Svolta nel Paese che si è riavvicinato alla comunità internazionale dopo la deposizione di al-Bashir nel 2019: dopo il colpo di Stato militare dello scorso ottobre, via libera alle trattative per il nuovo esecutivo senza la partecipazione dell’esercito
Svolta in Sudan, dove l’esercito guidato dal Generale Abdel Fattah al-Burhan annuncia l’intenzione di non partecipare alle trattative per la formazione del nuovo esecutivo, che verrà così scelto dalle forze politiche che, a loro volta, organizzeranno le elezioni generali. Un cambio di posizione di rilievo, per un Paese che ha dovuto fare i conti con la posizione ingombrante dell’esercito e dove al-Burhan ha dettato il bello e il cattivo tempo degli ultimi 3 anni.
Il Generale ha comunicato in diretta tv che permetterà alle forze politiche e ai gruppi rivoluzionari di formare il Governo di transizione, funzionale alle elezioni che si terranno successivamente. “Saranno poi i sudanesi a decidere chi dovrà governarli”, ha dichiarato al- Burhan, che ha anche annunciato lo scioglimento del Consiglio Sovrano composto da civili e militari. Arriva anche la decisione di incaricare il Consiglio Supremo delle Forze Armate per la sicurezza, la difesa e le “relative responsabilità” — come detto dal Generale — dopo la creazione dell’esecutivo, e in accordo con le forze politiche.
Al-Burhan ha invitato i gruppi “ad avviare immediatamente un dialogo serio, che possa portare lungo il cammino della transizione democratica”. I militari si impegnerebbero ad agevolare le trattative, senza parteciparvi. Le forze politiche guardano con attenzione alle prossime mosse dei militari, in un clima di totale sfiducia causato anche dai morti nel corso delle ripetute proteste avvenute in questi mesi. Il Sudan è tornato nell’incertezza politica a gennaio, quando Abdallah Hamdok — prima deposto, poi reinsediato da al-Burhan — decise di dimettersi.
“Ho deciso di rimettere il mio mandato e offrire la possibilità a un altro uomo o donna di guidare questo nobile Paese, per superare il processo di transizione e diventare una nazione civile e democratica”, disse il premier uscente. “Ho provato a raggiungere un accordo e mantenere le promesse, non ci sono riuscito”. Il reinsediamento di Hamdok avvenne con la richiesta esplicita dei militari di non permettere a Fcc, Forze per la Libertà e il Cambiamento, di partecipare all’esecutivo. Per questo motivo, la figura di Hamdok è pian piano svanita, accusato di essere sceso a compromessi con l’esercito.
La fine della dittatura di Omar al-Bashir venne accolta positivamente dall’intera comunità internazionale, con gli Usa di Donald Trump molto attivi nell’aiutare Khartoum a superare il burrascoso passato, tanto da essere cancellato dalla lista di Paesi sponsor del terrorismo. La nazione ha inoltre avviato il dialogo con Israele per il riconoscimento reciproco, una delle richieste imposte dall’allora amministrazione repubblicana a Washington per permettere l’arrivo degli aiuti economici. Ora un nuovo cambio di rotta, sperando che sia positivo per il futuro della nazione africana.
Svolta nel Paese che si è riavvicinato alla comunità internazionale dopo la deposizione di al-Bashir nel 2019: dopo il colpo di Stato militare dello scorso ottobre, via libera alle trattative per il nuovo esecutivo senza la partecipazione dell’esercito