L’amministrazione Biden presenta l’ipotesi di un nuovo approccio, più graduale, al nucleare nordcoreano. Cruciale sarà il ruolo della Cina
I dossier non vengono mai soli e spesso sono sempre gli stessi. Uno che torna sulla scrivania dei Presidenti Usa e che dovrebbe preoccupare tutti noi è quello del nucleare nordcoreano. In questi giorni l’amministrazione Biden ha reso noto di aver completato la revisione delle informazioni in possesso e che si presenta con una nuova ipotesi di approccio. Non quello di Trump e neppure quello di Obama, ma qualcosa tra queste due ipotesi di lavoro diplomatico.
Il Presidente repubblicano sottolineava l’importanza dei rapporti personali, detestava i particolari – che in questi casi sono tutto – e sposava l’idea “Go big or go home” di John Bolton, ovvero ottenere tutto quel che si voleva in un unico grande accordo: rimozione di tutte le sanzioni in una volta sola in cambio della competa e totale de-nuclearizzazione, di uno smantellamento del programma nucleare di Pyongyang. La versione Obama era quasi l’opposto: mano tesa e pronti a trattare ma dopo che il regime nordcoreano l’avesse smessa con i lanci e i test di missili verso il Mar del Giappone. In un caso non funzionò nonostante quella che Trump definì una chimica perfetta tra il leader nordcoreano e se stesso, niente grande accordo ma una sospensione dei test nucleari e di missili balistici intercontinentali. Nel caso di Obama furono alti e bassi continui in termini di “clima”, ma mai una svolta.
Tra 2020 e 2021 Pyongyang ha ripreso i test e mostrato al mondo il Hwasong-15, un missile intercontinentale che in teoria sarebbe capace di trasportare testate nucleari fino agli Stati Uniti e un nuovo missile lanciato da un sottomarino presentato come “la più potente arma al mondo”. A marzo, poi, è stata la volta del lancio di due missili nel Mar del Giappone che il premier nipponico Suga ha definito “una minaccia alla pace del Giappone e di tutta la regione e un atto contrario alle risoluzioni Onu”. Altri test erano stati fatti nei giorni del viaggio del Segretario di Stato Blinken in Asia.
La nuova politica
In questo contesto nasce la nuova politica che, come ha spiegato la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, “non si concentrerà sul raggiungimento di un grande accordo, né si baserà sulla pazienza strategica”. La scelta, che segue la revisione di mesi, è stata presentata al Presidente dal Segretario di Stato Blinken e quello alla Difesa Austin, nonché dal consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan e dal capo di Stato maggiore Milley.
Alla Casa Bianca hanno chiaro che qualsiasi cosa dicano o facciano, le provocazioni di Pyongyang non si arresteranno. Per certi aspetti l’uso dei test è una delle armi in possesso del regime di Kim al tavolo delle trattative. L’idea è quindi quella di un approccio graduale che scambia un parziale sollievo dalle sanzioni con una parziale de-nuclearizzazione fino allo smantellamento completo del programma. Funzionari coinvolti nella stesura della policy che hanno parlato in forma anonima con diversi media statunitensi spiegano che gli scambi proposti saranno mirati e puntuali.
Gli Stati Uniti hanno riaperto diversi canali con Pyongyang, che nel frattempo, appunto, ha testato missili e reagito alle parole pronunciate da Biden davanti al Congresso (“Iran e Corea sono una minaccia”) per bocca di Kwon Jong Gun, capo del dipartimento Usa al Ministero degli Esteri, che ha detto che Biden ha preso “una cantonata” e che gli americani subiranno le conseguenze della loro politica ostile.
La verità è che il regime di Pyongyang è così in difficoltà che in un discorso recente Kim ha addirittura evocato la carestia degli anni 90, quando morirono di fame (almeno) centinaia di migliaia di persone: le sanzioni sono un problema e il coronavirus ha congelato il commercio con la Cina, unico vero partner commerciale che rappresenta il 90% del commercio estero nordcoreano.
Il ruolo della Cina
E proprio la Cina, naturalmente, è un attore cruciale in questa vicenda. Pyongyang è un alleato utile e naturale e tiene lontano dai confini i poco meno di 30mila soldati Usa ancora presenti in Corea del Sud. Al contempo, una normalizzazione delle relazioni o qualcosa che ci somigli potrebbe tornare utile a Pechino, anche per guadagnare status internazionale.
Il 12 aprile Pechino ha nominato il suo Rappresentante speciale per la Penisola coreana. Si tratta di Liu Xiaoming, diplomatico di lungo corso, a Pyongyang negli anni dei primi test nucleari e poi 11 anni a Londra. Il posto era vacante da due anni, ma è evidente che Pechino, conscia che presto sarebbe arrivato un nuovo Presidente e un nuovo approccio, ha bisogno di una figura esperta. Gli Stati Uniti sperano molto che la Cina giochi un ruolo e il Segretario Blinken lo ha detto esplicitamente. I canali sono aperti, ma nessuno può dire se, dopo quattro Presidenti Usa rimasti con un pugno di mosche, stavolta si faranno passi avanti.
L’amministrazione Biden presenta l’ipotesi di un nuovo approccio, più graduale, al nucleare nordcoreano. Cruciale sarà il ruolo della Cina
I dossier non vengono mai soli e spesso sono sempre gli stessi. Uno che torna sulla scrivania dei Presidenti Usa e che dovrebbe preoccupare tutti noi è quello del nucleare nordcoreano. In questi giorni l’amministrazione Biden ha reso noto di aver completato la revisione delle informazioni in possesso e che si presenta con una nuova ipotesi di approccio. Non quello di Trump e neppure quello di Obama, ma qualcosa tra queste due ipotesi di lavoro diplomatico.
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