Covid, si incrina il modello Taiwan. Battaglia sull’Oms
Dopo oltre un anno sostanzialmente "Covid free", a Taipei si vive la prima vera ondata di contagi. Tra vaccini e Oms, è l'occasione per un nuovo scontro con Pechino
Dopo oltre un anno sostanzialmente “Covid free”, a Taipei si vive la prima vera ondata di contagi. Tra vaccini e Oms, è l’occasione per un nuovo scontro con Pechino
Attenzione a dare giudizi definitivi sulla crisi pandemica. Il Covid-19 ha già dimostrato di poter ribaltare situazioni e considerazioni in breve tempo. All’inizio dell’epidemia a Wuhan, il coronavirus era definito il possibile “cigno nero” per il Presidente Xi Jinping. Poi lo è diventato per Donald Trump, sconfitto alle elezioni presidenziali anche (ma non solo) per la cattiva gestione sanitaria negli Stati Uniti. La Corea del Sud era stata lodata a livello globale per il suo contenimento dei contagi, ma ora il Presidente Moon Jae-in e il suo Governo sono in crisi di consensi (come dimostrato dalle recenti elezioni locali a Seul e Busan) proprio per l’approccio deficitario alla nuova ondata di casi. Alla dura legge del Covid non ha saputo sfuggire neppure Taiwan, che era stata elevata a modello globale per la sua capacità non solo di reazione ma anche di prevenzione della crisi.
Fino a qualche settimana fa, i contagi totali dall’inizio della pandemia erano poco più di mille e i morti dieci. Il tutto senza operare un lockdown stringente come in Cina, ma chiudendosi a riccio all’esterno (quantomeno nella fase iniziale) e restando aperti all’interno. Scuole, ristoranti, cinema, teatri, concerti: Taiwan è rimasta a lungo un’isola felice mentre il mondo si barricava in casa. Quando lo sport mondiale si è fermato, durante la prima ondata, il campionato di baseball (e non solo) taiwanese si era guadagnato l’attenzione degli sportivi in astinenza.
L’aumento dei contagi
Poi, qualcosa è andato storto. Tutto sarebbe cominciato dalla diffusione di contagi tra piloti e staff della China Airlines, compagnia aerea di bandiera di Taiwan. Il primo focolaio sarebbe partito dalle case da tè del distretto di Wanhua, nella capitale Taipei. Dal 15 maggio è cominciata così la prima vera ondata di contagi da coronavirus sull’isola. Nel giro di dieci giorni sono stati registrati oltre quattromila casi e 23 morti, facendo improvvisamente impennare i numeri di una crisi che ha improvvisamente cominciato a fare paura. Martedì 25 maggio sono state registrate 542 nuove infezioni “domestiche”, delle quali 281 di giornata a 261 derivanti dall’arretrato dei test dei giorni scorsi. Alcuni errori o ritardi nei conteggi dei casi hanno sollevato tra l’altro alcune polemiche.
L’elemento positivo è che non si è avuto un aumento esponenziale dei casi, che resta più o meno stabile da alcuni giorni intorno alle 500 unità. Le autorità sperano inoltre che presto la crescita possa rallentare, anche perché subito dopo l’aumento dei contagi sono state prese misure drastiche dicontenimento. È stato dichiarato lo stato di emergenza fino al 28 maggio, poi prorogato fino al 14 giugno. Ciò significa che i luoghi pubblici e di lavoro sono stati chiusi, a eccezione degli uffici governativi e di quelli che forniscono servizi essenziali. Sono state chiuse anche le scuole, mentre il 17 maggio è stata annunciata (per almeno un mese) la chiusura delle frontiere a tutti i cittadini stranieri sprovvisti di regolare carta di residenza. Nessuna eccezione, neppure per motivi di lavoro o per ricongiungimenti familiari, nonostante chiunque all’arrivo (dopo tampone negativo) si deve sottoporre a 14 giorni di quarantena solitaria (e geolocalizzata) e a ulteriori sette giorni di auto isolamento.
Secondo diversi critici, il Governo ha delle responsabilità per la nuova ondata di contagi. In particolare, viene sottolineata la rilassatezza con la quale sono stati diminuiti i giorni di quarantena necessari ai piloti e lo scorso numero di test e tamponi effettuati negli ospedali. Secondo Our World in Data, nel mese di febbraio Taiwan ha effettuato 0,57 test ogni mille persone. Un numero bassissimo se paragonato al 6,21 di Singapore e all’8,68 del Regno Unito. L’assenza di casi locali di coronavirus avrebbe provocato una sottovalutazione del rischio di un ritorno dei contagi. Chi sostiene questa versione cita anche la bassissima percentuale di taiwanesi vaccinati. Se si guarda ai dati, in effetti, la campagna ha accelerato solo a partire dall’emersione dei nuovi casi che ha fatto percepire l’emergenza. Fino al 7 maggio erano state somministrate solo 91mila dosi su una popolazione di oltre 23 milioni di persone. Nel giro delle due settimane successive ne sono state invece somministrate oltre 200mila.
Sul tema del vaccino, però, subentra anche la geopolitica. Taiwan ha ordinato circa 20 milioni di dosi, soprattutto da AstraZeneca e da Moderna, ma fino a qualche giorno fa ne aveva ricevute meno di un milione. E tutte da AstraZeneca. Il Governo taiwanese accusa quello della Repubblica popolare cinese di aver interferito sulla distribuzione dei sieri e ora si è rivolto agli Stati Uniti per provare a ottenere più dosi. La Cina, da parte sua, sostiene di aver offerto i propri sieri a Taiwan, ricevendo un rifiuto. Il mancato dialogo politico tra le due sponde dello Stretto, e le tensioni militari che coinvolgono Esercito popolare di liberazione ed esercito Usa, impediscono un confronto sereno sul tema vaccinale. Da una parte, Pechino farebbe pressioni per gestire la distribuzione vaccinale in un territorio che considera suo, dall’altra parte Taiwan non può politicamente accettare l’aiuto (reale o dichiarato) di un Governo che non esclude l’utilizzo della forza per eliminare la sua autonomia. Da qui uno stallo che rischia di creare ulteriori conseguenze per i cittadini taiwanesi.
La battaglia sull’Oms
Un altro argomento di scontro è quello legato all’Organizzazione mondiale della sanità, dalla quale Taiwan è esclusa perché non fa parte delle Nazioni Unite. Da anni Taipei chiede di essere riammessa all’Assemblea nazionale della sanità, dalla quale è esclusa da cinque anni per volere di Pechino. Esattamente da quando alla presidenza è arrivata Tsai Ing-wen del Partito democratico progressista, invisa al Partito comunista cinese. Il Ministro degli Esteri Joseph Wu e il Ministro della Salute Chen Shih-chung hanno scritto una lettera di protesta all’Oms per l’esclusione dalla 74esima sessione dell’Assemblea parlando di “continua indifferenza verso i diritti alla salute dei 23,5 milioni di taiwanesi” e di “un buco nella prevenzione globale delle malattie”. Il Governo cinese sostiene di aver notificato a Taiwan la situazione sull’epidemia 260 volte e di aver accettato la partecipazione di esperti sanitari taiwanesi alle attività tecniche dell’Oms per 16 volte ma Taipei definisce falsa la versione secondo la quale Pechino tutelerebbe il passaggio di informazioni.
Dopo oltre un anno sostanzialmente “Covid free”, a Taipei si vive la prima vera ondata di contagi. Tra vaccini e Oms, è l’occasione per un nuovo scontro con Pechino
Attenzione a dare giudizi definitivi sulla crisi pandemica. Il Covid-19 ha già dimostrato di poter ribaltare situazioni e considerazioni in breve tempo. All’inizio dell’epidemia a Wuhan, il coronavirus era definito il possibile “cigno nero” per il Presidente Xi Jinping. Poi lo è diventato per Donald Trump, sconfitto alle elezioni presidenziali anche (ma non solo) per la cattiva gestione sanitaria negli Stati Uniti. La Corea del Sud era stata lodata a livello globale per il suo contenimento dei contagi, ma ora il Presidente Moon Jae-in e il suo Governo sono in crisi di consensi (come dimostrato dalle recenti elezioni locali a Seul e Busan) proprio per l’approccio deficitario alla nuova ondata di casi. Alla dura legge del Covid non ha saputo sfuggire neppure Taiwan, che era stata elevata a modello globale per la sua capacità non solo di reazione ma anche di prevenzione della crisi.
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