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Il potere del gas e le ambizioni dell’emiro


I Qatarini sono circa 300mila persone che dominano i circa 2milioni e 300mila lavoratori immigrati e possiedono 51 trilioni di metri cubi di gas naturale. Recentemente il Paese ha abolito la kafala, la legge per la quale il dipendente è proprietà del datore di lavoro

A Doha probabilmente non hanno mai letto le satire di Giovenale. Non hanno, ritengo, pertanto adottato il panem et circenses con questa consapevolezza. Neanche, credo, conoscessero la storia del Regno Borbonico, quando Ferdinando, governava con le tre “f”: feste, farina e forca. Ma la politica interna ed estera del Qatar negli ultimi anni, pare essere molto vicina a quella del re nasone. Già perché da qualche anno, Doha ha sfruttato la sua enorme ricchezza per diffondere il suo soft power in giro per il pianeta. Ricchezza derivata dai più grandi giacimenti di gas al mondo: il South Pars, gestito insieme all’Iran, ha 51 trilioni di metri cubi di gas naturale in situ e circa 50 miliardi di barili (7,9 miliardi di metri cubi) di condensati di gas naturale. Solo pochi anni fa poche persone avrebbero saputo indicare su una mappa il Qatar, o dire quale fosse la sua capitale. Oggi del Qatar si parla di continuo, sui giornali e in tv, certamente per il mondiale di calcio, i primi in uno stato del Golfo e i primi in inverno.

Doha esercita sia “hard power” che “soft power”. Il primo è basato sul potere politico, economico e militare di una nazione, il secondo è caratterizzato dal potere di attrazione su di sé di interessi diversi, per i motivi più disparati. Ecco, il Qatar, oggi più che mai, ancora più di altri, è considerato un esempio di soft power.

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