Per il Partito comunista la visita di Nancy Pelosi a Taiwan rappresenterebbe una dimostrazione del riconoscimento americano dell’indipendenza dell’isola e dunque una violazione del principio dell’Unica Cina
Due ore e diciassette minuti. È durata anche più della precedente, lo scorso marzo, già considerata lunga. La (quinta) telefonata di ieri pomeriggio tra i presidenti di Stati Uniti e Cina, Joe Biden e Xi Jinping, è ruotata attorno a un grosso tema: la possibile visita della speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, a Taiwan. È l’isola che la Cina non considera un Paese a sé stante ma una provincia del suo territorio da portare sotto il proprio controllo: il Partito comunista utilizza il verbo “riunificare”, pur non avendola mai governata.
Due ore e diciassette minuti di telefonata che la stampa americana ha condensato in un’espressione: chi gioca con il fuoco finirà per scottarsi. È presente nel sunto della conversazione pubblicato dai media statali cinesi – la Casa Bianca, mentre scriviamo, non ha ancora fornito il suo readout –, e sarebbe stata pronunciata da Xi per avvertire Biden a non intromettersi in questioni che Pechino considera interne. Come appunto e innanzitutto la questione taiwanese, un sempre maggiore punto di frizione tra le due superpotenze. Washington è la principale sostenitrice politica e militare di Taipei (pur non riconoscendola formalmente) e sembra disposta a spendersi militarmente per difenderla da un’eventuale invasione cinese. In realtà la strategia degli Stati Uniti verso Taiwan è ambigua, non definisce chiaramente in cosa consista quest’impegno. Tuttavia dal Congresso stanno partendo pressioni bipartisan sull’amministrazione Biden affinché adotti una postura di supporto più esplicita.
Al di là dell’ambiguità strategica, alla Cina il supporto degli Stati Uniti a Taiwan è cosa nota. Così come sono state tante, negli anni, le visite di funzionari americani sull’isola, anche questo mese. Funzionari solitamente di basso livello, però. Pelosi, al contrario, è di grado altissimo: in quanto speaker della Camera è a capo di uno dei due rami del potere legislativo statunitense ed è seconda nella linea di successione presidenziale dopo Kamala Harris. L’ultima volta che uno speaker della Camera è andato in visita a Taiwan era il 1997 con Newt Gingrich. Ma da allora è cambiato praticamente tutto: la Cina è diventata una superpotenza economica e politica, ha rafforzato il suo esercito, sviluppato ambizioni di potenza internazionale e finito con l’occupare il ruolo di rivale degli Stati Uniti. La sfiducia tra le due parti, inoltre, è profondissima, il che non è di aiuto alla distensione, che sarebbe poi lo scopo della chiacchierata diretta tra i due Presidenti. La possibilità che la vicenda degeneri in un conflitto nello stretto di Taiwan, per quanto remota, esiste: e infatti la portaerei USS Ronald Reagan e il suo gruppo d’attacco sono tornati per precauzione nel Mar Cinese meridionale dopo una sosta a Singapore.
Per Xi e il Partito comunista, in sostanza, la visita di Pelosi rappresenterebbe una dimostrazione del riconoscimento americano dell’indipendenza di Taiwan e dunque una violazione del principio dell’Unica Cina, secondo cui è Pechino e non Taipei il solo Governo legittimo della Cina. Lu Xiang, ricercatore all’Istituto cinese di Hong Kong, ha spiegato al Washington Post che Pechino respinge l’argomentazione secondo la quale Biden non può impedire a Pelosi di visitare Taiwan per via della separazione tra i poteri esecutivo e legislativo vigente in America.
Non è chiaro, al momento, cosa succederà e se la visita di Pelosi alla fine ci sarà. Jenjey Chen, caporedattore dell’agenzia di stampa taiwanese Central News Agency, ha detto però al manifesto che “se Pelosi si tirasse indietro ora sarebbe un grave errore a cui sarebbe molto difficile, se non impossibile, porre rimedio. Darebbe a Pechino il messaggio di poter scoraggiare qualsiasi futura visita con minacce anticipate”. Di conseguenza – prosegue – in futuro “il Governo cinese potrebbe continuare a cercare di impedire a chiunque di entrare o uscire da Taiwan, rendendo gradualmente l’isola de facto una parte della Repubblica popolare”.