I Qatarini sono circa 300mila persone che dominano i circa 2milioni e 300mila lavoratori immigrati e possiedono 51 trilioni di metri cubi di gas naturale. Recentemente il Paese ha abolito la kafala, la legge per la quale il dipendente è proprietà del datore di lavoro
A Doha probabilmente non hanno mai letto le satire di Giovenale. Non hanno, ritengo, pertanto adottato il panem et circenses con questa consapevolezza. Neanche, credo, conoscessero la storia del Regno Borbonico, quando Ferdinando, governava con le tre “f”: feste, farina e forca. Ma la politica interna ed estera del Qatar negli ultimi anni, pare essere molto vicina a quella del re nasone. Già perché da qualche anno, Doha ha sfruttato la sua enorme ricchezza per diffondere il suo soft power in giro per il pianeta. Ricchezza derivata dai più grandi giacimenti di gas al mondo: il South Pars, gestito insieme all’Iran, ha 51 trilioni di metri cubi di gas naturale in situ e circa 50 miliardi di barili (7,9 miliardi di metri cubi) di condensati di gas naturale. Solo pochi anni fa poche persone avrebbero saputo indicare su una mappa il Qatar, o dire quale fosse la sua capitale. Oggi del Qatar si parla di continuo, sui giornali e in tv, certamente per il mondiale di calcio, i primi in uno stato del Golfo e i primi in inverno.
Doha esercita sia “hard power” che “soft power”. Il primo è basato sul potere politico, economico e militare di una nazione, il secondo è caratterizzato dal potere di attrazione su di sé di interessi diversi, per i motivi più disparati. Ecco, il Qatar, oggi più che mai, ancora più di altri, è considerato un esempio di soft power.
Un piccolo stato con appena 2,6 milioni di abitanti, dei quali i locali rappresentano poco più del 10% mentre il resto è costituito dagli immigrati soprattutto dal subcontinente. Piccolo ma dalle enormi ricchezze, che lo hanno reso inviso ai vicini, in particolare ai cugini dell’Arabia Saudita, con cui il Qatar ha un rapporto difficile soprattutto considerato che il regno dei Saud ha storicamente rivendicato il territorio dell’emirato qatarino, anche intervenendo ripetutamente nella politica interna del Qatar.
Le tensioni con i sauditi, ma anche con altri paesi vicini, sono culminate con l’interruzione delle relazioni diplomatiche con il Qatar da parte di Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Maldive e l’istituzione di un blocco contro l’emirato degli al-Thani nel giugno 2017, finito nel 2021. Il Qatar quindi ha cominciato sempre di più a sentirsi isolato e ha avvertito il bisogno di accreditare la sua immagine, specie presso il mondo occidentale. Una immagine che però ha avuto seri contraccolpi, specie negli ultimi anni, con le notizie legate allo sfruttamento degli operai, degli immigrati, costretti a turni massacranti, a salari inesistenti e a condizioni di vita infime. La stessa scelta del Qatar come nazione ospitante dei mondiali di calcio nel 2022 era stata largamente criticata. Scelto nel 2010 per ospitare il campionato mondiale di calcio, battendo paesi come Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone e Australia, il Qatar, sin dalla sua selezione, era stato inondato da polemiche. Le accuse di corruzione e concussione avevano colpito anche la FIFA, Joseph Blatter − allora presidente dell’organizzazione − e Michel Platini, presidente della UEFA. Eppure, nonostante l’elevato numero di lavoratori morti durante la costruzione degli stadi e la situazione precaria dei diritti umani nel Paese, il Qatar sta consolidando la sua posizione di potenza regionale grazie proprio in primo luogo al suo impegno nello sport. Le feste e la forca di borboniana memoria: tra il 2016 e il 2021 almeno 21 persone sono state condannate a morte in Qatar. Dei 21, solo tre casi hanno coinvolto cittadini del Qatar e solo uno ha coinvolto una donna (accusata di omicidio). I restanti 18 erano di nazionalità straniera: sette indiani, due nepalesi, cinque bengalesi, un tunisino e tre asiatici di nazionalità sconosciuta. Di questi casi, 17 riguardano omicidio e uno una condanna per traffico di droga. La maggior parte dei casi di omicidio ha riguardato lavoratori migranti di sesso maschile provenienti dall’Asia meridionale, condannati per reati legati al loro precario status di lavoratore migrante. I rimanenti casi di omicidio riguardavano un uomo tunisino e due imputati di nazionalità sconosciuta. Le autorità governative di Doha, pur avendo sottoscritto la convenzione di Vienna del 1963 sui rapporti consolari, ignorano il diritto internazionale non informando le ambasciate quando i loro cittadini vengono arrestati, detenuti o sono in attesa di processo per una condanna a morte. Oggi sono undici, secondo le organizzazioni non governative, gli occupanti del braccio della morte in Qatar e l’ultima esecuzione, che qui avviene per impiccagione o fucilazione, è stata eseguita nel 2020.
Lo scandalo Qatargate che ha scosso i palazzi di Bruxelles, è solo l’ultimo esempio del traffico di influenze che Doha mette in campo. Lo fa con i soldi, con gli investimenti, con il gas (ha subito minacciato l’Ue di chiudere i rubinetti), lo fa con lo sport. E quest’ultimo è stato scelto come “festa” o “circenses” preferita. I mondiali di calcio ne sono l’esempio più recente e più lampante, per i quali si stima che il Qatar abbia speso ben 220 miliardi di dollari nei dodici anni trascorsi dall’assegnazione del torneo, più di 15 volte la cifra spesa dalla Russia per i mondiali precedenti, nel 2018. Ma non sono solo i mondiali. Nei primi anni 2000, gli al-Thani investirono in un centro, l’Aspire, che sarebbe dovuto diventare un punto di riferimento per lo sport mondiale. E così è stato. È nato nel 2003 e prima ha organizzato fiere del settore, poi ha aperto una Academy per vari sport, poi ha chiamato manager ed esperti da tutto il mondo pagandoli a peso d’oro, non badando a spese, per acquisire competenze e capacità nel settore. Infine, ha cominciato a organizzare eventi sportivi continentali prima e mondiali poi. Tra questi, la prima vetrina è stata con gli Asian Games nel 2006, per poi vedere i primi mondiali, quelli di pallavolo per club, nel 2009 e le Ginnasiadi nello stesso anno. A seguire, mondiali indoor di atletica, mondiali di pallamano (che videro un sorprendente secondo posto del Qatar infarcito di campioni provenienti da tutto il mondo, pagati quanto un calciatore di serie A italiana), di box, di ciclismo, ginnastica artistica e perfino di robot. Per chiudere, prima dei mondiali di calcio di quest’anno, con quelli di atletica leggera nel 2019.
In questo campionato, nonostante le difficoltà economiche dovute all’embargo dei paesi vicini, lo sfarzo è stato enorme, un po’ meno gli stipendi. Nel novembre 2021, il Qatar ha ospitato il suo primo Gran Premio di F1 e il paese ha ora un contratto di 10 anni per ospitare gare di F1. Inoltre, nel 2011 il Qatar Sports Investment ha acquistato una delle principali squadre di calcio francesi, il Paris Saint-Germain. Secondo Daniel Patiño Portillo, un analista politico, per il Qatar lo sport, e in particolare il calcio, è così importante perché “smuove le masse, alimenta le passioni e mobilita sentimenti come l’identità o l’accettazione”. Un metodo, questo, che spiega invece Juan Corellano, regista di un documentario dal titolo Qatar: i Mondiali ai tuoi piedi, non è nuovo e ha citato come esempi i Giochi Olimpici nella Germania nazista negli anni ‘30 e la Coppa del mondo del 1978 durante la dittatura argentina. Un esempio che il Qatar ha preso dalla più importante economia del mondo, altro paese non certo campione di democrazia (probabilmente il rispetto per i diritti civili e la crescita economica nel mondo non seguono le stesse parabole): la Cina.
L’Impero di Mezzo, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso si aprì al mondo e nel 2008 si aggiudicò le olimpiadi. Tutto come oggi: nei mondiali di calcio la finale è stata disputata nella ricorrenza della festa nazionale, quando si celebra la nascita del nuovo Qatar; in Cina si scelse l’otto di agosto 2008 in quanto l’otto è il numero più fortunato per i cinesi. Le polemiche che hanno giustamente accompagnato l’assegnazione dei mondiali di calcio in Qatar per la poca propensione dell’emirato a rispettare i diritti civili, accompagnarono anche la Cina che in quel periodo aveva messo in opera una violenta repressione in Tibet ed erano ancora vive e sanguinanti le ferite di Tien’anmen. Anche allora, come oggi, i vertici sportivi mondiali fecero spallucce dinanzi ai miliardi e alla potenza politica degli organizzatori.
Il Qatar dunque si sta accreditando con il mondo principalmente attraverso lo sport, ma non solo. Un’altra delle “vie” del soft power viene ritenuta anche quella che passa attraverso Al Jazeera, posseduta proprio dal governo del Qatar. Tramite la “Cnn araba”, il paese veicola le notizie, contenendo il criticismo contro l’emiro del Qatar e orientando l’informazione, anche sui rapporti con i paesi vicini, a suo favore. Non è poi neanche trascurabile il fatto che il Qatar si è spesso offerto di essere un mediatore in situazioni di conflitto, ad esempio nelle guerre in Libano, Sudan e Yemen. Anche recentemente, nella guerra in Ucraina, l’emiro del Qatar si è offerto di contribuire agli sforzi di mediazione. Il Qatar, che attraverso il suo fondo sovrano ha diverse proprietà in Italia e in Inghilterra, ha poi anche indirizzato i suoi investimenti verso la Francia, uno dei suoi principali alleati, paese dal grande peso geopolitico e militare. Ha acquistato aerei militari dopo che Sarkozy ha mediato il voto di Platini per i Mondiali. Sono tutti modi, per il Qatar, di migliorare la propria reputazione in ambito internazionale. E poi non dimentichiamo anche le ingenti donazioni alle università straniere (tra cui la Carnegie Mellon University, la Georgetown University e la HEC di Parigi), e la creazione di moschee in giro per il mondo a favore della comunità islamica internazionale. Tutte attività mirate a un unico scopo. Accrescere il proprio soft power.
Tutti gli sforzi però non riescono, almeno non del tutto, a far dimenticare i tristi record del paese. Doha viene spesso accusata di sostenere gruppi ritenuti terroristici, Hamas in testa, che nell’emirato ha una zona franca per i suoi leader. Il Qatar inoltre mensilmente rimpingua le casse di Gaza. Proprio recentemente, poche settimane prima dell’inizio dei mondiali di calcio, diverse Ong per i diritti umani e organizzazioni internazionali hanno nuovamente messo in guardia sulla situazione del Qatar, nonché sulle spaventose condizioni di lavoro dei lavoratori stranieri che hanno costruito gli stadi. Secondo un’inchiesta di The Guardian, tra il 2011 e il 2020 in Qatar sono morti almeno 6500 lavoratori migranti e cause dei decessi sono state indicate come il “lavoro forzato” o “forme di schiavitù moderna”. Molti di loro avrebbero perso la vita a causa delle alte temperature del Paese e delle difficili condizioni in cui erano costretti a lavorare. Turni massacranti, per dieci, dodici ore al giorno sotto il sole cocente, con stipendi da fame, costretti a vivere in case minuscole, umide e senza finestre. La maggior parte dei lavoratori migranti che lavora in Qatar proviene da paesi asiatici come India, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka e Nepal. Secondo i dati ufficiali raccolti dal New York Times, i decessi sono stati causati in prevalenza da malattie cardiovascolari, a seguire da incidenti stradali, mentre elevato è stato anche il numero di suicidi. Le numerose polemiche sorte in questi anni qualche piccolo risultato lo hanno avuto perché Doha ha iniziato ad adottare alcune misure, come ad esempio la creazione di una commissione per le dispute di lavoro. Ha abolito la kafala, la legge per la quale il dipendente è proprietà del datore di lavoro e ha ospitato una missione dell’International Labor Office, che però è stato accusato dalle Ong del campo, di essere accondiscendente con il governo di Doha in cambio di lauti finanziamenti. Una goccia nel mare, specie considerato che ci sono tantissimi casi che dovrebbero essere esaminati per pochi giudici istituiti allo scopo.
È evidente comunque che Doha sta cercando di prendere le distanze e dissociarsi dalle morti e dalle critiche, sostenendo che tutte le accuse fanno parte di “una campagna di propaganda senza precedenti”. In un’intervista alla AFP, il ministro del lavoro del Qatar, Ali bin Samikh Al Marri, ha affermato che tutte le critiche sono basate sul “razzismo”. Critiche verso gli stranieri, come quella di Giovenale nella terza satira.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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