I dati dimostrano la centralità di Tunisi per controllare i flussi migratori nel Mediterraneo. Evitare il tracollo economico del Paese si trasforma in una priorità per il governo Meloni e per tutta l’Europa. Senza i fondi, la Tunisia rischia il default
C’è un grande via vai tra Tunisi e Roma. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è recata oggi a Tunisi, per la seconda volta in meno di una settimana. È stata accompagnata dal suo omologo olandese e dalla presidente della Commissione europea. L’obiettivo della visita rimane la ricerca di un compromesso per evitare il fallimento dell’economia tunisina. Da una parte, si punta a sbloccare gli aiuti europei – 500 milioni di euro – e, almeno alcune rate, dei 1.9 miliardi di dollari messi sul tavolo dal Fmi; dall’altra, a stimolare la flessibilità del presidente tunisino Saied, fino ad ora intransigente sull’accettare i “diktat” del Fondo monetario internazionale per ottenere i fondi.
Un partner necessario
Gli annunci della Meloni, dopo i colloqui con Saied dell’ultima visita di martedì 6 Giugno, dimostrano l’importanza che l’Italia attribuisce al travagliato Paese nordafricano. Ad oggi, giugno 2023, sono oltre 51000 i migranti sbarcati sulle coste italiane. Un numero che contrasta fortemente con la narrativa portata avanti dalla leader di Fratelli d’Italia in campagna elettorale e che, dunque, potrebbe mettere in crisi il suo consenso. Se la percentuale di migranti di origine tunisina è solo del 7%, si stima che più della metà del totale degli arrivi abbia avuto come luogo di partenza la Tunisia.
Il Paese ha una lunga storia come hub di transito dei flussi migratori; negli ultimi anni, però, un mix tra fattori interni ed esterni, tra cui la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina, hanno intensificato il flusso di persone in uscita dalla Tunisia. Se prima le partenze riguardavano principalmente persone provenienti da paesi subsahariani, oggi sono sempre di più i tunisini che scelgono di lasciare la propria patria. Dallo scioglimento del Parlamento nel 2020, un clima politico sempre più dispotico e violento, la disoccupazione giovanile, l’aumento dell’inflazione e dei prezzi dei generi alimentari stanno spingendo un numero crescente di tunisini a migrare in Europa.
“C’è una grande differenza se si confronta la vita di oggi con quella di due o tre anni fa”, dice Bechir, un padre di due figli intervistato da Euronews che sta risparmiando nella speranza di poter lasciare il Paese.
Inoltre, la xenofobia portata avanti da Saied ha spinto molti migranti, che si erano instaurati nel territorio tunisino, ad adoperarsi per accelerare la propria partenza alla volta dell’Europa. A febbraio, il presidente della Tunisia ha detto alle forze di sicurezza di espellere tutti gli immigrati clandestini e ha denunciato quella che, a suo dire, è una cospirazione per cambiare la demografia della Paese, rendendola più africana e meno araba.
I dati dimostrano la centralità di Tunisi per controllare i flussi migratori irregolari nel mediterraneo. Dunque, evitare il tracollo economico del Paese da cui partirono le primavere arabe si trasforma in una priorità per il governo Meloni e per tutta l’Europa. Senza i fondi, la Tunisia rischia il default. Se ciò accadesse, il risultato sarebbe un drastico aumento delle partenze per attraversare il Mediterraneo verso l’Europa, in cerca di una vita migliore . E soprattutto verso l’Italia, la meta più vicina. Una Tunisia in default, inoltre, sarebbe un fattore destabilizzante per tutto il Nordafrica, data la centralità dell’attore per gli equilibri del Maghreb.
Ma il presidente Kais Saied è un interlocutore tutt’altro che conciliatorio.
Un interlocutore difficile, in una situazione difficile.
È da aprile che Saied si scaglia contro il Fondo monetario internazionale, respingendo ed etichettando come “diktat inaccettabili” le condizioni poste dal Fondo monetario internazionale per concedere a Tunisi il nuovo prestito da 1,9 miliardi di dollari. Seppur vi sia un’opinione piuttosto condivisa tra gli esperti sulla indispensabilità dell’assistenza del Fmi, il governo tunisino deve ancora finalizzare le riforme necessarie stabilite ad Ottobre scorso, necessarie per un accordo finale. Il presidente Saied è rimasto fermo nelle sue posizioni affermando che il Paese, piuttosto che accettare condizioni reputate dannose, può “contare su se stesso”. Anche durante l’incontro con Meloni il 6 giugno ha ribadito le sue posizioni: “Chi fornisce ricette pronte per l’uso è come un medico che prescrive la medicina prima di diagnosticare la malattia”.
La Tunisia, però, è in una situazione economica sempre più complicata e sempre più mal vista dai mercati internazionali. Da poco è stata ulteriormente declassata a “junk” da Fitch Ratings, proprio per l’incapacità di raggiungere un accordo con il Fmi e di implementare le riforme richieste. L’agenzia di rating ha rilasciato un comunicato in cui si legge che la mossa “riflette l’incertezza sulla capacità della Tunisia di mobilitare fondi sufficienti per soddisfare il suo ampio fabbisogno finanziario”.
L’Italia e l’Unione Europea, sono chiamate ad un importante sforzo diplomatico per evitare un tracollo economico che avrebbe conseguenze devastanti sulle rotte mediterranee, già responsabili ogni settimana di troppi morti in mare. Nel frattempo, Saied chiede un dialogo internazionale sulla questione migratoria, incolpando per la situazione i migranti stranieri che si spostano irregolarmente e le “bande criminali dedite al traffico di organi e di esseri umani nell’Africa subsahariana e nei Paesi del Mediterraneo settentrionale”.