Importanti elezioni nel 2023: il consenso al partito AKP e al Presidente è in costante discesa, l’inflazione colpisce economia e cittadini. I successi in politica estera potrebbero compensare crisi e bilancia commerciale
Le esigenze multidimensionali della Turchia acquisiscono sempre più valore attraverso le diversificazioni diplomatiche ed economiche che il suo Presidente, Recep Tayyip Erdoğan, ha voluto imprimere alla nazione fin dalla conquista del potere, nei primi anni 2000. Sono proprio gli ultimi due decenni ad aver radicalmente cambiato l’approccio di Ankara sia in politica estera che nella visione delle potenzialità interne del Paese, tra alti e bassi significativi che, a distanza di pochi mesi dalle elezioni generali del 2023, anno del centenario, impongono un ragionamento sulla strada che la Repubblica intende seguire.
Riuscirà realmente a competere con il gigante Cina in Africa? Quanto sarà capace di proseguire con l’iniziativa di rafforzamento delle relazioni con le realtà dell’Asia-Pacifico? A tali quesiti, la risposta non può arrivare semplicemente guardando le azioni intraprese dal Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, ma è necessario partire dalla politica interna, che vede per la prima volta il partito del Presidente, l’AKP, in una strutturale crisi di popolarità.
Le difficoltà economiche dei cittadini sono sospinte da un’inflazione da capogiro che, a leggere i dati ufficiali dell’agenzia TÜİK, l’Istituto Statistico Turco, è salita del 36% rispetto allo scorso anno. Il dato, secondo altri istituti indipendenti, sarebbe in realtà superiore, addirittura più del doppio. E la caduta della lira turca ha toccato il massimo differenziale col dollaro statunitense, arrivando a perdere più del 40% del suo valore, impattando direttamente sugli elettori dell’AKP.
Crisi interna e inflazione
Per rispondere al momento di difficoltà, che tra l’altro ha portato Erdoğan a cambiare numerosi Governatori della Banca centrale in pochi mesi, il Governo ha implementato una serie di misure: la protezione dei depositi bancari, l’aumento del 50% del salario minimo, parificato con soldi pubblici i contributi privati alle pensioni. Azioni concrete, che per quanto permettano di porre la nazione in un quadro previsionale positivo di crescita economica, non paiono sufficienti a calmierare la sfiducia della popolazione verso il leader turco.
Infatti, i sondaggi vedono il supporto per il Presidente al 38.6%, il più basso dal 2015, mentre l’AKP è fermo al 27%, con l’opposizione del CHP, il Partito repubblicano fondato dal padre della patria Mustafa Kemal Atatürk, in buono stato di salute al 23%. La coalizione opposta alla formazione di Erdoğan, composta da CHP, İYİ, SP e DP, per quanto frammentata in diverse posizioni, aspira alla spallata nel 2023, seguendo uno schema di unità non dissimile da quanto già visto in Polonia e Ungheria. Cresce l’attesa per l’importante anno elettorale: sarà decisivo quanto avverrà nel corso del 2022.
Politica estera
E le strategie di politica estera giocheranno un ruolo nel contesto elettorale del prossimo anno. La profondità strategica impressa dall’ex alleato di Erdoğan, nonché suo Ministro degli Esteri, Ahmet Davutoğlu, ha dato ampio respiro all’azione geopolitica di Ankara. Tuttavia, la politica Zero Problems With Our Neighbors ha miseramente impattato con la realpolitik della regione nella quale la Turchia si trova.
A partire dalla guerra civile in Siria, l’arrivo in territorio turco di migliaia di migranti, le tensioni con Israele sul caso della nave Mavi Marmara. E ancora, i difficili rapporti con Abdel al Sisi in Egitto dopo la deposizione dell’alleato dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, l’intervento in Libia su fronte opposto rispetto agli Emirati, la stretta relazione col Qatar che ha messo Doha ai margini del Gulf Cooperation Council.
Questi sono solo alcuni degli esempi di difficoltà nelle quali la Repubblica si è dovuta muovere, tra alleanze contrapposte, ritiri e ritorni di ambasciatori in numerosi contesti. Ma il tempo sistema le fratture, tanto che si procede ad un vasto piano di normalizzazione: con Tel Aviv, è in progetto la visita di Erdoğan nel Paese ebraico, mentre con Il Cairo sono sempre più frequenti le consultazioni diplomatiche ad alto livello. Discorso a parte quanto in divenire con Abu Dhabi: è già avvenuto l’incontro tra il Presidente turco e il Principe Mohammed bin Zayed Al Nahyan, utile per sottoscrivere importanti accordi commerciali e in ambito difesa.
Le prospettive in Africa
Aver trovato un nuovo equilibrio nella propria regione può dare vigore alle diverse progettualità aperte dal cantiere diplomatico turco. A cominciare da quanto sta avvenendo in Africa. Ankara si è spesa senza sosta nel continente, aprendo 29 nuove ambasciate. Dalle 12 del 2001 si è giunti oggi a 43 sedi diplomatiche, quasi triplicate in soli 20 anni. Ancor più interessanti i numeri economici, che parlano di un balzo in avanti del volume d’affari: se nel 2003 era pari a 5.5 miliardi di dollari, nel 2021 si è arrivati a 30 miliardi.
Nulla a che vedere con gli oltre 139 miliardi registrati tra Cina e Africa, ma facendo le dovute proporzioni siamo di fronte ad un impatto di alto profilo, per una nazione, la Turchia, che ha saputo lavorare attentamente — nonostante le difficoltà affrontate nel corso degli ultimi 10 anni — non solo sul piano economico, diplomatico e militare, ma anche su quello culturale e umanitario. A fine 2021 la città di İstanbul ha ospitato il terzo Turkey-Africa Partnership Summit, al quale hanno partecipato — oltre il padrone di casa — 16 Capi di Stato e di Governo accompagnati da 102 ministri, compresi 26 titolari agli Esteri, appartenenti a 29 nazioni.
Le prospettive turche nel continente africano sono rosee. Tra i tanti motivi, il desiderio sia della Turchia che dei Paesi africani di diversificare rispetto ai soliti schemi che, storicamente, si rivolgono maggiormente ad Occidente. E Ankara, infatti, guarda oltre. Come nel caso dell’Asia-Pacifico, regione per la quale alcuni anni fa il Ministero degli Esteri guidato da Çavuşoğlu ha coniato l’Asia Anew Initiative. Questo è un progetto letteralmente in divenire, ma sarà utile alla Turchia sia per espandersi ulteriormente nell’area, sia per colmare un deficit commerciale non di poco conto.
Le prospettive in Asia
Su un volume d’affari pari a 50 miliardi di dollari, la Turchia ne spende 40. Una cifra considerevole, che necessita un riassetto. Ad esempio, la Cina è il secondo partner dal quale la Turchia importa maggiormente, ma Ankara, per Pechino, si colloca al 16° posto per export. Discorso ancor più accentuato con l’India, che rappresenta il 6° Stato dal quale la Turchia importa di più, con quest’ultima che si colloca solo al 36° posto al contrario. Ecco perché l’Asia Anew Initiative può rappresentare una misura politica per riformulare un bilanciamento più adeguato per la nazione turca.
I presupposti ci sono tutti: alla Turchia non mancano né contatti né soluzioni affinché possa approfittare del crescente interesse mondiale verso l’Asia-Pacifico. Basti pensare che Ankara è coinvolta, in quanto partner settoriale, con l’Asean, l’importante associazione delle nazioni del sudest asiatico; investimenti reciproci avvengono con la Corea del Sud e col Giappone; Bank of China è in contatto con gli istituti finanziari turchi per valutare progettualità nell’ambito della Belt and Road Initiative, nonostante qualche diffidenza di Ankara a riguardo.
E col Bangladesh è stato firmato un corposo Memorandum of Understanding per la sicurezza, allargato alla lotta al terrorismo e al traffico di stupefacenti, con Dhaka quarto Paese che acquista maggiormente strumentazione militare dalla Turchia. Roketsan, defense contractor turco produttore di munizioni, ha inviato lo scorso giugno la prima tranche di missili TRG-300 Kaplan, mentre membri delle forze armate bangladesi si sono esercitati in Turchia per attività di addestramento. La Turchia ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo da protagonista non solo a livello regionale ma anche oltre. Se dopo il 2023, anno del centenario della Repubblica, sarà ancora Erdoğan a guidarla, saranno gli elettori a deciderlo, anche alla luce delle azioni compiute in politica estera.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Riuscirà realmente a competere con il gigante Cina in Africa? Quanto sarà capace di proseguire con l’iniziativa di rafforzamento delle relazioni con le realtà dell’Asia-Pacifico? A tali quesiti, la risposta non può arrivare semplicemente guardando le azioni intraprese dal Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, ma è necessario partire dalla politica interna, che vede per la prima volta il partito del Presidente, l’AKP, in una strutturale crisi di popolarità.