L’8 febbraio i seggi elettorali saranno aperti. Il grande favorito è Nawaz Sharif, ex premier. È il candidato della Lega Musulmana del Pakistan e potrebbe godere dell’appoggio di vari partiti integralisti islamici
Dopo il Bangladesh e prima dell’India, tocca al Pakistan. Giovedì 8 febbraio il Paese dell’Asia meridionale va alle urne per le elezioni generali, in un anno record a livello di urne sul fronte globale. Le autorità hanno confermato il voto, nonostante il clima sia tutt’altro che idilliaco. Il Pakistan sta infatti affrontando due diverse insurrezioni armate: una nel nord-ovest del Khyber-Pakhtunkhwa da parte di gruppi islamisti e una nel sud-ovest da parte di gruppi etno-nazionalisti Baloch.
Un candidato indipendente all’assemblea nazionale, Rehan Zaib Khan, è stato ucciso mercoledì 31 gennaio nel Khyber-Pakhtunkhwa. Lo stesso giorno, un altro politico è stato ammazzato a colpi di pistola nell’ufficio elettorale del suo partito in Balochistan. Martedì 30 gennaio, un attentato dinamitardo dopo un comizio elettorale ha ucciso quattro persone in Balochistan. L’attacco è stato rivendicato dall’Isis.
Le elezioni si sarebbero dovute tenere a novembre dopo lo scioglimento del Parlamento ad agosto, ma sono state rinviate a febbraio a causa di un censimento. A gennaio, i membri del Senato pakistano hanno chiesto ulteriori ritardi per motivi di sicurezza, con un pensiero ai possibili (o forse probabili) disordini per l’assenza dalla campagna elettorale dell’ex premier Imran Khan, ancora molto popolare nel Paese. Non a caso domenica 28 gennaio ci sono stati duri scontri tra la polizia e i sostenitori del Movimento per la Giustizia del Pakistan (PTI), il partito di Khan. In quell’occasione ci sono stati almeno 25 arresti. Tra le persone finite in manette c‘è anche il segretario generale del partito nel Sindh, Ali Pal.
La Commissione elettorale e il ministero dell’Interno hanno però deciso di andare avanti. Il tutto proprio mentre a Khan veniva inflitta una serie incredibile di condanne. Martedì 30 gennaio è stato condannato a 10 anni per aver diffuso segreti di stato, mentre il giorno successivo è stato condannato a ulteriori 14 anni per corruzione. Contestualmente, gli è stato vietato di detenere incarichi pubblici (e dunque di candidarsi) fino al 2034. Si tratta di condanne di primo grado, ma tanto basta per tenere lontano Khan dalle urne. Anche lo stesso PTI non potrà presentarsi alle elezioni coi suoi simboli e i suoi candidati dovranno correre da indipendenti. Khan e i suoi sostenitori sono convinti che le motivazioni dei vari provvedimenti siano politiche.
D’altronde Khan, ex campione di cricket, è convinto di aver perso il posto a causa di un complotto internazionale. Da qui nasce la sua condanna per diffusione di segreti di stato. Secondo la sentenza, Khan sarebbe colpevole di aver reso pubblico, “nonché di aver maneggiato, abusato e manomesso” un cablogramma segreto inviato dall’ambasciatore del Pakistan a Washington al governo di Islamabad. Khan ha affermato a più riprese che quel cablogramma era la prova di una cospirazione da parte dell’esercito e del governo statunitense per rovesciare il suo governo nel 2022, dopo la sua visita a Mosca poco prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Washington e l’esercito pakistano negano questa ipotesi, ma i sostenitori di Khan ne sono convinti.
Come se non bastasse, sabato 3 febbraio è arrivata un’altra sentenza contro l’ex premier. Lui e la moglie Bushra sono stati condannati a sette anni di carcere e a una multa da un tribunale che ha stabilito che il loro matrimonio del 2018 ha violato la legge. Bushra è stata accusata di non aver completato il periodo di attesa previsto dall’Islam, chiamato “Iddat”, dopo aver divorziato dal precedente marito e aver sposato Khan. La coppia ha firmato il contratto di matrimonio, o “Nikkah”, nel gennaio 2018 in una cerimonia segreta, sette mesi prima che Khan diventasse primo ministro per la prima volta. Lui nega qualsiasi accusa e la sua difesa parla di un altro caso “fasullo” messo in piedi senza “testimoni né prove”.
Fatto sta che l’8 febbraio i seggi elettorali saranno aperti. Il grande favorito è Nawaz Sharif, a sua volta ex premier. È il candidato della Lega Musulmana del Pakistan e potrebbe godere dell’appoggio di vari partiti integralisti islamici. Sharif ha smussato i problemi avuti in passato con l’esercito, che mantiene una presa molto stretta sulla vita politica del Pakistan. Tanto che oggi le forze armate sembrano sostenerlo. Non sembrano esserci avversari in grado di impensierire fino in fondo Sharif, che fronteggia una schiera di indipendenti ma può approfittare dell’assenza di Khan, il cui partito è ora guidato dall’avvocato Gohar Ali Khan.
I pachistani vanno alle urne con una serie di problemi, tra cui ai primi posti ci sono senz’altro l’inflazione e la moneta debole, mentre Islamabad prova a barcamenarsi nel piano di salvataggio da tre miliardi del Fondo monetario internazionale. L’esito delle urne, seppur appaia scontato a livello generale, è da seguire anche sulle dinamiche locali. A partire dal Baluchistan, zona di interesse chiave anche per la Cina.