Il nuovo esecutivo ha visto finalmente la luce. Alla guida c’è ancora “Teflon Mark”, che stavolta rompe con il tabù dell’austerità, prevede investimenti pubblici e apre alla riforma del Patto di stabilità
In Europa i falchi non volano più (o quasi). C’è un inedito clima nel continente dopo che questa settimana il premier olandese Mark Rutte si è presentato in Parlamento per illustrare il programma di Governo messo a punto al termine di nove mesi di trattative di coalizione fatte di alti e bassi, stop e accelerazioni. Gli alleati, come avevamo raccontato su eastwest, sono gli stessi dello scorso esecutivo (liberali conservatori di Vvd e liberali progressisti di D66, insieme alle due formazioni minori di cristiano-democratici, Cda e Cu), ma la discontinuità rispetto a un passato fatto di austerità non è mai stata così marcata. E, in qualche modo, c’entra l’avvento della coalizione Semaforo in Germania.
Insomma, il quarto esecutivo Rutte diventa parecchio più progressista sulla spesa pubblica e rompe con la precedente etichetta di capofila dei frugali sul dossier forse più simbolico per misurare la temperatura del conflitto fra Nord e Sud Europa sui conti dello Stato: la riforma del Patto di stabilità e crescita, la disciplina di bilancio Ue che adesso non è più vista come un tabù da parte de L’Aia.
Il cambio di rotta degli olandesi è anzitutto una questione di politica interna: nel programma, largamente influenzato da D66 (arrivato secondo nelle urne, ma con una netta crescita nei consensi), per la prima volta si prevedono imponenti investimenti statali che rompono con la tradizione dell’austerità: più stanziamenti per scuola, difesa, edilizia sociale, clima vogliono anche dire che nei prossimi anni i Paesi Bassi supereranno il tetto – previsto nel Patto – del 60% del rapporto debito/Pil, calcola il Financial Times.
Di colpo, insomma, gli olandesi si trovano non più spettatori, ma parte attiva dello sforzo collettivo europeo (guidato da Italia, Francia e Spagna) per modernizzare la disciplina Ue sui conti pubblici. E in fondo finiscono persino a serrare i ranghi di una comunità di falchi convertiti, tra cui pure i tecnici del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che nelle scorse settimane hanno invocato un superamento della regola del 60% visto che il debito pubblico nella zona euro durante la pandemia si è attestato attorno alla soglia record del 100%.
È proprio sull’agenda europea che si potrà misura l’impatto del nuovo corso olandese: nel 2022 le istituzioni Ue sono chiamate a rivedere la governance economica dell’Unione, compreso il Patto, in modo da arrivare al 1° gennaio 2023 – quando la disciplina di bilancio tornerà operativa dopo quasi tre anni di sospensione causa pandemia – già con regole modificate. Sul punto, il programma del nuovo esecutivo è morbido, anche se non troppo dettagliato: sì alla modernizzazione delle regole fiscali, purché serva alla sostenibilità di bilancio e alla convergenza economica. Insomma, il mantra adottato dal commissario europeo agli Affari economici in questi mesi (“riduzione del debito e investimenti per la crescita”) potrebbe adesso radicarsi pure nei Paesi Bassi.
“Siamo la quinta economia del continente, abbiamo la responsabilità di un ruolo più propositivo di quello che abbiamo avuto negli ultimi tempi”, commenta da L’Aia un portavoce di D66. E siccome la politica è fatta anche dalle persone, ai progressisti andrà con buone probabilità il Ministero delle Finanze, chiudendo così la gestione del super-rigorista Wopke Hoekstra, negli ultimi quattro anni bestia nera per i Paesi ad alto debito del Sud Europa. Tra le altre priorità della politica europea del Governo, pure una riscoperta del ruolo di Paese fondatore dell’Ue attraverso l’avanzamento dell’integrazione europea, in particolare con l’addio all’unanimità in materia di politica estera, ma anche maggiore attenzione ai temi dei diritti fondamentali e delle violazioni dello stato di diritto.
L’Aia, però, non è da sola nel nuovo orizzonte. La rottura con il passato arriva subito dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, con Rutte diventato – insieme alla sua nemesi ungherese Viktor Orbán (che è però attesa da complicate elezioni in primavera) il leader più longevo d’Europa. E in effetti, potrebbe esserci anche lo zampino ideale del nuovo corso a Berlino dietro il cambio di passo (Rutte è stato tra i primi leader Ue che il neo-cancelliere Olaf Scholz ha sentito al telefono dopo l’insediamento). D66 non ne fa mistero: “Con questo accordo, il Governo olandese sarà ampiamente allineato alla coalizione Semaforo in Germania”. Pure fra i tedeschi, in effetti, c’è chi ha allentato la precedente linea del rigore a tutti i costi. Christian Lindner, il leader dei liberali che nel nuovo esecutivo presidierà le Finanze, nelle prime uscite s’è parzialmente lasciato alle spalle la vecchia linea rigorista, sposando invece la formulazione contenuta nell’accordo di coalizione con socialdemocratici e verdi, che parla di “garantire la crescita, la sostenibilità del debito e investimenti sostenibili ed ecologici”.
In Europa i falchi non volano più (o quasi). C’è un inedito clima nel continente dopo che questa settimana il premier olandese Mark Rutte si è presentato in Parlamento per illustrare il programma di Governo messo a punto al termine di nove mesi di trattative di coalizione fatte di alti e bassi, stop e accelerazioni. Gli alleati, come avevamo raccontato su eastwest, sono gli stessi dello scorso esecutivo (liberali conservatori di Vvd e liberali progressisti di D66, insieme alle due formazioni minori di cristiano-democratici, Cda e Cu), ma la discontinuità rispetto a un passato fatto di austerità non è mai stata così marcata. E, in qualche modo, c’entra l’avvento della coalizione Semaforo in Germania.
Insomma, il quarto esecutivo Rutte diventa parecchio più progressista sulla spesa pubblica e rompe con la precedente etichetta di capofila dei frugali sul dossier forse più simbolico per misurare la temperatura del conflitto fra Nord e Sud Europa sui conti dello Stato: la riforma del Patto di stabilità e crescita, la disciplina di bilancio Ue che adesso non è più vista come un tabù da parte de L’Aia.