Il Governo uruguaiano annuncia l’avvio delle consultazioni con la Cina per arrivare a un accordo bilaterale di libero scambio, una violazione alla normativa del Mercosur che inasprisce la crisi dell’unione doganale
Il Presidente dell’Uruguay, Luis Lacalle Pou, ha deciso di passare dalle minacce all’azione.
La settimana scorsa ha rivelato che il suo Paese ha avviato i primi contatti tecnici con la Repubblica popolare cinese per valutare l’impatto di un accordo di libero scambio. La notizia ha subito generato reazioni tra i soci del Mercato Comune del Sud (Mercosur), l’unione doganale che Montevideo (la capitale dell’Uruguay) condivide con Argentina, Brasile e Paraguay, un mercato da 260 milioni di persone e con un Pil da 2.2 trilioni di euro. Dal 2001 i quattro Paesi hanno rinunciato allo stabilimento di accordi commerciali in forma individuale, per proteggere la politica comune sui dazi.
La decisione, che doveva essere un incentivo alla proiezione internazionale del Cono Sud, si è trasformata negli ultimi anni nel fulcro delle controversie del blocco. Nel caso dell’Uruguay la spiegazione è abbastanza semplice: negli ultimi dieci anni la Cina ha spodestato il Brasile come principale acquirente dei prodotti agricoli uruguaiani, una relazione commerciale da 2,2 miliardi di dollari l’anno a cui però Pechino applica dazi all’entrata del 12,6%. Per Lacalle Pou, l’eliminazione di quelle tariffe doganali è oggi un obiettivo primordiale per potenziare le proprie esportazioni. Il panorama commerciale è cambiato profondamente anche per il resto dei soci. Oggi la Cina assorbe il 26% delle esportazioni dei Paesi del Mercosur (contro il 20% dell’Ue e il 13% degli Usa) ed è il primo partner commerciale del Brasile e, indirettamente, del Paraguay.
Proprio la complessa relazione sino-paraguaiana è uno dei motori del contrasto dentro al Mercosur. Asunción infatti non ha alcuna intenzione di abbandonare la politica adottata dal dittatore Alfredo Stroessner nel 1957, che in chiave ferocemente anticomunista allacciò stretti rapporti diplomatici con Taiwan. Un accordo Cina-Mercosur è dunque impossibile mentre i Governi del Partido Colorado, erede politico di Stroessner, mantengono il riconoscimento nei confronti di Taipei. La soia, il mais e la carne bovina paraguaiani però giungono fino alla Repubblica popolare attraverso il Brasile.
La deroga della risoluzione sugli accordi commerciali extra Mercosur è una richiesta permanente da parte dell’Uruguay, anche quando al Governo si trovava la sinistra del Frente Amplio. La Repubblica orientale è stata la prima in Sudamerica ad aderire alla Belt and Road Initiative, è membro dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e da qualche giorno è entrata a far parte della Banca dei Brics. Oggi il Governo conservatore di Lacalle Pou può contare anche su un alleato di peso dentro al Mercosur, il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro. I cortocircuiti con Buenos Aires sono dunque all’ordine del giorno dall’insediamento dell’esecutivo di Alberto Fernandez, dal profilo progressista, che difende una posizione ormai tradizionale dell’Argentina e contraria a qualsiasi riforma della politica doganale del blocco. L’Argentina sarebbe probabilmente il Paese più colpito da un’apertura indiscriminata agli accordi bilaterali: è una delle economie con maggior quantità di sussidi alla produzione e al consumo e ha minori capacità di negoziazione rispetto al gigante brasiliano e alle piccole economie fortemente primarie di Uruguay e Paraguay.
Il Mercosur
Il Mercosur nacque nel 1991 dal bisogno di estinguere la minaccia di un’escalation tra Argentina e Brasile a partire dai rispettivi programmi di sviluppo dell’energia nucleare. I Paesi del Cono Sud avevano da poco voltato la pagina delle dittature militari e i Presidenti di quelle fragili democrazie videro nel Mercosur uno strumento per potenziare l’inserimento internazionale della regione nel nuovo contesto globale segnato dalla fine della Guerra fredda e l’imposizione del Washington Consensus a livello macroeconomico. Il Mercosur ha permesso la creazione di processi produttivi a grande scala, specialmente nell’industria automotrice, principale motore economico del blocco concentrato tra Argentina e Brasile, e nel settore agro-alimentare.
Ma la luna di miele dei primi anni ’90 si è scontrata presto con gli interessi nazionali dei singoli membri. Il desiderio di proteggere la produzione locale nei più svariati comparti ha reso impossibile l’applicazione di dazi comuni all’importazione di migliaia di prodotti, creando quel che gli esperti definiscono come un’unione doganale “imperfetta”. Nel Mercosur, inoltre, tutto viene discusso a livello presidenziale, e le decisioni devono essere prese all’unanimità nei summit semestrali del blocco, che spesso sovvertono gli sforzi fatti dagli organismi tecnici. Di conseguenza il funzionamento del blocco è sempre dipeso esclusivamente della sintonia ideologica esistente tra i Governi membri, cosa che tra l’altro in questo momento scarseggia, come dimostra lo stallo nelle trattative sull’accordo di libero scambio con l’Ue.
Anche se alcuni giornali sudamericani parlano già di “Uru-Exit”, ancora non è chiaro se si tratti di una strategia di Montevideo per obbligare i propri soci a concordare una riforma della struttura del Mercosur, come fece nel 2006 quando l’allora Presidente Tabaré Vázquez minacciò di firmare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Di certo, però, l’inizio delle trattative con Pechino rappresenta una svolta per il funzionamento dell’unione regionale, che torna ora al vertice delle preoccupazioni dei Paesi membri.
Il Governo uruguaiano annuncia l’avvio delle consultazioni con la Cina per arrivare a un accordo bilaterale di libero scambio, una violazione alla normativa del Mercosur che inasprisce la crisi dell’unione doganale