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Quale Siria si potrà ricostruire?


In poco più di dieci giorni, partendo dalla zona di confine con la Turchia, Idlib, arrivando a prendersi Aleppo, poi Hama, Homs e infine Damasco, l’avanzata dei ribelli jihadisti ha portato ad un cambiamento storico in Siria, la cui portata complessiva non è ancora possibile prevedere.

Ci vorrà tempo per capire la Siria che sarà. Un governo ad interim è entrato in carica, un altro si sta delineando. Ma la diversità e la complessità degli attori in gioco sul territorio, le pressioni degli "alleati" internazionali, una storia di più di cinquant'anni di regime degli Assad, 14 anni di guerra civile, rendono difficile qualsiasi previsione. Ma non un auspicio: che il paese torni ad essere un'oasi di pace e stabilità non solo per il Medio Oriente, ma per il mondo tutto. Un paese che deve essere ricostruito dalle sue fondamenta fatte di cultura, storia e arte, in parte distrutte in questi anni dall'insensatezza dell'uomo ma che possono essere recuperate e da lì ripartire.

Gli occhi sono puntati soprattutto su chi ha portato l'alleanza dei ribelli jihadisti a prendersi il paese e destituire il presidente Bashar al Assad. Quell'Hayat Tahrir al-Sham (Hts), organizzazione jihadista guidata da Ahmed al-Sharaa, meglio conosciuto come Abu Mohammed al-Golani, considerata terrorista da Nazioni Unite, Stati Uniti e altri, tra i quali la Turchia. Questione questa da tenere in considerazione per due ragioni: la prima è che nel caso in cui si dovrà trattare con essa, la sua connotazione terroristica crea sicuramente un problema; la seconda è relativa ai rapporti con la Turchia. Già perché se Ankara non ha dato ufficialmente il via libera all'avanzata che in poco più di dieci giorni, partendo dalla zona di confine di Idlib, arrivando a prendersi Aleppo, poi Hama, Homs e infine Damasco, ha portato ad un cambiamento storico in Siria, non ne ha ostacolata l'avanzata che, anzi, ha visto di buon occhio.

La questione turca non è secondaria. Non si tratta solo di ingerenza di un paese straniero in Siria, come pure si è già visto da decenni in maniera chiara da parte di Russia e Iran. Si tratta di definire il controllo su aree, soprattutto al confine; si tratta di dare una "sistemata" alla questione dei curdi che pure hanno fatto parte dell'alleanza di gruppi che hanno rovesciato Assad. Ma che sono visti come nemici giurati dalla Turchia perché vicini al partito dei lavoratori curdi, il Pkk contro cui Ankara combatte e che vorrebbe annientato, come annichilita l'etnia a cui fa riferimento. La preoccupazione che proprio questi, che continuano a combattere anche in questi giorni, vengano sacrificati sull'altare della nuova Siria, per compiacere i turchi, è tanta, anche perché potrebbe significare che Trump ha deciso veramente un disimpegno dal paese. E Erdogan, per molti aspetti, non è diverso da Assad: "un dittatore con cui bisogna contrattare", disse Mario Draghi del califfo di Ankara.

C'è inoltre da ricordare che Hayat Tahrir al-Sham, è diretto discendente da Al Qaeda, ha sposato all'inizio anche le teorie del califfato dell'Isis. In questa offensiva, nei discorsi fatti a Damasco quando ha preso la città e in un'intervista alla Cnn, Mohammed al-Golani ha detto che guarda ad una Siria inclusiva, indipendentemente dall'appartenenza politica, etnica e religiosa dei suoi cittadini. Arrivando ad Aleppo, le sue truppe hanno assicurato i cristiani che non li avrebbero toccati, mentre invece l'aviazione russa ha bombardato la scuola dei francescani, il Terra Santa College.

Quanto queste promesse, quanto queste dichiarazioni si trasformeranno in azioni concrete è difficile dirlo. Il desiderio di ripristinare il califfato come secoli fa ai tempi degli Omayyadi, certamente è forte e radicato se non nella leadership, nella mente di molti miliziani. Dopotutto, nella loro roccaforte Idlib, non sono poche le denunce internazionali per violazioni dei diritti civili.

Al-Golani per ora lancia messaggi di pace e di cooperazione, tant'è vero che ha distinto il regime di Assad dall'apparato burocratico siriano. Ha gestito i colloqui con il premier in carica Al Jalali, per decidere la transizione e ha piazzato un suo uomo come primo ministro.

Al-Shaara, come il leader di Hts vuole essere chiamato, abbandonando il suo nome di battaglia, ha fatto valere l'importanza del suo gruppo. E' infatti Mohammed al Bashir, che attualmente guida l'esecutivo di Idlib, roccaforte dell'Hts, il primo premier della Siria post Assad, con l'incarico di portare il paese alle elezioni. Che sono ancora lontane.

Prima bisogna stabilire i rapporti di forza e bilanciare tutte le diverse anime che compongono il fronte dei ribelli jihadisti che ha abbattuto il regime di Assad.

Tutti guardano ad al-Shaara, che ha annunciato l'amnistia per tutti i militari dell'esercito regolare che fino a 24 ore fa erano ancora formalmente agli ordini del deposto presidente Bashar al Assad. Il leader infatti deve bilanciare le istanze jihadiste e la voglia di califfato di molti dei suoi, con le parole concilianti e da politico navigato che ha usato sia in pubblico sia in interviste, parlando di Siria di tutti indipendentemente dalla religione, etnia e credo politico. Ma se alcuni gruppi hanno detto che non imporranno neanche il velo, altri miliziani hanno diffuso video nei quali hanno minacciato la presa di Gerusalemme e la liberazione di Gaza.

Al Bashar, che ha l'incarico di formare un governo di transizione, è un ingegnere e un giurista della Sharia, è attualmente il quinto primo ministro dell'autoproclamata amministrazione della regione guidata dall'Hts, il Governo siriano di salvezza. Governo per il quale era stato già ministro dello sviluppo e degli affari umanitari sotto il suo predecessore, Ali Keda.

E si cominciano a fare nomi di un prossimo governo. Oltre ad al-Shaara, che si occuperebbe di difesa, l'esecutivo, che dovrebbe essere guidato dall'esule a Doha Riyad Hijab, che ha già ricoperto la stessa carica e che fino al 2017 è stato a capo dell'Alto comitato negoziale dell'opposizione, vede la partecipazione di diverse fazioni con una predominanza della National Coalition of Syrian Revolution and Opposition Forces. Una scelta che verrebbe incontro alle preoccupazioni occidentali dal momento che i suoi componenti comunque sono laici.

La complessità è data poi sia dalla disastrosa situazione umanitaria (tredici anni di guerra civile, oltre 600 mila morti hanno devastato il paese dal profondo), situazione economica e militare. In Siria ci sono ancora diversi depositi di armi, anche chimiche. Se dovessero cadere nelle mani sbagliate, le conseguenze sarebbero disastrose. La Russia conserva due basi nella parte occidentale. L'Iran non vuole perdere la sua influenza, anche se i colpi che Israele ha inferto sia sul suo suolo, che contro la sua milizia principe, Hezbollah, che contro Hamas e le altre, non solo l'hanno indebolito, ma hanno favorito l'avanzata dei ribelli e la caduta di Assad.

Israele sta a guardare. Per ora ha rafforzato le sue difese intorno al monte Hermon, prendendosi anche parte del territorio siriano (sottolineando, temporaneamente) per aumentare la zona cuscinetto, in questo momento di regno di nessuno. Ha effettuato oltre 350 attacchi in Siria contro obiettivi e depositi militari. Se i ribelli dovessero riprendere l'idea del califfato, come potrebbe convivere Israele con la minaccia così vicina?

 

 

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