Il piano infrastrutturale prevede 550 miliardi di investimenti pubblici. Un successo per Biden, ma è un progetto meno ambizioso di quello presentato al suo arrivo alla Casa Bianca e tocca in maniera solo marginale il cambiamento climatico
Una settimana cominciata male – ma finita in modo migliore delle precedenti – per Joe Biden e la sua amministrazione. Dopo mesi di trattative e braccio di ferro tra moderati e radicali del Partito democratico, la prima misura importante riesce a passare l’ostacolo del Congresso.
Il piano infrastrutturale
Il pacchetto prevede 550 miliardi di investimenti pubblici in infrastrutture, metà per i trasporti e l’altra metà per misure che riguardano acquedotti, banda larga e adeguamento al cambiamento climatico. Tra qualche anno gli americani avranno più ferrovie e trasporti locali, acqua meno contaminata, la banda larga un po’ ovunque. Sono cose importanti.
L’altro dato positivo è quello relativo all’occupazione, che nel mese di ottobre ha aggiunto più posti del previsto e segnala dunque che la lentezza della ripresa non sta danneggiando oltre misura il mercato del lavoro. Come per molti cittadini d’Occidente, il 2020 è stato un anno di risparmi per gli americani che quindi oggi spendono con più facilità e questo rende dinamico il mercato nonostante una pandemia che non ci lascia e gli imbuti nella filiera produttiva.
Certo, la stessa settimana, come si diceva, era cominciata con la sconfitta per il candidato democratico a governatore della Virginia, Terry McAuliffe, e risultati elettorali pessimi in tutte le poche votazioni locali tenutesi in giro per gli Stati Uniti.
La legge approvata dal Congresso è importante e produrrà occupazione tra l’altro in settori come l’edilizia non toccati dalla ripresa. Non solo, i predecessori di Biden, sia Obama che Trump, avevano promesso infrastrutture, uno provandoci e vedendo ogni tentativo respinto dai repubblicani, l’altro facendo annunci senza seguito (a Washington circolavano molte barzellette sulla “settimana delle infrastrutture” annunciata molte volte e mai giunta).
Clima e welfare
Per il Presidente in carica, quindi si tratta di un successo. Ma resta comunque infinitamente più piccola del pacchetto ambizioso proposto da Biden al suo arrivo alla Casa Bianca e tocca in maniera marginale la questione del cambiamento climatico, che pure era una delle cause che rendevano urgente il pacchetto Biden. Nella legge si stanziano risorse per affrontare la siccità, le inondazioni, il controllo del territorio per impedire degli incendi devastanti come quelli che divampano da tre anni a questa parte in California, l’erosione delle coste; ma manca un piano per cambiare l’economia, renderla meno inquinante.
Non bastano i miliardi per le colonnine elettriche per le auto a batteria: dalla Casa Bianca promettono regole e altri interventi amministrativi che contribuiranno a ridurre di poco l’impronta ecologica degli Stati Uniti, ma se e quando arriveranno, si tratterà appunto di atti amministrativi che un Presidente repubblicano potrà annullare con un tratto di penna.
Ci sono altri ma. Il primo riguarda il modo in cui si è giunti al voto della Camera, che pure è stato un capolavoro da parte della Speaker Nancy Pelosi. L’ala progressista del partito aveva promesso di non votare il pacchetto infrastrutture ridimensionato se questo non fosse giunto al voto assieme a quello sul welfare, un disegno di legge altrettanto ambizioso e complesso che i senatori democratici Manchin e Sinema bloccano da settimane.
Pelosi ha mostrato i muscoli e i sorrisi, negoziato e minacciato proprio come quando trovò i voti necessari a far approvare la riforma sanitaria di Obama. E i progressisti si sono dimostrati più ragionevoli dei moderati, decidendo di votare la legge nonostante fosse ridimensionata rispetto alle loro aspettative e non fosse accoppiata al testo sul welfare. La campana della Virginia suonava per tutti e prima di rischiare di divenire capro espiatorio dei moderati, Alexandria Ocasio-Cortez e compagnia hanno scelto di votare prendendosi il rischio che Sinema, Manchin e i moderati della Camera blocchino per sempre “l’infrastruttura sociale”, che a differenza di quella materiale punta ad aiutare i poveri e concedere diritti e tutele ai lavoratori e non investe soldi che verranno distribuiti alle imprese. Non a caso, ci sono anche 13 voti repubblicani tra quelli che hanno approvato il pacchetto infrastrutture: le risorse per fare cose nel proprio Stato sono sempre le benvenute e si può chiudere un occhio sul deficit che producono.
Verso le elezioni di midterm
L’ala sinistra democratica si è resa conto che l’amministrazione doveva produrre dei risultati o rischiava davvero un bagno di sangue alle elezioni di midterm che si svolgeranno tra un anno. Ma se l’infrastruttura sociale non passerà, possiamo aspettarci una rivolta furibonda e sfide alle primarie ovunque l’eletto sia un moderato contrario all’agenda Biden.
A metà novembre avremo un quadro reale della situazione perché i moderati hanno rallentato il passaggio del piano sociale in attesa dei calcoli delle autorità istituzionali ma neutrali che ne valuteranno l’impatto sul deficit. A quel punto sapremo cosa e come arriverà al voto del Congresso.
Perché è molto importante? Perché Biden e i democratici promettono riforme, perché le misure di welfare impatterebbero molto su donne e minoranze che sono le colonne della base di consenso democratica e perché le minoranze sono già scottate dall’assenza di misure per garantire meglio la libertà di voto in America (i Dem hanno presentato due leggi, i repubblicani ne hanno impedito il passaggio). Per Biden e i democratici, insomma, la strada è in salita, ma l’aver approvato almeno questo pacchetto infrastrutture che produrrà effetti tangibili in tempi relativamente brevi, potrebbe essere il primo passo per uscire dalla buca dove si sono cacciati.
Il piano infrastrutturale prevede 550 miliardi di investimenti pubblici. Un successo per Biden, ma è un progetto meno ambizioso di quello presentato al suo arrivo alla Casa Bianca e tocca in maniera solo marginale il cambiamento climatico
Una settimana cominciata male – ma finita in modo migliore delle precedenti – per Joe Biden e la sua amministrazione. Dopo mesi di trattative e braccio di ferro tra moderati e radicali del Partito democratico, la prima misura importante riesce a passare l’ostacolo del Congresso.