Frammentata in cinque principali candidati, la gauche francese a fine febbraio raccoglieva a malapena il 25%. Un elettorato che servirà però a Macron per vincere al secondo turno
“Ne destra, né sinistra”. Quello che nel 2017 era diventato quasi un mantra per l’allora candidato Emmanuel Macron, oggi risuona come una musica di altri tempi. In vista delle imminenti elezioni presidenziali del 10 e 24 aprile, in Francia si suona ormai un’altra solfa.
Tre sfumature di destra
Basta dare un’occhiata ai sondaggi per capirne l’orientamento. Mentre stiamo per andare in stampa, Macron non ha ancora ufficializzato la sua candidatura [Macron ha annunciato la candidatura il 3 marzo, dopo l’uscita del numero] sebbene sia dato tra il 23 e il 25%. Dietro segue compatto il gruppo degli inseguitori, con l’ultraconservatore Eric Zemmour, la repubblicana Valérie Pécresse e la leader del Rassemblement National Marine Le Pen, tutti a sgomitare tra il 14 e il 17%. Tre sfumature di una destra in cerca del secondo turno. Così, mentre la sinistra vaga smarrita sotto la soglia del 10%, i principali sfidanti di Macron polarizzano il dibattito su alcuni dossier, come spiega Jean-Yves Camus, co-direttore dell’Osservatorio sulle radicalità politiche alla fondazione Jean Jeaurès di Parigi, esperto di populismi ed estrema destra: “È una situazione paradossale. Si parla solo di identità nazionale e immigrazione nonostante tutti i sondaggi mostrino l’interessamento dei francesi a tematiche sociali ed economiche come quella del potere d’acquisto”. Proprio quest’ultimo punto a fine febbraio veniva considerato come il più importante dal 70% degli elettori secondo un sondaggio Ifop.
L’irruzione di Zemmour nella corsa all’Eliseo ha stravolto uno scenario che sembrava ormai scritto da tempo. Il leader di Reconquete!, famoso per le sue posizioni radicali che in passato gli sono valse alcune condanne per istigazione al razzismo e incitamento all’odio, si è posizionato all’estrema destra dello scacchiere politico nazionale, andando ad occupare il posto una volta detenuto da Marine Le Pen. In questa campagna elettorale, dove in diversi momenti è stato dato al secondo turno contro Macron, l’ex giornalista del Figaro ha continuato a cavalcare i suoi cavalli di battaglia con sparate contro l’Islam, la “lobby Lgbt” e gli immigrati.
Il tutto mentre la candidata del Rassemblement National finalizzava il processo di normalizzazione del vecchio Front National ereditato dal padre Jean-Marie nel 2011. Dopo avergli cambiato il nome e smussato le posizioni identitarie più estreme, Le Pen oggi presenta il suo partito come una forza pronta a governare. Ma Zemmour resta una spina nel suo fianco. L’ex opinionista punta all’elettorato popolare più radicale, quello rimasto orfano dopo la trasformazione del partito. Nell’attesa, ha cominciato a scippare alla rivale alcuni nomi di spicco del Rassemblement National. L’avvocato Gilbert Collard e il portavoce Nicolas Bay sono due degli esponenti più in vista del partito lepenista ad aver fatto il grande passo unendosi all’équipe di Zemmour. Episodi che non dovrebbero avere grandi ripercussioni in termini elettorali, secondo Camus: “Si tratta di politici poco conosciuti dal grande pubblico. Per Marine Le Pen queste defezioni rappresentano più un danno morale che scuote il suo partito all’interno”. Una guerra di nervi, con il chiaro intento di sfinire l’avversaria. “È tutto tempo perso a parlare di lui – continua lo specialista − Le Pen aveva previsto una strategia orientata contro Macron, come se il passaggio al secondo turno fosse cosa fatta, e invece si ritrova a dover fare campagna al primo turno per giustificarsi contro il candidato ultraconservatore”.
Ma Zemmour è riuscito a portare sul suo terreno di caccia anche la repubblicana Valérie Pecrésse. Schiacciata tra la linea liberale di Macron e quella più reazionaria dei candidati sovranisti, la candidata della destra neogollista ha cercato goffamente di emergere evocando durante il suo primo meeting parigino la teoria della “grande sostituzione” cara alla destra più reazionaria e complottista. Un concetto elaborato dal filosofo Renaud Camus, conosciuto per le sue teorie xenofobe e anti-Islam, secondo il quale la popolazione francese si sta facendo rimpiazzare dagli immigrati. Una strizzata d’occhio all’elettorato dell’estrema destra che però ha accecato di rabbia molti all’interno dei Repubblicani, tanto da costringere Pécresse ad aggiustare maldestramente il tiro nei giorni seguenti. “Nel suo partito c’è chi considera gli elettori dell’estrema destra come gente della stessa famiglia politica, magari più arrabbiata, che bisogna far ritornare. Quello di Pécresse è stato un errore di valutazione”, sostiene Camus.
La corsa di Emmanuel Macron
E mentre gli inseguitori continuano la corsa, Macron si mostra occupato a fare il Presidente. Lo rimarrò “fino alla fine”, prometteva a inizio febbraio. Il coinvolgimento diplomatico nella crisi ucraina gli ha permesso di giustificare il ritardo, rafforzando al tempo stesso la sua statura internazionale, ultimamente messa sotto pressione dal ritiro delle truppe francesi in Mali. Il presidente in carica preferisce rimanere distaccato il più possibile dal caos dell’arena elettorale. “Non ha nessun interesse nel candidarsi”, sostiene Camus. “Dopo le proteste dei gilet gialli, una gestione della pandemia del coronavirus particolarmente complicata durante la quale sono stati commessi degli errori e le manifestazioni contro alcune misure del governo, Macron è ancora in testa nei sondaggi. Il tutto, avendo alle spalle una formazione, la République en marche, che dopo cinque anni ancora non è strutturata come un partito politico. È quasi un miracolo”.
L’inquilino dell’Eliseo nel corso del suo mandato si è progressivamente allontanato dalla rotta inizialmente prevista, virando verso una destra di stampo liberale. La soppressione dell’Imposta sulla fortuna (la patrimoniale), la riforma dell’immigrazione, la legge sulla sicurezza globale o la svolta a favore del nucleare sono tutte misure che hanno contribuito a costruire l’immagine di un “Presidente di destra”. Una tendenza dettata più da uno scaltro pragmatismo che da una convinzione ideologica, a cui si è unita una scarsa capacità di comunicazione. Come quando nel 2018 redarguiva un ragazzo disoccupato garantendogli di potergli trovare un lavoro semplicemente attraversando la strada. Un eccesso di sicurezza sfociato in arroganza agli occhi di molti elettori, che adesso vedono il loro presidente con occhi diversi rispetto al 2017.
Tuttavia, nonostante i sondaggi, la conferma all’Eliseo potrebbe non essere così facile, come ricorda il politologo: “Per Macron il principale pericolo al secondo turno potrebbe emergere in caso di sfida contro Le Pen o Zemmour. Gli elettori di sinistra, soprattutto quelli rimasti delusi dopo aver votato l’allora candidato di En Marche nel 2017, potrebbero disertare le urne, per non concedere una vittoria troppo netta al presidente uscente”.
Nelle prossime settimane Macron proverà quindi a riequilibrare la sua immagine, cercando il maggior numero possibile di endorsement dalla sinistra. Frammentata in cinque principali candidati, che vanno dalla socialista Anne Hidalgo all’ambientalista Yannick Jadot, passando per l’ex guardasigilli Christina Taubira e il “tribuno” Jean-Luc Mélenchon, la gauche francese a fine febbraio raccoglieva a malapena il 25%.
La sua posizione di forza gli consentirà di non dover scendere troppo a patti, limitandosi a ricordare nei pochi giorni di campagna che lo separano dal voto le misure più emblematiche agli occhi di quell’elettorato. Tra queste l’apertura della Procreazione medicalmente assistita a tutte le donne o la strategia del “costi quel che costi” applicata durante la pandemia con decine di miliardi di euro sbloccati per frenare i fallimenti. Ma sarà difficile convincere prima del voto. “È una questione di decenza – spiega Camus − Non si può abbandonare la sinistra mentre si trova così in basso nei sondaggi. Ma dopo il primo turno bisognerà arrendersi all’evidenza. Ci saranno quelli che vorranno ricostruire la socialdemocrazia in Francia ma ci sarà anche chi vorrà pesare nella futura maggioranza per impedire che i suoi futuri orientamenti non vadano troppo a destra”.
Una direzione, almeno per il momento, diventata a senso unico in Francia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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“Ne destra, né sinistra”. Quello che nel 2017 era diventato quasi un mantra per l’allora candidato Emmanuel Macron, oggi risuona come una musica di altri tempi. In vista delle imminenti elezioni presidenziali del 10 e 24 aprile, in Francia si suona ormai un’altra solfa.