La marina cinese è la più grande al mondo per numero di imbarcazioni, ma l’ammiraglio Mike Gilday invita la politica e l’opinione pubblica americana a utilizzare altri metri di giudizio: non conta la quantità, ma la qualità
L’ammiraglio Michael Gilday, capo delle operazioni navali della U.S. Navy, pensa che la marina militare americana non debba concentrarsi solamente sulle dimensioni della flotta altrimenti rischia di fare la fine della Russia, che sta avendo difficoltà in Ucraina. Quella russa, dice Gilday, è una forza armata “che nessuno di noi vorrebbe”: numerosa sì, ma composta da soldati poco preparati e inefficiente dal punto di vista logistico.
Le sue dichiarazioni sono interessanti perché utilizzano il paragone con la Russia per parlare di Cina: è Pechino e non Mosca la vera preoccupazione dell’America; è con Pechino e non con Mosca che è in atto una competizione basata sia sulla superiorità economica-tecnologica che sul dominio dei mari.
La marina cinese è la più grande al mondo per numero di imbarcazioni, ma Gilday invita la politica e l’opinione pubblica americana – è a queste che si rivolge – a utilizzare altri metri di giudizio: non è la quantità, il numero delle navi, la cosa più importante, ma la loro qualità. “Abbiamo bisogno di una forza pronta, capace e letale più che di una forza più grande ma meno pronta, meno letale e meno capace. In altre parole”, ha spiegato, “non possiamo avere una Marina o un Corpo dei Marines più grandi di quello che possiamo sostenere”. Le navi infatti vanno manutenute, gli armamenti devono essere aggiornati, l’equipaggio deve essere ben addestrato.
I dirigenti della U.S. Navy pensano – da anni – che la marina statunitense abbia bisogno di 355 navi per esercitare una deterrenza credibile nei confronti della Cina; oggi la flotta da battaglia è inferiore a 300, e nel medio termine dovrebbe scendere ancora. Ma il numero, da solo, nulla dice del tipo di imbarcazione. Per il 2023 l’amministrazione di Joe Biden ha proposto al Congresso un bilancio per la Navy di 180,5 miliardi di dollari, quasi il 5% in più rispetto all’anno fiscale corrente. Ventiquattro navi dovrebbero però venire ritirate dal servizio, di cui sedici anche prima di quanto pianificato in precedenza: tra queste ci sono nove navi costiere classe Freedom e cinque incrociatori classe Ticonderoga (risalgono al 1983).
Il “pensionamento” di questi mezzi servirà a risparmiare soldi da utilizzare per l’acquisto di navi nuove e di armi ad alta tecnologia, come i missili ipersonici, le microonde e i laser. Il budget per il 2023 prevede ordini di sottomarini d’attacco classe Virginia (le capacità sommergibili sono considerate cruciali), di una fregata lanciamissili classe Constellation e di un’unità di trasporto anfibio. Per i prossimi cinque anni l’amministrazione Biden conta di spendere nella cantieristica 150 miliardi di dollari.
Le sue dichiarazioni sono interessanti perché utilizzano il paragone con la Russia per parlare di Cina: è Pechino e non Mosca la vera preoccupazione dell’America; è con Pechino e non con Mosca che è in atto una competizione basata sia sulla superiorità economica-tecnologica che sul dominio dei mari.