Oppressa da una crisi economica senza precedenti, la piccola isola è più che mai vincolata dalle prove di forza tra le due potenze regionali, complicate dalle grandi alleanze schierate nell’Indo-Pacifico
“Negli ultimi sedici anni, la gigantesca nave dei BRICS ha navigato tenacemente in avanti contro torrenti e tempeste impetuose. Cavalcando il vento e fendendo le onde, ha intrapreso un retto percorso di sostegno reciproco e di cooperazione vantaggiosa per tutti”. Non sappiamo se qualche osservatore abbia colto il carattere profetico di queste parole, pronunciate dal presidente cinese Xi Jinping lo scorso giugno durante l’ultimo summit dei BRICS, ma le evidenze della cronaca sono sotto gli occhi di tutti: il 16 agosto, nonostante le crescenti perplessità sollevate dall’India, una nave di ricerca cinese è stata accolta nel porto di Hambantota, nello Sri Lanka meridionale, accrescendo le tensioni già esistenti tra Cina e India e costringendo lo Sri Lanka, già oppresso da una crisi economica senza precedenti, a grandi sforzi e acrobazie diplomatiche per cercare di non deludere eccessivamente i due giganti regionali, ai quali sembra essere più vincolato che mai.
Sri Lanka, Cina, India, Usa
La Yuang Wang 5, partita dal porto cinese di Jiangyin, è un’imbarcazione dotata di sistemi all’avanguardia per la ricerca scientifica e per il monitoraggio dei satelliti, ma secondo Pechino sarebbe stata inviata nel porto di Hambantota soltanto per rifornirsi di carburante. Qualche giorno prima del suo arrivo, lo Sri Lanka aveva formalmente richiesto alla Cina di rimandarne l’attracco, forse a causa delle insistenti pressioni ricevute da New Delhi e dagli Stati Uniti, e alla fine era riuscita a ritardarne l’approdo di cinque giorni. L’India teme infatti che Pechino, attraverso questa sofisticata imbarcazione, possa raccogliere preziose informazioni sulle installazioni militari indiane dislocate lungo la sua costa meridionale, e che i suoi sistemi di osservazione possano monitorare le attività dei porti indiani negli stati del Kerala e del Tamil Nadu. Per questi motivi, ma anche per calmare le apprensioni dell’India, lo Sri Lanka avrebbe chiesto alla nave cinese di lasciare il porto subito dopo aver terminato le operazioni di rifornimento, senza avviare alcun genere di ricerca. Le relazioni tra Pechino e New Delhi sono drammaticamente peggiorate due anni fa, in seguito agli scontri a fuoco lungo il confine sino-indiano che costarono la vita a quattro soldati cinesi e a venti militari indiani. L’arrivo della Yuang Wang 5 nel porto di Hambantota, alle 8.30 di martedì 16 agosto, rappresenta forse il momento culminante dell’ennesima prova di forza vinta da Pechino, che ha compiuto un ulteriore passo in avanti nel rafforzamento della sua influenza in quell’area.
Crisi economica e trattative con il Fmi
Le vicissitudini della Yuang Wang 5 simboleggiano alla perfezione l’estrema delicatezza della situazione dello Sri Lanka, una piccola isola di 22 milioni di abitanti che deve continuamente misurarsi con i mutevoli umori di due potenze come Pechino e New Delhi, e che da qualche mese è alle prese con la peggiore crisi economica della sua storia. Lo scorso luglio, non essendo più in grado di ripagare il suo debito estero – che ammonta a circa 51 miliardi di dollari − lo Sri Lanka ha dichiarato bancarotta. Nel clima di generale tensione che ha scosso il Paese, e che ha portato a vibranti proteste di massa, l’ex presidente Gotabaya Rajapaksa si è dimesso, lasciando le sorti dello Stato a Ranil Wickremesinghe. L’impatto del Covid-19, la spesa pubblica estremamente elevata e la crisi di un settore vitale come il turismo hanno alimentato una crisi economica che condizionerà il destino dell’isola ancora a lungo, e che ha già costretto Colombo ad avviare trattative con il Fondo Monetario Internazionale per un intervento d’emergenza. Per sostenere lo Sri Lanka durante la crisi, l’India ha già inviato aiuti per circa 4 miliardi di dollari, aprendo anche una linea di credito ad hoc per l’acquisto di alcuni beni primari. Il sostegno cinese è stato invece molto più contenuto: Pechino ha inviato unicamente 75 milioni di dollari in aiuti umanitari, con una vaga promessa di supportare le richieste di Colombo durante le negoziazioni con il Fondo Monetario Internazionale.
La Nuova Via della Seta e il debito estero
La posizione dello Sri Lanka appare particolarmente delicata nei confronti della Cina, a cui è legato il 10% del suo debito estero, e alla quale deve circa 6.5 miliardi di dollari. Pechino ha infatti coinvolto lo Sri Lanka in alcune iniziative legate alla Belt and Road Initiative, il grande progetto cinese per la costruzione di infrastrutture terrestri, aeree e marittime lungo le antiche vie della seta. Sin dal 2009, l’anno in cui ebbe fine il conflitto etnico tra il governo dello Sri Lanka e i separatisti Tamil, la Cina ha concesso a Colombo una grande quantità di prestiti per la costruzione di aeroporti, porti e autostrade, ma alcuni di questi progetti non hanno ancora prodotto nessun risultato concreto. Uno di questi è senz’altro l’aeroporto di Mattala Rajapaksa, aperto nel 2013 e già battezzato “l’aeroporto più vuoto del mondo” a causa del suo scarsissimo utilizzo. Il fatto che sia stato costruito nel bel mezzo di un sentiero battuto dagli elefanti, che lo utilizzerebbero per le loro costanti migrazioni stagionali, non ha certo giovato al successo dell’iniziativa e rischia addirittura di comprometterla definitivamente.
Il boom infrastrutturale
Alcuni progetti sono stati temporaneamente abbandonati a causa della crisi economica: uno di questi è quello legato al collegamento stradale Central Expressway, che è stato completato soltanto al 32%. 500 lavoratori cinesi sono già tornati in patria, mentre 2mila operai locali hanno perso il lavoro. Anche il porto in cui è attraccata la Yuang Wang 5 è praticamente in mano cinese: nel 2017, Colombo cedette una quota del 70% alla società statale cinese China Merchants Group, concedendo a Pechino una locazione di 99 anni e il controllo pressoché totale dell’operatività portuale. Anche per questi motivi, nonostante le presunte pressioni ricevute da New Delhi, lo Sri Lanka non avrebbe mai potuto realmente opporsi all’arrivo della nave cinese ad Hambantota. Il suo arrivo, da questo punto di vista, era quasi inevitabile. Il coinvolgimento di Colombo nella Belt and Road Initiative ha sicuramente portato a un boom infrastrutturale, ma ha anche pesantemente indebitato la piccola nazione dell’Oceano indiano, accrescendo sensibilmente il suo debito estero.
India e Stati Uniti
Lo Sri Lanka non può nemmeno permettersi di deludere l’India, sulla quale continuerà a contare per uscire rapidamente dalla crisi. Una cooperazione più stretta con New Delhi – specialmente nella risoluzione della crisi economica – avvicinerebbe lo Sri Lanka al blocco di alleanze dell’Indo-Pacifico di cui fanno parte anche gli Stati Uniti, e che da qualche anno (insieme ad Australia e Giappone) sta insistentemente cercando di contenere il diffondersi dell’influenza cinese nel Sud-est asiatico e nelle aree limitrofe. Con ogni probabilità il coinvolgimento di Washington nella crisi economica dello Sri Lanka diventerà più massiccio quando si sarà ottenuto il parere del Fondo Monetario Internazionale sul salvataggio d’emergenza da concedere a Colombo. Per il momento, gli Stati Uniti si sono limitati a inviare circa 12 milioni di dollari di aiuti umanitari.
La questione Taiwan
Non è un caso che la Cina abbia deciso di inviare la Yuang Wang 5 in un momento così delicato per lo Sri Lanka: Pechino ha dimostrato che il suo controllo su Colombo è ancora ben saldo, infliggendo anche un duro colpo alle speranze dell’India di recuperare un po’ di influenza sulla piccola isola dopo le dimissioni dell’ex presidente Rajapaksa (che era universalmente considerato un amico della Cina). Il nuovo presidente Wickremesinghe, peraltro, ha già aderito alla One China Policy, ossia il riconoscimento dell’esistenza di un’unica Cina (comprendente anche Taiwan), lasciando intuire che le sorti del Paese saranno ancora inestricabilmente legate a Pechino. Nel delicato scacchiere geopolitico in cui si trova invischiata, Colombo dovrà accontentarsi di poter sempre scegliere il male minore, evitando di pestare i piedi a una delle due superpotenze a cui è legato il suo destino.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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La Yuang Wang 5, partita dal porto cinese di Jiangyin, è un’imbarcazione dotata di sistemi all’avanguardia per la ricerca scientifica e per il monitoraggio dei satelliti, ma secondo Pechino sarebbe stata inviata nel porto di Hambantota soltanto per rifornirsi di carburante. Qualche giorno prima del suo arrivo, lo Sri Lanka aveva formalmente richiesto alla Cina di rimandarne l’attracco, forse a causa delle insistenti pressioni ricevute da New Delhi e dagli Stati Uniti, e alla fine era riuscita a ritardarne l’approdo di cinque giorni. L’India teme infatti che Pechino, attraverso questa sofisticata imbarcazione, possa raccogliere preziose informazioni sulle installazioni militari indiane dislocate lungo la sua costa meridionale, e che i suoi sistemi di osservazione possano monitorare le attività dei porti indiani negli stati del Kerala e del Tamil Nadu. Per questi motivi, ma anche per calmare le apprensioni dell’India, lo Sri Lanka avrebbe chiesto alla nave cinese di lasciare il porto subito dopo aver terminato le operazioni di rifornimento, senza avviare alcun genere di ricerca. Le relazioni tra Pechino e New Delhi sono drammaticamente peggiorate due anni fa, in seguito agli scontri a fuoco lungo il confine sino-indiano che costarono la vita a quattro soldati cinesi e a venti militari indiani. L’arrivo della Yuang Wang 5 nel porto di Hambantota, alle 8.30 di martedì 16 agosto, rappresenta forse il momento culminante dell’ennesima prova di forza vinta da Pechino, che ha compiuto un ulteriore passo in avanti nel rafforzamento della sua influenza in quell’area.