contributo della Commissione europea finanzia, per il 68% del totale, il programma che mira a rafforzare la leadership, il coordinamento e il supporto operativo e ad aumentare l’accesso ai servizi sanitari e nutrizionali essenziali nelle situazioni di emergenza sanitaria. Un finanziamento che si è concentrato in particolar modo nell’area est del Mediterraneo, e in particolare su Libano (32%), Sudan (15%), Afghanistan (14%), Giordania (9%) e Iraq (6%). La donazione della Commissione Europea si espande anche in altre 15 aree di intervento, che vanno dalla prevenzione delle epidemie e pandemie (11%), all’eradicazione della poliomielite (4,5%), dalla preparazione dei Paesi per affrontare le emergenze sanitarie alla promozione di politiche sanitarie.
Anche molti Governi sono inquieti all’idea che Bill Gates possa utilizzare la sua munificenza per farsi attribuire poteri decisionali equivalenti a quelli di un capo di Stato: salvo poi la riluttanza e spesso l’impossibilità di dare di più loro stessi. Da una parte, dunque, Gates è stato il primo privato a partecipare all’assemblea generale dei paesi membri dell’Oms. Ma peraltro i rappresentanti della sua Fondazione riconoscono che una tale situazione rappresenti “una grave vulnerabilità”. Dall’altra, fra gli anni ’80 e ’90 diversi Paesi hanno interrotto più volte il regolare pagamento delle quote obbligatorie, che dovrebbero essere in proporzione al Pil. Così, in certe annate l’Oms è riuscita a mettere assieme solo il 70% dei finanziamenti previsti. D’altra parte, i Paesi che abbiamo visto nella zona alta della classifica lo sono grazie al fatto che hanno deciso di offrire di più rispetto a quanto dovrebbero. Dal 2000 le entrate dell’Oms sono comunque sì raddoppiate, ma solo grazie alla crescita esponenziale dei fondi volontari.
Il taglio dei fondi Usa era stato annunciato da Trump nell’aprile del 2020 per poi rendere effettiva la scelta il 6 luglio del 2021. Motivo: le critiche dell’Oms al bando imposto da Trump all’ingresso negli Usa di viaggiatori dalla Cina, critiche alle quali il Presidente aveva reagito accusando l’Organizzazione di essere “troppo filo-cinese” e di aver gestito la pandemia in modo disastroso. Ma anche i media anti-Trump avevano condiviso una certa antipatia per l’Oms, deplorando sia il mese di ritardo con cui aveva dichiarato la pandemia; sia il modo in cui il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus si era recato a Pechino ad omaggiare Xi Jinping, tacendo sui silenzi e le censure iniziali con cui il governo cinese nascose al mondo l’epidemia.
Joe Biden aveva promesso in campagna elettorale di tornare nella Oms ed effettivamente una volta insediato ha revocato il ritiro deciso da Trump pur non nascondendo di avere lui stesso qualche perplessità. “Gli Stati Uniti cercano di capire meglio gli attuali meccanismi di finanziamento, le efficienze e il processo decisionale prima di considerare un aumento dei contributi valutati”, ha detto all’agenzia di stampa Mara Burr, funzionario sanitario statunitense. A sua volta Tedros Adhanom Ghebreyesus ha iniziato il 2022 denunciando un rischio di fallimento, se gli Stati membri e i donatori non acconsentissero a una proposta di aumento dei finanziamenti che dia all’organismo sanitario internazionale maggiore autonomia per combattere possibili e future pandemie. “Se l’attuale modello di finanziamento continua, l’Oms è destinata a fallire”, sono state le testuali parole del direttore generale durante un incontro con i delegati a Ginevra. E ha chiesto agli Stati membri e ai donatori, ulteriori 480 milioni di dollari per il prossimo periodo di bilancio, ovvero più di 420 milioni di euro per i prossimi due anni, più 430 milioni di dollari per un programma di emergenza destinato a coordinare la risposta globale al Covid-19.
Come si ricordava nella prima parte dell’inchiesta, pubblicata nel numero scorso, poco prima di candidare Tedros per la riconferma, il primo settembre 2021 la Germania lo aveva invitato a Berlino perchè inaugurasse il nuovo WHO Hub for Pandemic and Epidemic Intelligence. Una cerimonia dove a tagliare il nastro con lui era presente anche la Cancelliera Angela Merkel a fine mandato, ma quasi con l’intenzione di lasciare questa istituzione come sua eredità. Tutto è stato letto da vari osservatori come una sorta di Opa su una Oms che per rilanciarsi avrebbe bisogno di uscire dai giochi di influenza che ne hanno travagliato gli ultimi anni, offrendo in cambio nuovi finanziamenti, l’immagine teutonica di efficienza e anche il potenziale economico e scientifico tedesco. Il fatto che la Germania sia diventata nel contempo il primo finanziatore spiega abbastanza questa mossa.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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La Oms è una agenzia dell’Onu, ma il suo secondo finanziatore è un privato. E l’apporto di Bill Gates alla Organizzazione mondiale della sanità è anche il più stabile, se si pensa al modo in cui la decisione di Trump di ritirarsi, seppure poi annullata da Biden, è bastata comunque a portare gli Stati Uniti dal primo al terzo posto.
Stando dunque agli ultimissimi dati resi noti, in questo momento è la Germania prima, con il 17,13% del bilancio. Seguono la Bill & Melinda Gates Foundation, con il 9,49%; gli Stati Uniti, con il 7,15%; la Commissione europea, con il 6,64%; la GAVI Alliance − “ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati per assicurare l’immunizzazione per tutti” − lanciata nel 2000 per risolvere il problema della sempre minor distribuzione di vaccini ai bambini nelle parti più povere del mondo, con il 6,43%; il Regno Unito con il 5,99%; la Banca mondiale con il 2,54%; il Rotary International con il 2,43%; l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Unocha) con il 2,25%; il Central Emergency Response Fund dell’Onu con il 2,12%; la Norvegia con il 2,08%. Pertanto, solo quattro Paesi contribuiscono per più del 2%. Alcuni di questi apporti vanno peraltro un po’ rivalutati, considerando ad esempio che la Germania è anche il primo contributore alla Commissione europea. E anche per quanto riguarda la Bill & Melinda Gates Foundation va ricordato che, grazie al suo impegno di 750 milioni di dollari, GAVI Alliance partì.