I lavoratori chiedono più tutele, salari più alti, luoghi di lavoro più sicuri e assunzioni. Parallelamente, sono molti quelli che danno le dimissioni
L’America è attraversata da un’ondata di scioperi di quelle che non si vedevano da lungo tempo. La più importante e “tradizionale” è la fermata sciopero degli operai di produzione dell’azienda di macchinari agricoli ed edili John Deere, dopo che gli operai avevano bocciato l’intesa di rinnovo contrattuale negoziata con l’impresa. Non solo, c’è la Kellog’s, quella dei cereali, il produttore di snack Mondelez International Inc, che produce molte cose tra quelle che comprate alla cassa di un bar o supermercato, della Volvo e gli infermieri in diversi Stati. Questo, del resto, è anche l’anno in cui i sindacati hanno tentato e stanno tentando di entrare a Starbucks e Amazon. Mentre scriviamo giunge invece la notizia di un accordo tra i lavoratori del settore audio video di Hollywood che protestavano per i turni massacranti ed erano anche loro pronti a entrare in sciopero.
Le cause
I lavoratori che scioperano, allo stesso modo dei milioni che si sono licenziati durante e dopo la pandemia, hanno una gamma di ragioni per recriminare. In troppi settori lavorativi le paghe rimangono basse e, adesso che c’è un poco di inflazione, non sono nemmeno adeguati ai rincari. In molti hanno messo a rischio la propria saluta continuando a lavorare nelle fabbriche, negli ospedali, nei negozi a contatto con il pubblico, sono stati trattati da “eroi” per qualche mese per poi scoprire che il loro eroismo non valeva un centesimo o qualche in giorno in più di riposo. Poi ci sono vecchie malattie del mercato del lavoro statunitense: nei settori come il grande commercio, la ristorazione e ospitalità e anche altrove, i turni cambiano, crescono e si restringono con grande facilità, rendendo difficile la programmazione della vita quotidiana e delle economie familiari. Per questo oggi i lavoratori dipendenti chiedono in genere salari più alti, più tutele (malattia, permessi), luoghi di lavoro più sicuri e assunzioni per rendere i turni meno massacranti. Che c’è da dirlo, la vita di un lavoratore medio americano è tendenzialmente più dura di quella di un europeo.
Parallelamente in tanti lasciano il lavoro perché in burnout dopo i mesi di lavoro in piena epidemia, oppure perché lavorando da casa si sono resi conto di poter migliorare la propria qualità della vita o ancora perché in alcune aree del Paese i servizi all’infanzia non sono ripartiti e le madri devono quindi rimpiazzarli rimanendo con i figli. C’è poi che molti rimasti a casa hanno evitato spese per diversi mesi e si trovano oggi a poter immaginare di rimanere qualche tempo a casa in cerca di una nuova occupazione.
Il malessere del mondo del lavoro
L’ondata di scioperi non è un fulmine a ciel sereno. Negli anni passati le campagne per il salario minimo a 15 dollari hanno raccolto grande adesione e i lavoratori dei fast-food hanno scioperato in più di un’occasione. Nel 2019 in California le maestre e i maestri scioperarono per settimane e ottennero grandi miglioramenti e investimenti pubblici nella scuola. C’è poi che il tema della ricchezza e delle disuguaglianze che serpeggia da anni nel dibattito pubblico statunitense e che incide nell’umore di chi lavora. Tra l’altro i democratici e lo stesso Presidente incoraggiano la sindacalizzazione e nominano spesso il tema della necessità di una tassazione più giusta. Il pacchetto di misure promosso dall’amministrazione e bloccato in Senato porrebbe le basi per dare risposte ad almeno alcune delle domande che sorgono dal mondo del lavoro – più asili, paghe migliori, diritto alla maternità o a permessi per la cura di persone della famiglia.
Le imprese e diversi economisti ritengono che l’ondata di scioperi sia causata anche dagli assegni ricevuti dalle famiglie nei mesi della pandemia: se non ci fossero stati quelli la gente dovrebbe lavorare, si dice. Un dibattito che abbiamo sentito riecheggiare anche in Italia. Un altro argomento contro sostiene che le richieste di aumento potrebbero avere effetti negativi sull’inflazione, che già corre più del dovuto, ma non ancora in maniera allarmante.
Se nel primo caso l’argomento è davvero spiacevole, nel secondo la risposta possibile è relativa ai profitti delle imprese e ai bonus che distribuiscono. Tagliando o ridimensionando un po’ quelli si potrebbero risparmiare risorse private da destinare al monte salari. Sia l’ondata di scioperi che la Great Resignation, l’ondata di dimissioni che attraversa il Paese, sono però il sintomo di una stanchezza del mondo del lavoro americano che, in maniere diverse a seconda dei luoghi e dei settori, ha manifestato il proprio malessere anche nell’urna, eleggendo diversi democratici di sinistra, facendo (leggermente) crescere le fila dei sindacati e persino riponendo delle speranza nel Presidente Trump.
I lavoratori che scioperano, allo stesso modo dei milioni che si sono licenziati durante e dopo la pandemia, hanno una gamma di ragioni per recriminare. In troppi settori lavorativi le paghe rimangono basse e, adesso che c’è un poco di inflazione, non sono nemmeno adeguati ai rincari. In molti hanno messo a rischio la propria saluta continuando a lavorare nelle fabbriche, negli ospedali, nei negozi a contatto con il pubblico, sono stati trattati da “eroi” per qualche mese per poi scoprire che il loro eroismo non valeva un centesimo o qualche in giorno in più di riposo. Poi ci sono vecchie malattie del mercato del lavoro statunitense: nei settori come il grande commercio, la ristorazione e ospitalità e anche altrove, i turni cambiano, crescono e si restringono con grande facilità, rendendo difficile la programmazione della vita quotidiana e delle economie familiari. Per questo oggi i lavoratori dipendenti chiedono in genere salari più alti, più tutele (malattia, permessi), luoghi di lavoro più sicuri e assunzioni per rendere i turni meno massacranti. Che c’è da dirlo, la vita di un lavoratore medio americano è tendenzialmente più dura di quella di un europeo.