Move Forward, il partito di opposizione con il programma più liberale e le promesse di cambiamento più audaci, ha stravinto le elezioni di domenica 14 maggio. La Commissione elettorale ha ora sessanta giorni per approvare o respingere i risultati, come accaduto nel 2019 con grandi proteste della popolazione
Non è stata un’onda, ma uno tsunami, quello che si è abbattuto sul mondo politico thailandese. Le elezioni generali di domenica 14 maggio hanno registrato un risultato davvero storico. Non solo ha vinto l’opposizione, ma ha stravinto. Ed è clamoroso che per la prima volta dopo diverse tornate elettorali ad affermarsi alle urne non sia stato il Pheu Thai della celeberrima dinastia politica dei Shinawatra, ma Move Forward, un partito nato sull’onda delle proteste giovanili degli ultimi anni ma che ha saputo catalizzare evidentemente le preferenze della maggior parte di coloro che vogliono il cambiamento. E i thailandesi hanno dimostrato di volerlo eccome, quel cambiamento.
Secondo i risultati preliminari diffusi dalla commissione elettorale, il Move Forward è in vantaggio in 113 dei 400 seggi in cui vengono eletti direttamente i membri del Parlamento, rispetto ai 112 seggi del Pheu Thai, che dal 2001 ha vinto cinque elezioni generali consecutive, ma ogni volta è stato costretto a lasciare il potere. O con le norme, o con i golpe militari del 2006 e del 2014 che hanno colpito gli ex premier Thaksin Shinawatra prima e la sorella Yingluck poi. Stavolta sembrava destinata a primeggiare la figlia e nipote dei due, Paetongtarn, che aveva ricevuto un’ulteriore spinta nei sondaggi dopo essere diventata mamma una decina di giorni prima del voto.
E invece a vincere, contro tutte le attese, è stato il Move Forward del candidato premier Pita Limjaroenrat. Il risultato deriva in parte da un’ondata di entusiasmo tra i giovani per il suo programma liberale e le promesse di cambiamenti audaci, tra cui la rottura dei monopoli e la riforma della legge sulla lesa maestà. La legge punisce gli insulti percepiti con una pena fino a 15 anni di carcere e centinaia di persone sono accusate, alcune delle quali sono in detenzione preventiva. Ma a premiare Move Forward anche presso le generazioni più adulte è stata una linea chiara e priva di compromessi, critica sia dei militari sia della monarchia. A dir poco significativo, un segnale che i thailandesi hanno veramente voglia di un’aria nuova. Così il partito è riuscito a catalizzare consensi che tradizionalmente sarebbero andati al Pheu Thai, considerato più ambiguo su alcuni punti. Alla domanda se avrebbe appoggiato la proposta di riforma del reato di lesa maestà, per esempio, il partito ha risposto che se ne sarebbe potuto discutere in parlamento. Il risultato è stato incredibile. A partire dalla capitale Bangkok, dove sono stati conquistati tutti e 33 i seggi a disposizione. A dimostrazione della connessione stabilita tra il partito e la dinamicità culturale della metropoli.
Totale insuccesso per i principali partiti della coalizione di governo uscente, che hanno ottenuto complessivamente 151 seggi elettorali. Solo 23 per il nuovo partito United Thai Nation del Primo ministro Prayuth Chan-ocha, che ha sfidato la costituzione costruendo una forza politica tutta sua e disperdendo il voto pro establishment. Leggermente meglio Palang Pracharath, guidato dal vice Primo ministro Prawit Wongsuwan, che ha ottenuto 39 seggi. Al terzo posto con 67 seggi il Bhumjaithai, che ha basato buona parte della sua campagna elettorale promettendo la depenalizzazione dell’utilizzo di cannabis. I Democratici hanno invece totalizzato 22 seggi.
L’indicazione è quella di una coalizione tra Move Forward e Pheu Thai. Limjaroenrat ha già proposto un’alleanza di sei partiti che dovrebbe ottenere 309 seggi. Ne mancano però ancora diversi per raggiungere i 376 necessari per neutralizzare il ruolo del Senato nell’individuazione del premier. Anche il Pheu Thai ha dato garanzie sull’alleanza. Shinawatra e l’altro leader del partito, Chonlanan Srikaew, hanno garantito che il partito “non ha intenzione di formare un altro governo” che non sia quello col Move Forward.
Ma la strada è tutt’altro che spianata. Oltre ai 500 membri della Camera, la costituzione prevede che 250 senatori di nomina militare siano inclusi nel voto per il primo ministro. Di conseguenza, qualsiasi blocco di coalizione avrebbe appunto bisogno di almeno 376 seggi alla Camera bassa per nominare un primo ministro senza che il Senato influisca sul risultato. E la storia insegna che non è scontato che la Camera alta del Parlamento thailandese ascolti le indicazioni arrivate dalle urne. Basti pensare al 2019, quando il Senato ha votato all’unanimità per Prayuth, nonostante il suo partito abbia ottenuto molti meno seggi rispetto al Pheu Thai. Il Primo ministro è poi riuscito a mettere insieme una coalizione di 19 partiti diversi che lo ha mantenuto in carica per quattro anni.
La sensazione è che l’establishment non escluda un compromesso col Pheu Thai. Le insistenti voci sul possibile rientro dall’esilio di Thaksin Shinawatra nei prossimi mesi lasciano intuire che le due parti starebbero in qualche modo dialogando. La piattaforma populista promessa dalla figlia dell’ex leader, incardinata sulla promessa di raddoppiare il salario minimo nel giro di qualche anno, non contiene gli elementi anti sistema della linea di Move Forward.
Proprio l’assenza di compromessi nelle proposte del partito arrivato al primo posto potrebbe rappresentare il principale ostacolo alla formazione di un’alleanza vasta e in grado di arrivare ai 376 seggi, vista la ritrosia della maggior parte dei partiti di oltrepassare la linea rossa che rischia di proiettare nella schiera degli “anti monarchici”. Ancora un sostanziale tabù, soprattutto per le forze politiche di governo.
Da non trascurare, tra l’altro, possibili azioni normative o legali. La Commissione elettorale ha ora 60 giorni di tempo per approvare o respingere i risultati delle elezioni, il 95% dei quali deve essere certificato per l’insediamento del Parlamento. L’assegnazione dei seggi alle liste di partito richiederà più tempo. Nel frattempo, i partiti probabilmente si scambieranno denunce di violazioni elettorali. In base alle elezioni del 2019, alcuni candidati potrebbero essere squalificati e i partiti potrebbero essere sciolti. Così era accaduto a Future Forward. Proprio lo scioglimento di quella forza politica aveva costituito uno degli ingredienti principali delle grandi proteste del 2020 e 2021 da cui ha preso origine Move Forward. In molti immaginano una possibile replica. La differenza, rispetto ad allora, è che il partito in questione è arrivato primo. Sommando il tradizionale forte consenso per il Pheu Thai, la popolazione ha parlato chiaro, molto più di tante altre volte. Il che mette in una posizione particolarmente scomoda i militari, costretti al compromesso per evitare il muro contro muro che porterebbe con ogni probabilità a nuove grandi proteste e tensioni.
Le elezioni in Thailandia sono appena finite e il popolo ha indicato con decisione la strada del cambiamento. Ora inizia un lungo e tortuoso periodo di incertezza. Non è scontato che la voce dei thailandesi venga ascoltata, ma di certo si è levata molto forte.