Il mondo sembra aver dimenticato ma, otto mesi dopo il golpe militare, la situazione birmana resta ancora gravissima sotto tutti i punti di vista
La dinamica è quasi sempre la stessa. Grande attenzione iniziale, corposa serie di dichiarazioni e moniti poi, infine il silenzio. I riflettori della comunità internazionale sembrano essersi progressivamente spenti sulla sorte del Myanmar. Sono trascorsi poco più di otto mesi dal golpe militare dello scorso 1° febbraio ma l’emergenza birmana è stata superata dalle vicende dell’Afghanistan e piano piano dimenticata. Eppure, nulla è cambiato in meglio. Anzi, la situazione è semmai peggiorata.
Gli scontri tra le forze armate del Myanmar e le milizie parte del cosiddetto Fronte di difesa popolare (Fdp) si sono intensificati dopo la dichiarazione di “guerra di resistenza poopolare” effettuata da parte del Governo ombra di coalizione nazionale, istituito da politici e attivisti birmani. Secondo stime formulate dalla stampa birmana, il Fronte può contare su una forza compresa tra 20mila e 30mila uomini. Secondo i componenti della coalizione, si trattava dell’unica possibilità rimasta dopo l’inerzia della comunità internazionale e delle democrazie occidentali, mai andate oltre gli annunci iniziale e le sanzioni nei confronti di esponenti della giunta militare.
La crisi con l’Asean
L’insoddisfazione è anche, e soprattutto, nei confronti dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico di cui il Myanmar fa parte. A fine aprile è stato svolto un vertice straordinario nel quale è stato invitato il Generale Min Aung Hlaing, capo del Tatmadaw, e nessun esponente del Governo di coalizione nazionale. Vertice dal quale è uscito un accordo piuttosto vago in cinque punti che non è mai stato del tutto applicato. Anche la scelta dell’inviato speciale Asean è arrivata dopo mesi di trattative solo a inizio agosto. Scelta che è ricaduta sul secondo Ministro degli Esteri del Brunei, Erywan Yusof. Il piccolo Sultanato regge la presidenza di turno del blocco per il 2021. Gli Stati membri più attivi nel tentativo di ampliare l’azione e la profondità dell’azione Asean sono stati Indonesia, Singapore e Malaysia. “Non ci sono stati progressi significativi in Myanmar, né segnali positivi da parte della giunta militare sulle richieste dell’inviato speciale”, ha affermato lunedì 4 ottobre il Ministro degli Esteri di Giacarta, Retno Marsudi, dopo un vertice con i colleghi Asean. “Alcuni membri sostengono che l’Asean non possa limitarsi al business as usual”, ha aggiunto. Ma nessuno dei tre Paesi avrà un ruolo di primo piano nel prossimo futuro, visto che nel 2022 la presidenza del blocco passerà dal Brunei alla Cambogia, forse la più cauta nell’esprimere giudizi sul caso birmano nonché il Paese membro più vicino alla Cina.
La scorsa settimana, un accordo fra Stati Uniti, Russia e Cina ha portato all’esclusione del Myanmar dai tradizionali discorsi in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu, tenutasi a New York. Sia l’ambasciatore designato dalla giunta militare golpista al potere dal primo febbraio scorso che il precedente inviato, sostenuto dalla comunità internazionale, avevano chiesto la parola ma non sono potuti intervenire. Segno che non solo l’Asean, ma anche l’Occidente e le altre potenze siano in una posizione di attesa e di osservazione dall’esterno. Anche se Pechino ha riavviato la sua diplomazia che viaggia, come sempre per quanto riguarda il Myanmar, su un doppio binario. Da una parte sono stati riavviati diversi progetti che rientrano nella Belt and Road Initiative e nel corridoio economico Cina-Myanmar con il benestare dell’esercito, dall’altra però esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia di Suu Kyi sono stati invitati a un forum dei partiti politici asiatici che si è svolto di recente in territorio cinese. A proposito di Suu Kyi, i suoi legali hanno fatto sapere che soffre di esaurimento nervoso causato da tutta la serie di accuse che pesano su di lei e che potrebbero portare a una condanna fino a 15 anni di carcere.
Verso una guerra civile?
Intanto, come detto, gli scontri si stanno facendo sempre più violenti e iniziano ad assomigliare una guerra civile che vede impegnati diversi gruppi di milizie etniche armate. Una decina di giorni fa, una trentina di militari sarebbero per esempio rimasti uccisi negli scontri negli Stati di Chin e Kayah. Le violenze continuano anche sui civili. Intanto, Save the Children ha comunicato che dopo il golpe del 1° febbraio e lo scoppio del conflitto armato in diverse aree del Paese, più di 76.000 bambini sono stati costretti a fuggire dalle loro case. In tutto sarebbero 206.000 le persone sfollate. Alla crisi politica si aggiungono anche le drammatiche situazioni legate all’economia e alla sanità. Sul Myanmar si è negli ultimi mesi abbattuta una fortissima ondata di contagi da Covid-19, la peggiore dall’inizio della pandemia. E la valuta locale ha perso più del 60% del suo valore dall’inizio di settembre, facendo salire i prezzi del cibo e del carburante
Una tempesta perfetta, anche se in pochi sembrano ormai curarsene.
Il mondo sembra aver dimenticato ma, otto mesi dopo il golpe militare, la situazione birmana resta ancora gravissima sotto tutti i punti di vista
La dinamica è quasi sempre la stessa. Grande attenzione iniziale, corposa serie di dichiarazioni e moniti poi, infine il silenzio. I riflettori della comunità internazionale sembrano essersi progressivamente spenti sulla sorte del Myanmar. Sono trascorsi poco più di otto mesi dal golpe militare dello scorso 1° febbraio ma l’emergenza birmana è stata superata dalle vicende dell’Afghanistan e piano piano dimenticata. Eppure, nulla è cambiato in meglio. Anzi, la situazione è semmai peggiorata.