A due mesi dalle storiche elezioni del centenario, il candidato presidente che si oppone a Erdoğan è avanti di 10 punti. La coalizione dei sei partiti dell’opposizione vuole spodestare il Sultano e propone alla Turchia una nuova gestione del potere. Ma tutto può ancora succedere
Si conferma il trend che da più di un anno a questa parte offre una generale disillusione dell’elettorato verso l’AKP di Recep Tayyip Erdoğan. Dall’alta inflazione ai problemi valutari, il terremoto di febbraio sembra aver distaccato ulteriormente i fedeli al Presidente e alla sua governance, tanto che recenti sondaggi pubblicati danno il candidato dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu sopra di 10 punti rispetto al leader dell’AKP, e il variegato raggruppamento guidato dall’esponente del Partito Popolare Repubblicano a +6 punti percentuali sulla coalizione oggi al potere.
Non una novità, ma un’evidente, costante emorragia di voti che sembra non arrestarsi per Erdoğan. Nonostante l’attivismo in politica estera, il Presidente non è stato capace, stavolta, di tramutare in guadagno interno ciò che ha dimostrato nei confronti della comunità internazionale. Una prima volta che in 20 anni pesa tantissimo sull’immagine della sua leadership, e porta a numerosi ragionamenti sul futuro della Turchia, Paese cruciale per le sorti della stabilità nell’ampia regione mediorientale, euroatlantica e a livello globale.
In questi anni, Ankara è stata capace di un protagonismo senza precedenti nella storia recente, ergendosi a nazione nella posizione di giocare un ruolo decisivo in molteplici dossier. Su tutti, i tentativi di portare al tavolo negoziale Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, esponenti con i quali lo stesso Erdoğan intrattiene rapporti diretti (e interessati sul piano dell’industria bellica). Ma non solo: la Turchia ha avuto modo di espandersi prepotentemente in Africa, con un’azione diplomatica diretta all’apertura di Ambasciate (dalle 12 del 2011 alle 43 attuali) in numerosi Paesi del continente, con rispettivi accordi commerciali, trasformatisi in un volume d’affari di 30 miliardi di dollari dai 5.5 del 2003.
Esempi di una realtà, come quella turca, dall’impatto sostanziale sullo scenario internazionale, con i riflettori oggi accesi sulla nazione, che corre verso elezioni presidenziali importanti quanto mai sono state negli ultimi anni. Proprio perché il potere è stavolta realmente conteso rispetto al passato, quando le opposizioni non erano in grado di trovare il minimo comune denominatore per cercare di spodestare Erdoğan dal potere. Una chance reale arriva da Kılıçdaroğlu, scelto dopo annose trattative come leader della coalizione di ben 6 partiti: CHP, IP, SP, GP, DP e DEVA.
Obiettivo della coalizione, non solo superare l’era del giornalisticamente ribattezzato Sultano, ma di proporre alla Turchia una nuova gestione del potere. Con il ritorno al parlamentarismo, il ripristino della separazione dei poteri, il rafforzamento dello stato di diritto. A due mesi dalle elezioni del 14 maggio tante questioni sono ben chiare all’elettorato, ma in due mesi, specie nella politica turca, tutto può succedere.